Malindo e Ardalico

coppia di fratelli nel ciclo carolingio, figli del conte di Fiandra e cavalieri di Carlo Magno
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Malindo e Ardalico sono due personaggi dell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto, menzionati nel diciottesimo libro del poema.

Malindo e Ardalico
Lingua orig.Italiano
AutoreLudovico Ariosto (Orlando furioso)
Caratteristiche immaginarie
Specieumana
SessoMaschi
Luogo di nascitaFiandra
Professionecavalieri
Affiliazionecavalieri di Carlo Magno

La vicenda dei due personaggi modifica

Le origini modifica

Malindo e Ardalico sono i giovani figli del conte di Fiandra. Essi figurano tra i difensori cristiani di Carlo Magno, che li ha anche fatti cavalieri: nel poema il re franco è assediato a Parigi dai saraceni di Agramante.

La morte modifica

Malindo e Ardalico si aggiungono con i loro uomini[1] al resto dell'esercito cristiano quando la guerra è già iniziata, avendo modo di compiere gesta valorose subito al loro arrivo. Quella stessa sera, però, vinti dalle fatiche, i due giovani condottieri si coricano nel loro padiglione piombando quindi in un sonno pesantissimo. Qui vengono sorpresi dal giovanissimo saraceno Medoro, che li colpisce con la spada. La duplice uccisione è causa di grande strazio per il re franco, che avrebbe anche voluto assegnare ai suoi pupilli alcune terre in Frisia per il loro valore militare.

 " Malindo uccise e Ardalico il fratello,
che del conte di Fiandra erano figli;
e l'uno e l'altro cavallier novello
fatto avea Carlo, e aggiunto all'arme i gigli,
perché il giorno amendui d'ostil macello
con gli stocchi tornar vide vermigli:
e terre in Frisa avea promesso loro,
e date avria; ma lo vietò Medoro. "

(Ludovico Ariosto, Orlando furioso, canto XVIII)

Interpretazione dell'episodio modifica

Mettendo da parte l'ironia graffiante di cui fa abitualmente uso, in quanto le due vittime sono nel poema tra i pochissimi casi di personaggi senza macchia alcuna, Ariosto dedica loro un'unica ma intensa ottava, che può suonare a tutti gli effetti come un gentile epitaffio rievocante la loro intera vicenda umana, coronata dall'onorificenza con i gigli di Carlo Magno. Questa lettura è seguita tra gli altri da David R. Slavitt, che nella sua traduzione in inglese del poema, piuttosto libera, inserisce addirittura un suggestivo scenario con la tomba dei rampolli di Fiandra ("Malindo he kills and his brother Ardalico / sons of Count of Flanders whom Charlemagne / had installed as knights only hours ago / [...] The only lands they get are small pieces of ground /in which their moldering bones may yet be found") [2] in un'amara riflessione sugli atroci scherzi del destino e sull'azione distruttiva del tempo - un'esigua superficie di terra ricopre gli scheletri deteriorati di Malindo e Ardalico, che in vita avevano aspirato a ingrandire i possedimenti del casato - stemperata solo dalla constatazione che almeno il ricordo di ciò che furono non è svanito, essendosi appunto perfettamente conservato il luogo di sepoltura in ragione del loro scudo nobiliare.

Malindo e Ardalico condividono la stessa sorte dell'omerico Reso - il giovane signore di Tracia alleato dei troiani - e dei guerrieri rutuli vittime di Eurialo e Niso nell'Eneide, tutti uccisi nel sonno dopo la prima giornata di guerra: tuttavia i due personaggi ariosteschi fanno in tempo a fornire, al contrario degli altri, dimostrazione del valore di guerrieri.

 " Disse, e spirò Minerva a Dïomede
robustezza divina. A dritta, a manca
fora, taglia ed uccide, e degli uccisi
il gemito la muta aria ferìa.
Corre sangue il terren: come lïone
sopravvenendo al non guardato gregge
scagliarsi, e capre e agnelle empio diserta;
tal nel mezzo de' Traci è Dïomede.
Già dodici n'avea trafitti; e quanti
colla spada ne miete il valoroso,
tanti n'afferra dopo lui d'un piede
lo scaltro Ulisse, e fuor di via li tira,
nettando il passo a' bei destrieri, ond'elli
alla strage non usi in cor non tremino,
le morte salme calpestando. Intanto
piomba su Reso il fier Tidìde, e priva
lui tredicesmo della dolce vita.
Sospirante lo colse ed affannoso
perché per opra di Minerva apparso
appunto in quella gli pendea sul capo,
tremenda visïon, d'Enide il figlio. "

(Omero, Iliade X, traduzione di Vincenzo Monti)

 " Così dice, e frena la voce: ed ecco di spada il superbo
Ramnete colpisce, che appunto, su molti tappeti
disteso, sonno a pieni polmoni sbuffava:
e questi era augure e re, e al re Turno carissimo,
ma non poté con l'augurio stornare da sé la rovina.
Tre servi vicino, a caso sdraiati fra l'armi,
e lo scudiero di Remo uccide, e l'auriga, trovato
là sotto i cavalli; col ferro il collo riverso ne squarcia.
Quindi lo stesso padrone decapita, e il tronco abbandona
che a fiotti vomita sangue: tiepida di strage nera
la terra s'inzuppa e il giaciglio. E Lamiro e Lamo,
e il giovane Serrano, che fino alla notte più tarda
aveva giocato, bellissimo, e ora spossato giaceva
dal molto vino: felice se, senza mai smettere avesse
uguagliato alla notte, fino al mattino, il suo gioco "

(Virgilio, Eneide, canto IX, traduzione di Rosa Calzecchi Onesti)

Riprese nella letteratura post-ariostesca modifica

L'episodio di Malindo e Ardalico viene recuperato da Giovanni Dolfin nella sua tragedia Il Medoro. È il guerriero cristiano Ottone, nel secondo atto dell'opera teatrale, a informare tutto spaventato il compagno Uggiero dell'aggressione mortale ai due giovani durante il loro sonno, pur menzionando espressamente il solo Ardalico e omettendo i riferimenti alla Contea di Fiandra:

 " Poi da una face accesa
Mentre era ancor l'Aurora
Molto da noi lontana,
Condotto fu della mia vista il raggio
A mirar poco lungi
Di sangue tinto il suolo;
E l'occhio più fissando,
Duo petti aperti io vidi
A sgorgarne torrenti.
Accostatemi scorsi
Ardalico, e il fratello,
Ch' agguagliar le prove
Fanciulli ancor, d'ogni più forte Eroe,
Svenati in sen della nascente Fama."

(Giovanni Dolfin, Il Medoro, atto 2, scena 5)

Dolfin aggiunge dunque dettagli più precisi sull'uccisione dei due eroi cristiani, che giacciono l'uno accanto all'altro in un rio di sangue sgorgato dai loro petti trafitti; ma soprattutto presenta Malindo e Ardalico come adolescenti, laddove nel Furioso potevano sembrare essere poco più grandi di Medoro. Ciò contribuisce ad accentuare il pathos per la loro fine prematura, già avvertibile nel modello ariostesco.

Curiosità modifica

  • Nell'opera lirica Orlando furioso di Antonio Vivaldi, ispirata al poema ariostesco, la guerriera cristiana Bradamante, per salvare l'amato Ruggiero dalle grinfie della fata Alcina, si presenta a costei in un'armatura tipicamente maschile spacciandosi per Ardalico (il quale invece non compare mai in carne e ossa).

Fonti modifica

Note modifica

  1. ^ Si conoscono solo i nomi di un paio di guerrieri agli ordini dei due fratelli: Anselmo e Oldrado, caduti in combattimento per opera di Rodomonte nel canto XIV («Uccide di rovescio in una volta/Anselmo, Oldrado, Spineloccio e Prando:/il luogo stretto e la gran turba folta/fece girar sì pienamente il brando./Fu la prima metade a Fiandra tolta,/l'altra scemata al populo normando.»)
  2. ^ Ludovico Ariosto, Orlando Furioso: A New Verse Translation translated by David R. Slavitt. Harvard University Press, 2009

Voci correlate modifica