Battaglia di Aquilonia

La battaglia di Aquilonia è stata una battaglia vinta dai Romani contro i Sanniti nel 293 a.C. La battaglia è considerata la fine delle guerre sannitiche, sebbene gli scontri proseguissero anche negli anni successivi: la sconfitta impedì tuttavia ai Sanniti di risollevarsi militarmente in maniera significativa ed essi cessarono quindi di essere un pericolo per la supremazia di Roma sull'Italia.

Battaglia di Aquilonia
parte della terza guerra sannitica
Mappa dei territori coinvolti nella terza guerra sannitica
Data293 a.C.
LuogoAquilonia
Esitovittoria romana
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
60.000
Voci di battaglie presenti su Wikipedia

Preparazione modifica

Sanniti modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Legio Linteata.

Nel 293 a.C. i Sanniti erano arrivati a utilizzare le loro ultime forze: per ricostruire l'esercito, dovettero ricorrere ad un arruolamento forzato, descritto da Tito Livio:

(LA)

«... et deorum etiam adhibuerant opes ritu quodam sacramenti vetusto velut initiatis militibus, dilectu per omne Samnium habito nova lege, ut qui iuniorum non convenisset ad imperatoribus edictum quique iniussu abisset caput Iovis sacraretur.»

(IT)

«... fecero ricorso agli dèi, iniziando con un antico rito sacro, facendo le leve in tutto il Sannio secondo una nuova legge, per la quale quelli che erano atti alle armi che non si fossero presentati all'editto dei capi o che si fossero allontanati senza permesso fossero immolati a Giove.»

Tutto l'esercito, di circa 60.000 uomini, fu condotto nella città sannitica di Aquilonia (da non confondersi con l'omonima città romana, situata invece nel territorio degli Irpini). Un'area di circa duecento piedi di lato (60 metri circa) venne chiusa da graticci e coperta da tele. Il sacerdote Ovio Paccio, ricavato un antico rituale liturgico sannita dai Libri lintei offrì un sacrificio. Dopo il sacrificio, i più nobili e agguerriti componenti dell'esercito sannita furono chiamati uno alla volta all'interno dell'area coperta dove erano presenti altari con attorno vittime uccise e ufficiali con le spade snudate. Chi veniva fatto entrare doveva giurare che non avrebbe rivelato cosa accadeva nel recinto:

(LA)

«Dein jurare cogebant diro quodam carmine, in execrationem capitis familiaeque et stirpis composito, nisi isset in proelium quo imperatores duxissent et si aut ipse ex acie fugisset aut si quem fugientem vidisset non extemplo occidesset.»

(IT)

«Gli si richiedeva poi un altro giuramento stilato in una formula truce con la quale richiamava la maledizione sul proprio capo, sulla propria famiglia, sulla discendenza, se non avesse seguito i suoi duci nel combattimento a cui essi lo chiamavano, se fosse fuggito dalla battaglia, se non avesse ucciso immediatamente chi avesse visto fuggire.»

Furono quindi scelti i dieci migliori soldati che scelsero man mano i loro compagni, fino a raggiungere il numero di 16.000 uomini. Dotati di armi più vistose ed elmi con pennacchi per renderli più facilmente riconoscibili, i componenti furono inquadrati nelle coorti linteate (secondo Livio così chiamate per la copertura di tela di lino del recinto dei giuramenti). Il resto dei Sanniti, circa 20.000 uomini, fu fatto accampare vicino ad Aquilonia[1].

Roma modifica

I consoli romani Spurio Carvilio Massimo e Lucio Papirio Cursore, raccolte le loro legioni, assaltarono ed espugnarono rispettivamente Aminterno e Duronia uccidendo e catturando circa 7.000 nemici ciascuno. Dopo aver saccheggiato il Sannio nella zona di Atina, Papirio si portò ad Aquilonia, dove c'era la concentrazione della maggior parte delle forze sannite, e Carvilio a Cominio, a circa venti miglia di distanza.

Seguì una serie di scaramucce ma i Sanniti non rispondevano alle provocazioni accettando una aperta battaglia campale. I due consoli si mantenevano in stretto contatto e le decisioni erano prese di comune accordo.

Infine Lucio Papirio si sentì pronto e mandò un messaggero a Spurio Carvilio informandolo che, se gli auspici fossero stati favorevoli, avrebbe attaccato i Sanniti il giorno seguente. A copertura della sua azione sarebbe stato utile che Carvilio attaccasse la città di Cominio per impedire che da lì potesse partire un contingente sannita in aiuto dei conterranei di Aquilonia. Il messaggero, nella notte, tornò con la risposta di Papirio che approvava il piano del collega.

Lucio Papirio, tenne un discorso ai soldati, ricordando che suo padre aveva già affrontato una legione sannita con corazze d'oro e d'argento, servite per adornare i templi di Roma e degli alleati (310 a.C.[2]). Alla terza vigilia (poco dopo mezzanotte) Papirio convocò i pullari, gli aruspici che dovevano trarre auspici dal comportamento dei sacri polli; uno dei pullari, infervorato, annunciò al console che i presagi erano favorevoli; i polli avevano dato vita a un "tripudium solistimum". I polli invece avevano mangiato svogliatamente, presagio infausto, ma quando venne informato, Papirio si ritenne comunque autorizzato a combattere ugualmente, essendogli stato riferito un responso favorevole.

La battaglia modifica

Papirio stava per scendere in campo quando un disertore informò i Romani che circa venti coorti sannite (delle quaranta stanziate ad Aquilonia) erano partite alla volta di Cominio. Papirio diede l'ordine di accelerare l'avanzata e pose Lucio Volumnio all'ala destra, Lucio Scipione all'ala sinistra, Caio Cecilio e Tito Trebonio a comandare la cavalleria. Spurio Nauzio al comando degli ausiliari venne inviato con i muli e tre coorti a generare un grande polverone su una collina. Nel frattempo un messaggero venne mandato a informare l'altro console della partenza delle venti coorti alla volta di Cominio.

L'inizio dello scontro è raccontato in questo modo da Livio:

(LA)

«Instare Romanus a cornu utroque a media acie et caedere deorum hominumque attonitos metu; repugnatur segniter, ut ab iis timor moraretur a fuga.»

(IT)

«Grande era la pressione dei Romani ai fianchi e al centro e larga la strage dei nemici svigoriti dal timore degli dèi e degli uomini; tiepida la resistenza, come di gente che non fugge per paura.»

Quando già i Sanniti stavano per cedere, arrivarono su un fianco gli ausiliari di Spurio Nauzio e Papirio ordinò alla cavalleria di passare attraverso le file romane e di gettarsi sui nemici. La fanteria seguì la cavalleria facendo strage dei Sanniti, che ruppero lo schieramento e si diedero alla fuga, nonostante i giuramenti.

La cavalleria romana inseguì i nobili Sanniti a cavallo, diretti verso Bovianum. La fanteria di Volumnio inseguì i Sanniti fin nel loro accampamento, che fu conquistato di slancio, mentre quella di Scipione inseguì i nemici verso Aquilonia, conquistandone un tratto delle mura con l'utilizzo della formazione a testuggine. Papirio radunato il grosso dell'esercito ordinò l'assalto alla città, ma il calare della notte ne impedì la conquista totale.

(LA)

«Nocte oppidum ab hostibus desertum est.»

(IT)

«Nel corso della notte i nemici abbandonarono la città.»

Dopo la battaglia modifica

(LA)

«Caesa illo die ad Aquiloniam Samnitium mila viginti trecenti quadraginta, capta tria milia octingenti septuaginta, signa militaria nonaginta septem.»

(IT)

«In quella giornata intorno ad Aquilonia i Sanniti ebbero ventimila e trecentoquaranta morti; i prigionieri furono tremilaottocentosettanta, le insegne militari conquistate novantasette [...]»

Spurio Carvilio aveva nella stessa giornata assaltato e preso la città di Cominio, lasciando al legato Decimo Bruto il compito di opporsi all'avanzata di parte dell'esercito sannita, di cui era stato informato dal collega. I Sanniti, tuttavia, giunti a 7 miglia da Cominio vennero richiamati ad Aquilonia, dove giunsero al termine della battaglia, quando il loro accampamento era stato già conquistato. Si misero a dormire sulla nuda terra e furono scoperti il mattino seguente dalle pattuglie romane e costretti a fuggire rifugiandosi a Boviano: persero 280 uomini della retroguardia e 18 insegne militari.

A sottomettere definitivamente i Sanniti fu Manio Curio Dentato nel 290 a.C.

Note modifica

  1. ^ Poiché Livio, poco prima aveva riferito di un esercito di 60.000 uomini, si presume che i restanti combattenti fossero forze inviate da altri popoli alleati
  2. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita, IX,40

Voci correlate modifica