Alberto Pollera

militare, funzionario e antropologo italiano (1873-1939)

Alberto Pollera, nato Adalberto, (Lucca, 8 dicembre 1873Asmara, 5 agosto 1939), è stato un militare e antropologo italiano.

Alberto Pollera
NascitaLucca, 8 dicembre 1873
MorteAsmara, 5 agosto 1939
Cause della mortenaturali
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Italia
Gradotenente colonnello
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Funzionario coloniale per 45 anni, fu autore di importanti studi di africanistica sulle etnie eritree e protagonista di una personale battaglia contro l'ideologia razzista che vietava i matrimoni misti e il riconoscimento giuridico dei figli meticci nati dai coloni italiani.[1]

Biografia

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Figlio di una nobile famiglia toscana, frequentò il liceo di Lucca. In quegli anni pubblicò alcune novelle sulla Domenica letteraria. Dal 1890 venne ammesso all'Accademia militare di Modena.[2] Nel 1893 venne inquadrato come sottotenente dell'89º Reggimento fanteria e trasferito a Brescia. Nel dicembre 1894 chiese di essere inviato a Massaua nella Colonia eritrea, dove fu assegnato al 3º battaglione fanteria Africa.[3]

Dopo aver scortato un convoglio fino al presidio di Adigrat, fu trasferito a Cheren e ad Adi Ugri presso il 4º battaglione fanteria indigena. Dopo la sconfitta di Adua del 1º marzo 1896 tornò ad Adigrat, dove ritrovò il fratello Ludovico[4] inizialmente dato per disperso e con cui partecipò alla finta marcia su Adua con la colonna Paganini. Successivamente passò alla Compagnia cacciatori di Asmara a Cassala e Cheren, dove ottenne un elogio per aver evitato l'accerchiamento dei dervisci nella campagna del 1896-1897.[3]

Durante il soggiorno a Cheren, ebbe una relazione con una donna eritrea chiamata Unesc Araià Capté, da cui ebbe quattro figli: Giovanni, Michele, Giorgina (morta dopo un anno) e Giorgio.[3]

Nel 1902 partecipò alla missione topografica del maggiore Martinelli per delimitare i confini eritrei-sudanesi nella zona del Setit, in cui Pollera divenne funzionario civile. Nel 1903 divenne il primo residente ufficiale delle regioni del Gasc e Setit, dove restò per circa sei anni, salvo brevi nomine a commissario del Barca ad Agordat. Nel 1905 Pollera venne messo a disposizione del ministero degli Esteri, divenendo ufficiale coloniale di prima categoria nel marzo 1906.[3]

Pollera urbanizzò la città di Cheren, con nuovi edifici, l'acquedotto, il collegamento stradale con Agordat e Omager e un orto sperimentale. Occupandosi di giustizia penale, incominciò a documentarsi sull'etnie Baria e Cunama, di cui nel 1913 scrisse un'importante monografia antropologica.[3]

Dopo aver conosciuto Chidan Menelik, nel marzo nacque ad Adi Ugri il quinto figlio, Mario, a cui seguirono Marta ed Alberto.[3]

Nel 1909 Pollera divenne commissario della provincia del Seraè, dove rimase otto anni e rivoluzionò le tradizionali élite con nuove forme di potere locale e regime della proprietà terriera. Diventato regio agente commerciale, venne inviato nel 1917 a Dessiè, Adua ed infine a Gondar dove ottenne l'importante nomina a console con il compito di instaurare rapporti con i capi tigrini in vista dell'invasione dell'Etiopia. Nel 1928 dovette tuttavia interrompere la sua attività per raggiunti limiti pensionistici; ciononostante decise di partecipare alla missione di Raimondo Franchetti in Dancalia, organizzando la logistica della spedizione.[3]

Dopo essere ritornato all'Asmara nell'aprile 1929, raggiunse poco dopo Gondar, dove venne nominato di nuovo console per due anni, durante i quali conobbe il negus Tafari che poi divenne imperatore con il nome di Hailé Selassié e lo insignì del titolo di gran ufficiale della Stella d'Etiopia.[3]

Dal 1932 al 1936 tornò all'Asmara, dove fu nominato direttore della biblioteca governativa e della sezione studi e propaganda del governo italiano dell'Eritrea. Dopo lo scoppio della guerra d'Etiopia, fu inviato ad Adua presso l'Ufficio politico del 2º corpo d'armata, dove venne promosso a tenente colonnello della riserva.[3]

La morte del figlio Giorgio, che venne insignito della medaglia d'oro al valor militare,[5] lo costrinse a rientrare all'Asmara nel 1937. Nella capitale eritrea divenne consigliere personale del governatore Giuseppe Daodice, ricevendo numerose onorificenze e incarichi di prestigio (giudice conciliatore d'Asmara e Hamasien, consigliere della Banca d'Italia, sindaco della società Saline Eritree di Massaua, presidente della Cassa di credito agrario e minerario dell'Eritrea).[3]

La tematica del riconoscimento giuridico dei figli meticci, argomento che riguardava la sua condizione familiare, lo occupò negli ultimi anni di vita: si ricorda in particolare un accorato appello da lui scritto direttamente a Benito Mussolini e il matrimonio in punto di morte della compagna eritrea Kidane Menelik, che venne considerato un atto altamente politico.[3]

Alberto Pollera morì presso l'ospedale civile Regina Elena di Asmara il 5 agosto 1939, due giorni dopo essersi sposato con effetti esclusivamente religiosi (stante il divieto, all'epoca vigente, di trascrizione del matrimonio canonico "razzialmente misto" nei registri dello stato civile),[3] e oggi riposa presso il cimitero italiano della capitale eritrea.[1]

  • I Baria e i Cunama, Roma, 1913.
  • La donna in Etiopia, Roma, 1922.
  • Lo Stato Etiopico e la sua Chiesa, Roma-Milano, 1926.
  • Che cosa è l’Etiopia, Torino, 1927.
  • La battaglia di Adua del 1º marzo 1896 narrata nei luoghi ove fu combattuta, Firenze, 1928.
  • Le popolazioni indigene dell’Eritrea, Bologna, 1935.
  • Storie, Leggende e Favole del Paese dei Negus, Firenze, 1936.
  • L’Abissinia di ieri, Roma, 1940.
  1. ^ a b Marilena Dolce, Alberto Pollera: la battaglia privata per i meticci in Eritrea, su Eritrea Live, 13 giugno 2017. URL consultato il 21 settembre 2017.
  2. ^ Nazareno Giusti, Alberto Pollera, un etnografo lucchese nella colonia Eritrea, in Le storie di ieri, 7 novembre 2014. URL consultato il 21 settembre 2017 (archiviato dall'url originale il 22 settembre 2017).
  3. ^ a b c d e f g h i j k l DBI.
  4. ^ Ludovico Pollera fu nominato governatore della Colonia eritrea dal 20 novembre 1920 al 13 aprile 1921
  5. ^ Giovanni Maria Pace, La triste commedia del papà razzista, in Repubblica, 26 gennaio 1997.

Bibliografia

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Collegamenti esterni

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