Ōbeikei

Gruppo etnico nelle isole Bonin, Giappone

Gli ōbeikei (欧米系?, Ōbeikei, letteralmente "occidentali"), sono il gruppo etnico euroasiano (di discendenza mista europea e hawaiana) nativi delle isole Bonin.[1] Sono culturalmente e geneticamente diversi dagli altri gruppi etnici nipponici come gli Yamato, gli Ainu e i ryukyuani in quanto discendenti di diversi gruppi razziali ed etnici inclusi europei, bianchi americani, polinesiani e kanakas che si stabilirono nelle isole di Haha-jima e Chichi-jima nel XVIII secolo.

Ōbeikei
Famiglia Savory nella prima metà del XX secolo
 
Luogo d'origineIsole Bonin
LinguaOgasawara hōgen, giapponese, inglese americano
ReligioneBuddhismo, shintoismo, cristianesimo
Gruppi correlatiAustronesiani, giapponesi, europei, bianchi americani, nativi hawaiani
Distribuzione
Giappone (bandiera) Giappone
 
Famiglia Gonzalez nella prima metà del XX secolo

Il primo episodio documentato di insediamento umano delle Isole Bonin (無人島?, Buninjima, derivato dalla lettura arcaica dei kanji 無人, ovvero, "le isole disabitate") avvenne nel 1830 quando, Nathaniel Savory, un colono americano del Massachusetts, si stabilì sull'isola di Chichi-jima. Ad accompagnarlo nella spedizione vi erano: Matteo Mazzaro, italiano che sarebbe poi diventato governatore dell'isola; John Millencamp, americano; Henry Webb e Charles Robinson, entrambi inglesi; Joaquim Gonsales, portoghese; ed approssimativamente venti nativi hawaiani, dei quali nomi non furono però annotati. Per quanto americano, la spedizione di Savory fu finanziata dai britannici, rendendo l'isola una colonia inglese a tutti gli effetti.[2]

Cognomi

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  • Savory (セイヴァリー?, Sebori)
  • Robinson
  • Washington
  • Gilley
  • Gonzalez[3]
  1. ^ (EN) Reflections on Ogasawara: Remote Islands with American and Japanese Identities, su nippon.com, 25 giugno 2018. URL consultato il 31 maggio 2020.
  2. ^ Chichi Navy Brochure, su members.tripod.com. URL consultato il 31 maggio 2020.
  3. ^ (EN) Martin Fackler, A Western Outpost Shrinks on a Remote Island Now in Japanese Hands, in The New York Times, 9 giugno 2012. URL consultato il 31 maggio 2020.

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