William Bentinck

politico inglese

William Bentinck (Buckinghamshire, 14 settembre 1774Parigi, 17 giugno 1839) è stato un politico e generale britannico.

William Bentinck

Governatore generale dell'India
Durata mandato4 luglio 1828 –
20 marzo 1835
MonarcaGuglielmo IV
Capo del governoCharles Grey
William Lamb
Arthur Wellesley
Robert Peel
PredecessoreCarica istituita
SuccessoreCharles Metcalfe (come governatore generale ad interim)

Dati generali
Partito politicoWhig
UniversitàChrist Church
ProfessioneMilitare
William Bentinck
NascitaBuckinghamshire, 14 settembre 1774
MorteParigi, 17 giugno 1839
Dati militari
Paese servito Regno di Gran Bretagna
Regno Unito Regno Unito
Forza armata British Army
ArmaFanteria
Unità11th Hussars
Anni di servizio1791 - 1839
GradoTenente generale
GuerreGuerre rivoluzionarie francesi
Guerre napoleoniche
CampagneCampagna d'Italia (1813-1814)
BattaglieCattura di La Spezia
Assedio di Genova (1814)
Comandante diTeatro del Mar Mediterraneo
Armata anglo-sicula
Comandante in capo dell'India
PubblicazioniCavaliere di Gran Croce dell'Ordine del Bagno
Ordine reale guelfo
Altre caricheGovernatore generale dell'India
voci di militari presenti su Wikipedia

BiografiaModifica

I primi anniModifica

Bentinck era il figlio secondogenito del primo ministro William Cavendish-Bentinck, III duca di Portland, e di sua moglie lady Dorothy, figlia di William Cavendish, IV duca di Devonshire[1]

La carriera fino al 1827; la Sicilia e la conquista di Lucca e GenovaModifica

Fu ministro degli esteri del governo siciliano riconosciuto dalla Costituzione siciliana del 1812, poiché l'Inghilterra esercitava un protettorato sull'isola.
Tra marzo e aprile del 1814 fu protagonista della cacciata dei governi napoleonici dall'Italia nord occidentale. Sbarcato a Livorno al comando di una forza di 8 000 uomini ed appoggiato dalla flotta britannica del mediterraneo si impadronì facilmente dei tre dipartimenti toscani dell'impero francese (con capoluoghi in Livorno, Siena e Firenze). Si diresse poi verso Lucca, capitale del Principato di Lucca e Piombino, mettendo in fuga il Principe Felice Baciocchi e la Principessa Elisa Bonaparte.
Espugnata La Spezia e invaso il Dipartimento degli Appennini (capoluogo Chiavari) giunse sotto le mura di Genova il 14 aprile e la pose sotto assedio. Nella città erano presenti importanti forze filofrancesi comandate dal Barone Fresia. Il Bentinck fece dunque bombardare Sturla e Albaro, mentre dal mare la flotta martellava le fortificazioni della città. Questo indusse il 17 i genovesi a ribellarsi alle forze filofrancesi. Il 18 la città era in mani inglesi.
Il Bentinck, constatata la contrarietà dei genovesi all'annessione al Piemonte, contravvenendo alle istruzioni di Lord Bathurst, ministro della Guerra britannico, firmò un proclama con cui si prendeva atto della situazione e si ripristinavano le leggi in vigore fino al 1797.

Governatore generale dell'IndiaModifica

Al suo ritorno in Inghilterra, Bentinck prestò servizio nella Camera dei Comuni per diversi anni prima di venire nominato Governatore generale del Bengala nel 1828, col compito principale di sopperire all'azione della Compagnia britannica delle Indie Orientali ormai in perdita, secondo gli ordinamenti del governo britannico.

Bentinck iniziò quindi una dura campagna di taglio delle spese, con successi in campo economico locale anche se molti contestarono le sue scelte tra cui la politica di occidentalizzazione dell'India, influenzata dall'utilitarismo di Jeremy Bentham e James Mill. Riformando il sistema giudiziario, egli stabilì che fosse l'inglese la lingua da utilizzare per l'emissione dei verdetti anziché il persiano, oltre ad incoraggiare un tipo di educazione sul modello di quello occidentale di modo che anche gli indiani così formati potessero avere accesso alla burocrazia amministrativa britannica in India.

Bentinck si impegnò inoltre particolarmente per la soppressione del sati, la pratica religiosa che prevedeva nel caso di ricchi rappresentanti dell'aristocrazia indiana tradizionale, la morte della moglie sulla pira funeraria del marito defunto, supportato in questo dal raja Ram Mohan Roy da molti riconosciuto come il "Padre dell'India moderna"[2] Tra le "pratiche superstiziose" che lo stesso Rammohan Roy voleva eliminare rientravano oltre al sati anche la poligamia ed il matrimonio tra bambini[3]. Debellò anche la feroce setta religiosa dei thug[4] Sebbene tali riforme avessero incontrato poca resistenza al momento, sappiamo che esse furono tra le cause dell'ammutinamento generale in India nel 1857. La sua reputazione di disgregatore della cultura indiana tradizionale, portò anche a delle voci che indicarono l'intenzione di lord Bentick (per fortuna mai messa in pratica) di demolire il Taj Mahal e venderne il marmo[5][6].

Bentinck tornò nel Regno Unito nel 1835, rifiutando un titolo nobiliare e rientrando nella Camera dei Comuni come membro per la circoscrizione di Glasgow.

William Bentick morì a Parigi il 17 giugno 1839 all'età di 64 anni.

MatrimonioModifica

 
Lady William Cavendish-Bentinck (c 1783-1843) (Ellen Sharples)

Bentinck sposò lady Mary, figlia di Arthur Acheson, I conte di Gosford, nel 1803. Il matrimonio rimase senza eredi. Mary morì quattro anni dopo il marito, nel 1843[1]. Il dipartimento "Manuscripts and Special Collections" dell'Università di Nottingham conserva ancora oggi alcuni carteggi di corrispondenza di lord William Bentinck.

Il Charter Act del 1833Modifica

Il Charter Act del 1833 fu un documento legislativo approvato al tempo di lord William Bentinck, secondo il quale veniva abolito il monopolio della Compagnia britannica delle Indie Orientali. Così facendo, il Governatore generale del Bengala poté definirsi Governatore generale dell'India e portò anche alla creazione di tre episcopati, quello di Bombay, Madras e Calcutta.

OnorificenzeModifica

  Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine del Bagno
  Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine Reale Guelfo

NoteModifica

  1. ^ a b Scheda, su thepeerage.com. URL consultato il 26 settembre 2018.
  2. ^ Rodger B. Beck, et al., Modern World History: Patterns of Interaction.
  3. ^ Brahendra N. Bandyopadyay, Rommohan Roy, (London: University Press, 1933), vol. 351.
  4. ^ thug, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 26 settembre 2018.
  5. ^ Randolf Cooper, The Anglo-Maratha Campaigns and the Contest for India, Cambridge (Inghilterra), Cambridge University Press, 2003. p. 198.
  6. ^ John Rosselli, Lord William Bentinck: the making of a Liberal Imperialist, 1774-1839, London Chatto and Windus for Sussex University Press 1974, p. 283.

BibliografiaModifica

Altri progettiModifica

Collegamenti esterniModifica

Controllo di autoritàVIAF (EN35251879 · ISNI (EN0000 0000 8218 6005 · CERL cnp00587108 · LCCN (ENn50007413 · GND (DE118741527 · BNF (FRcb15117033w (data) · J9U (ENHE987007462924005171 · NSK (HR000554524 · WorldCat Identities (ENlccn-n50007413