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Fotografia di Nicola Panevino

Nicola Panevino (Carbone, 13 luglio 1910 - Cravasco di Campomorone, 23 marzo 1945) è stato un antifascista, attivista, magistrato italiano. Medaglia d'argento per valore militare.[1]

Biografia modifica

Nato a Carbone, in provincia di Potenza (Italia) da Giambattista Panevino e Alfonsina Molfese, Nicola si trasferì presto a Napoli poiché il padre fu nominato come giudice presso il tribunale minorile. Incoraggiato da quest'ultimo, si laureò con il massimo dei voti in giurisprudenza presso l'Università del capoluogo campano. Dopo l'esperienza dell'apprendistato, lavorò prima a Palermo, poi presso il tribunale minorile di Napoli come il padre e infine nel 1942 fu nominato come magistrato nel tribunale di Savona. Si sposò il 5 luglio dello stesso anno con Elena Ciaburri, dalla quale ebbe una figlia due anni dopo, Gabriella; Nicola Panevino non godette mai dell'affetto della figlia, in quanto riuscì a vederla solo appena nata.

A seguito dell'annuncio dell'Armistizio di Cassibile, pronunciato l'8 settembre 1943 da Badoglio, Nicola Panevino decise di entrare a far parte del Partito d'Azione e della formazione partigiana Giustizia e Libertà, con il nome di battaglia Silva. Dopo l'uccisione di Cristoforo Astengo, divenne il rappresentante del Partito d'Azione, e nel contempo fu nominato presidente del CLN savonese.[2] Panevino lavorò instancabilmente, seguendo anche la Brigata di Botta e la nuova formazione "Cristoforo Astengo"; controllò inoltre il traffico di esplosivo destinato ai fascisti, regolando il trasporto di chili di esplosivo i quali viaggiarono clandestinamente tra il tribunale e la casa del giudice.[3] Nicola Panevino gestì anche i rapporti dei Comitati di liberazione di Genova e di Alessandria e si occupò dell'invio di uomini alle brigate partigiane attive in Piemonte.[1] Un mese prima dell'arresto, ricevette un biglietto inserito nella cassetta della posta nel quale fu avvisato del fatto che dei militanti fascisti lo stessero pedinando. Panevino, nonostante l'avviso, continuò tranquillamente la sua attività, in nome dell'obiettivo per il quale rischiava ogni giorno la vita: un'Italia libera.[4] Uno dei suoi più stretti collaboratori, Giacomo Goso, il quale aveva lasciato la carriera militare, entrò in contatto inconsapevolmente con Carlo Revelli, spia fascista; credendo perciò che fosse un antifascista, Goso rivelò a Revelli i piani politici elaborati da Nicola Panevino.[3] Il 13 dicembre 1944 Goso venne arrestato silenziosamente, all'insaputa dei suoi compagni.[5]

Arresto modifica

Il 14 dicembre 1944 Nicola Panevino alle 12:30 tornò a casa per pranzo. Come concordato con la moglie, ogni giorno avrebbe dovuto alzare lo sguardo verso la finestra: se ci fosse stata una copertina della figlia Gabriella appesa, sarebbe dovuto andarsene in quanto era un segnale di pericolo. Il 14 dicembre Panevino non alzò lo sguardo, e si recò a casa, inconsapevole dei fascisti che lo attendevano. La cameriera invano aprì la porta, cercò di chiamare l'ascensore, scese le scale nel tentativo di avvisare il giudice, attirando inesorabilmente l'attenzione della polizia. Panevino fu arrestato pochi minuti dopo. Portato nelle carceri di Sant'Agostino, si ritrovò con Goso, arrestato il giorno prima. Fu proprio Goso a tradire Panevino, confessando ai fascisti la loro attività illecita; confermò i nomi, descrisse con accuratezza lo studio di Panevino, luogo in cui avvenivano i loro incontri. Nelle carceri inaspettatamente fu accolto da un ambiente favorevole, gli fu concesso l'uso di coperte e lo scambio epistolare con i familiari.[6]

Prigionia a Marassi modifica

Il 10 gennaio 1945 Nicola Panevino fu trasferito nelle carceri di Marassi, nella terza sezione, presso Genova.[7] Il clima in queste carceri fu nettamente diverso rispetto a quello di Sant'Agostino; le condizioni dei carcerati furono disumane, in tre grandi celle dormirono più di quattrocento persone, le quali riposavano su della paglia, abitata da pidocchi; i detenuti quotidianamente erano esposti a malattie come la scabbia, pativano la fame e il freddo. Panevino in via del tutto eccezionale riuscì a tenere con sé la fotografia della figlia per tre giorni. E' datata 26 gennaio 1945 la lettera che il giudice inviò alla moglie, nella quale scrisse "i disagi presenti e futuri non riescono a fiaccare minimamente il mio fisico abbastanza resistente e tanto meno il mio morale, pur sempre elevato".[8] Il 15 febbraio 1945 Nicola Panevino, tradito da una testimonianza di una spia, venne interrogato e torturato presso la Casa dello Studente. Casimiro Wronowski, cognato di Matteotti, assistette alle torture del giudice, il quale subì delle scosse elettriche, fu bastonato, schiaffeggiato, soffocato per mezzo dell'acqua, bruciato con il fuoco, torturato con dischi metallici, punto con aghi e chiodi; dopo cinque ore di agonia, Panevino fu costretto a confessare.[9] Scrisse la sua confessione stremato, ammettendo di essere lui il Silva che cercavano, sicuro di non porre nessuno in pericolo[10]; gli chiesero in seguito i nomi dei suoi collaboratori, senza ricevere mai risposta.[11]

Fucilazione modifica

Il 22 marzo 1945 la Brigata Volante Balilla, una formazione partigiana che militava vicino Campomorone nei pressi di Genova, si imbatté in una pattuglia di nove tedeschi, i quali si stavano dirigendo verso Monte Carlo, dopo aver saccheggiato e compiuto molestie nella zona di passaggio.[12] La Brigata Balilla li attaccò, intimandone la resa; i soldati tedeschi risposero con il fuoco, incontrando la morte. Il giorno seguente, il 23 marzo, le SS invasero la frazione di Cravasco, incendiandola e seminando violenza;[12] durante la notte tra il 22 e 23 marzo, Nicola Panevino e i compagni, compreso Goso, furono svegliati bruscamente, ammanettati e intimati a salire su un camion con un'ignota destinazione.[13] Lungo il tragitto due detenuti riuscirono a fuggire; gli altri diciotto prigionieri, tra cui Nicola Panevino, furono lasciati ad Isoverde e costretti a proseguire a piedi fino a Cravasco.[14]

All'alba del 23 marzo 1945 sotto ordine del colonnello delle SS Siegfried Engel, Nicola Panevino ed i suoi compagni morirono fucilati per ritorsione nei pressi del cimitero di Cravasco.[12] Solo uno di loro sopravvisse, Arrigo Diodati, il quale custodì la testimonianza di quello che è passato alla storia come eccidio di Cravasco. Ha raccontato "sentivo colarmi addosso il sangue caldo dei compagni appena fucilati ed i colpi di grazia sparati dai tedeschi sugli agonizzanti. Non vedevo nulla, perché ero tra i corpi di quelli ammazzati, i nazisti credettero che ero stato colpito a morte, così mi salvai nell'eccidio";[15] il 24 marzo 1942 il quotidiano genovese Il Lavoro scrisse: "Il 22 corrente un gruppo di fuorilegge, in un'imboscata, ha aperto il fuoco a Cravasco a nord ovest di Pontedecimo contro nove soldati tedeschi. Cinque dei soldati sono rimasti fulminati sul colpo: gli alti quattro che erano caduti feriti, sono stati finiti selvaggiamente a colpi nella nuca dalle belve umane. Come giusta misura di rappresaglia, il Comando germanico ha ordinato la fucilazione di 18 individui precedentemente condannati a morte dal Tribunale di guerra per delitti di vario genere. La sentenza è stata eseguita sul luogo del delitto senza dare corso a domande di grazia, perché ogni possibilità in questo senso era venuta a cadere per il crimine compiuto dai loro compari che non si erano peritati di massacrare anche gli inermi feriti".[16]

Il riconoscimento delle salme fu concesso solo dopo la liberazione comunale di Campomorone; la moglie Elena riconobbe il marito Nicola grazie a ciò che restava dei suoi indumenti, un pezzo di gilet, un modulo di un messaggio in bianco destinato al padre ed una medaglietta religiosa.[17]

Lettera alla moglie 21/3/1945 modifica

Due giorni prima della sua morte, Nicola Panevino scrisse questa lettera alla moglie durante la sua permanenza nel carcere di Marassi; invita la moglie a non lasciarsi vincere dalla tristezza nel caso in cui fosse inviato in un campo di concentramento. Questa lettera testimonia la fede e l'umanità che contraddistinguono Nicola Panevino, il quale rinunciò all'affetto della sua famiglia in nome dei suoi ideali di libertà e giustizia.

"Elena mia tanto cara. Dopo aver passato l’intero inverno in galera, oggi salutiamo da questo stesso luogo l’entrata della primavera, con la quale, come disse un tale, dovrebbe venire il bello. Io credo che questa volta Iddio lo voglia.

Avanti ieri è stato l’onomastico di tua madre e di mia sorella. Le ho pensate entrambe a lungo facendo voti a Dio. Rinnovo a te gli auguri per tua madre e di mia sorella. Rinnovo a te gli auguri per tua madre; speriamo che tu la possa vedere al più presto in ottime condizioni e che io sia vicino a te. Del pari ho pensato tanto tanto il giorno precedente alla mia piccola ed amatissima Gabriella. Era domenica ed ho tanto pregato per lei durante la Messa che i tedeschi dietro mie insistenze e richieste mi hanno permesso di ascoltare. Ora ho chiesto di poter fare il precetto pasquale, ammesso che io sia ancora qui. Spero di essere accontentato.

Per le prossime feste pare consentano l’arrivo di pacchi viveri e tabacco. Sebbene io stia benissimo e mi accontenti di ciò che mi danno, mandami qualche cosetta. E’ bene però che tu ti informi qui alle carceri. Abbi cura di fare una dettagliata nota nei moduli appositi. Se al contrario dovessi essere avviato al famoso campo di concentramento, non lasciarti vincere dalla tristezza. Passa la santa Pasqua nella pace della nostra casetta, che avrai cura di far benedire rivolgendoti al parroco, tra l’affetto di zia Maria e di Gabriella (io sono vicino spiritualmente), ma passala soprattutto nella pace del Signore. Nel Suo nome, mentre faccio a voi tutti gli auguri di felicità e di bene, ti dico che attendo con ansia indicibile di esserti vicino, specialmente per dimostrarti tangibilmente il grande bene che ti voglio. Per ora, credimi sulla parola. Se per il giorno di Pasqua ti dovessero invitare gli Albertazzi, vai pure da loro, mi farai piacere. Non mi riesce di farti avere notizie per altra via, ma accontentiamoci di questi biglietti. Per me rappresentano tanto. Hai avvertito Mantero che dovrà essere arrestato? Restiamo intesi che festeggeremo l’onomastico della nostra Gabriella il 22 aprile, nel tuo compleanno. Ma possibile che mi aspetti una gioia così grande? Con la piena fiducia nel Cristo redentore e con l’animo ricolmo di ansie, attendo. E intanto ti bacio con immenso amore, benedicendo la mia bimba."[18]

Riconoscimenti modifica

Nicola Panevino ricevette la medaglia d'argento al valore militare, alla memoria.[1]

Nel cimitero di Aliano, città natale del padre, fu deposta la salma di Nicola Panevino, a cui fu dedicata una lapide con un'iscrizione voluta da Benedetto Croce:" In questa casa nacque Nicola Panevino che dalla tomba di Crevasco ove cadde fucilato dai tedeschi si eleva immortale nella luce della storia d'Italia e attesta che su ogni forma di oppressione trionfano eternamente giustizia e libertà".[1]

La formazione partigiana di cui aveva preso parte Panevino, Giustizia e libertà, a seguito della sua morte in suo onore prese il suo nome.

Il comune di Carbone il 3 settembre 1964 dedicò a Nicola Panevino una scuola.[1]

Nel 1974 ad Aliano, paese di origine del padre del magistrato, nacque un circolo culturale a lui dedicato, al fine di mantenere vivo il ricordo e la testimonianza del sacrificio di Nicola Panevino.[2]

Bibliografia modifica

  • Mario Zino, Nicola Panevino, Genova, E. Degli Orfini, 1946.
  • Fabrizio Cracolici, Un racconto di vita partigiana: il ventennio fascista e la vicenda del partigiano Emilio Bacio Capuzzo, Milano, Mimesis, 2012.

Note modifica

  1. ^ a b c d e Donne e Uomini della Resistenza: Nicola Panevino, in ANPI. URL consultato il 4 gennaio 2017.
  2. ^ a b ‘ Viva l’Italia libera! ‘ Panevino giudice del tribunale di Savona fucilato per rappresaglia - Trucioli - Blog della Liguria e Basso Piemonte, su trucioli.it. URL consultato il 4 gennaio 2017.
  3. ^ a b Mario Zino, Nicola Panevino, Genova, E. Degli Orfini, 1946, p. 16.
  4. ^ Mario Zino, Nicola Panevino, Genova, E. Degli Orfini, 1946, pp. 18.
  5. ^ Mario Zino, Nicola Panevino, Genova, E. Degli Orfini, 1946, p. 17.
  6. ^ Mario Zino, Nicola Panevino, Genova, E. Degli Orfini, 1946, pp. 17-18.
  7. ^ Mario Zino, Nicola Panevino, Genova, E. Degli Orfini, 1946, p. 22.
  8. ^ Mario Zino, Nicola Panevino, Genova, E. Degli Orfini, 1946, pp. 22-24.
  9. ^ Mario Zino, Nicola Panevino, Genova, E. Degli Orfini, 1946, pp. 26-27.
  10. ^ Mario Zino, Nicola Panevino, Genova, E. Degli Orfini, 1946, p. 29.
  11. ^ Mario Zino, Nicola Panevino, Genova, E. Degli Orfini, 1946, p. 31.
  12. ^ a b c Fabrizio Cracolici, Un racconto di vita partigiana: il ventennio fascista e la vicenda del partigiano Emilio Bacio Capuzzo, Milano, Mimesis, 2012, pp. 155-156.
  13. ^ Mario Zino, Nicola Panevino, Genova, E. Degli Orfini, 1946, pp. 38-39.
  14. ^ Claudio Bagnasco, ILSREC Genova - Documenti, su www.istitutoresistenza-ge.it. URL consultato il 7 gennaio 2017.
  15. ^ Addio ad Arrigo Diodati l'unico scampato a Cravasco, in Genova - La Repubblica, 23 dicembre 2013. URL consultato il 15 gennaio 2017.
  16. ^ Quei morti «dimenticati» dalleccidio di Cravasco - IlGiornale.it, in Evernote. URL consultato il 15 gennaio 2017.
  17. ^ Mario Zino, Nicola Panevino, Genova, E. Degli Orfini, 1946, pp. 45-46.
  18. ^ Mario Zino, Nicola Panevino, Genova, E. Degli Orfini, 1946, pp. 37-38.