Giustino II

imperatore bizantino

Giustino II (520 circa – Costantinopoli, 5 ottobre 578) è stato un imperatore romano dal 565 al 578. Fu nipote e successore di Giustiniano I.

Giustino II
Solido con l’effigie di Giustino II
Imperatore romano d'Oriente
In carica15 novembre 565 –
5 ottobre 578
PredecessoreGiustiniano I
SuccessoreTiberio II Costantino
Nome completoFlavius Iustinus Iunior Augustus
Nascita520 circa
MorteCostantinopoli, 5 ottobre 578
DinastiaGiustinianea
PadreDulcidio
MadreVigilanzia
ConsorteSofia
ReligioneCristianesimo
Punizioni corporali fatte infliggere a un suo parente da Giustino II

I primi anni modifica

Di origini trace,[1] era figlio di Dulcidio e di Vigilanzia, sorella dell'Imperatore Giustiniano.[2] Era fratello di Marcello e di Proiecta e cugino di Giustino. Sposato con Sofia, ebbe due figli: Giusto e Arabia. Era suocero del generale Baduario.

Dal 552 fino al 565 fu curapalates, ricoprendo alcuni importanti incarichi per Giustiniano. Nel 552 tentò, con altri gloriosi iudices (tra cui Belisario) di persuadere Papa Vigilio a ritornare a Costantinopoli.[3] Nel 559 fu inviato a scortare gli invasori Kutriguri, vinti da Belisario, oltre il Danubio,[4] mentre nel 562 e nel 563 fu inviato a reprimere le violenze tra le fazioni dell'ippodromo.[5]

Regno modifica

Politica interna modifica

Giustino si avvalse della sua influenza come mastro di palazzo, e del matrimonio con Sofia, nipote dell'imperatrice Teodora, per assicurarsi un'elezione pacifica. I primissimi giorni del suo regno (quando pagò i debiti dello zio, amministrò la giustizia di persona e proclamò la tolleranza religiosa universale) diedero adito a speranze, ma di fronte all'aristocrazia senza legge e a governatori provinciali incuranti, furono poche le riforme che attuò successivamente.

Politica estera modifica

L'ambasciata degli Avari modifica

Fonte importante per i primo otto giorni del regno di Giustino, ripreso interamente da Gibbon, che si limitò a parafrasarlo, è In laudem Iustini Augusti minoris di Flavio Cresconio Corippo.[6] Nel settimo giorno di regno l'Imperatore diede udienza agli ambasciatori degli Avari, popolazione alla quale i Bizantini pagavano un tributo annuale pur di tenerli buoni. L'ambasciatore avaro chiese che l'Imperatore continuasse a pagare loro un tributo, come aveva fatto il suo predecessore. Questa fu la risposta di Giustino II:

(EN)

«"The empire," said he, "abounds with men and horses, and arms sufficient to defend our frontiers, and to chastise the Barbarians. You offer aid, you threaten hostilities: we despise your enmity and your aid. The conquerors of the Avars solicit our alliance; shall we dread their fugitives and exiles? The bounty of our uncle was granted to your misery, to your humble prayers. From us you shall receive [...] the knowledge of your own weakness. Retire from our presence; the lives of ambassadors are safe; and, if you return to implore our pardon, perhaps you will taste of our benevolence."»

(IT)

«L'impero abbonda di uomini e cavalli, e di eserciti sufficienti a difendere le nostre frontiere, e a castigare i Barbari. Voi offrite aiuto, voi minacciate ostilità: noi disdegniamo la vostra ostilità e il vostro aiuto. I conquistatori degli Avari sollecitano la nostra alleanza; dovremmo noi temere i loro fuggitivi e esiliati? La bontà di nostro zio era dovuta alla vostra miseria, alle vostre umili preghiere. Da noi riceverete [...] la conoscenza della vostra debolezza. Ritiratevi dalla nostra presenza; le vite degli ambasciatori sono salve; e, se ritornerete a implorare il nostro perdono, forse gusterete la nostra benevolenza.»

Ricevuta la risposta dell'Imperatore, il Khagan degli Avari decise di non invadere l'Impero romano d'Oriente ma piuttosto di muovere guerra prima ai Franchi e poi ai Gepidi. La distruzione del regno dei Gepidi, alleati dei Romani, fu raggiunta grazie all'alleanza con i Longobardi; i Romani non mossero un dito per aiutare i loro alleati. La distruzione del Regno dei Gepidi, secondo Gibbon, lasciò l'Impero romano esposto, senza barriera, agli attacchi di queste temibili popolazioni barbariche.

L'invasione dei Longobardi modifica

 
Mappa dell'Italia bizantina e longobarda nel 572

Nei suoi 15 anni di governo, Narsete, strategos autokrator (generalissimo) d'Italia, aveva accumulato una grossa fortuna a spese dei sudditi, oppressi dalle troppe tasse. L'imperatore Giustino, intorno al 568, ricevette le proteste degli abitanti di Roma, che sostenevano che era meglio sottostare alla dominazione gota piuttosto che a quella greca e minacciavano, in caso di mancata rimozione di Narsete, di consegnare Roma e l'Italia ai Barbari.

(LA)

«Aut libera nos de manu eius, aut certe et civitatem Romanam et nosmetipsos gentibus tradimus»

(IT)

«Liberaci dalla sua mano, oppure, senza fallo, consegneremo la città di Roma e noi stessi ai Barbari»

Quando Narsete lo seppe, pare abbia detto:

(LA)

«Si male feci Romanis, male inveniam»

(IT)

«Se male mi sono comportato con i Romani, male possa io ricevere.»

L'Imperatore si adirò con Narsete e lo destituì, sostituendolo con Longino, che ricevette la carica di Prefetto del pretorio d'Italia. Narsete, ricevuta tale notizia, e adiratosi non solo con l'Imperatore ma anche con l'Imperatrice Sofia (che lo minacciava di costringerlo a distribuire la lana alle ragazze del gineceo), decise di ritirarsi a Napoli da dove scrisse ai Longobardi, invitandoli a invadere l'Italia. Alboino accettò l'invito; dopo essersi alleato con i Sassoni, Alboino e tutto il suo popolo abbandonarono la Pannonia per andare a stabilirsi in Italia. La storia dell'invito di Narsete viene però considerata inattendibile dagli storici odierni, che attribuiscono la calata dei Longobardi in Italia alle pressioni esercitate dall'espansionismo avaro, che spinsero i Longobardi a migrare in Italia. Alcuni hanno addirittura congetturato che i Longobardi sarebbero stati invitati in Italia dal governo bizantino stesso, che intendeva utilizzarli come foederati per contenere i Franchi, anche se queste sono pure congetture non verificabili.

I Longobardi entrarono in Italia passando per le Venezie: la prima città ad essere conquistata fu Forum Iulii. A questa conquista, seguì la presa di Verona e quella di Vicenza, mentre Padova e Monselice, ben guarnite di truppe, resistettero agli assalti longobardi. Anche Mantova oppose strenua resistenza. L'anno successivo l'avanzata dei Longobardi riprese, con l'invasione della Lombardia e la conquista di Milano (3 settembre 569). Sottomessa tutta l'Italia nord-occidentale ad eccezione del litorale ligure e di Susa e dell'Isola Comacina, Alboino avviò l'assedio di Pavia, che durò per ben tre anni, durante i quali i Longobardi dilagarono anche in Tuscia; alla caduta di Pavia nel 572, essa divenne la capitale del regno longobardo. Approfittando delle disastrose condizioni dell'esercito bizantino, decimato dalla peste, alcuni duchi longobardi, Zottone e Faroaldo, si spinsero ancora più a Sud, fondando i Ducati di Spoleto e Benevento. I Bizantini, a parte il corridoio bizantino che collegava Roma con Ravenna, erano rimasti in possesso solo delle zone costiere mentre l'interno era quasi tutto longobardo.

Rimanevano in mano bizantina:

  • Ravenna e dintorni
  • il corridoio "bizantino"
  • il ducato romano
  • nel Veneto, Padova, Monselice e Cremona
  • nella Liguria, Genova e altre città costiere
  • Napoli e dintorni, Sicilia, Sardegna, Corsica e parte della Calabria e della Puglia.

Alboino morì assassinato in una congiura di palazzo organizzata da sua moglie Rosmunda e dall'amante di questa Elmichi; i congiurati tuttavia furono costretti alla fuga dal popolo longobardo stesso, adiratosi per la morte del loro amato re e si rifugiarono a Ravenna, la capitale dell'Italia bizantina. Il prefetto d'Italia Longino propose a Rosmunda di sposarlo a patto che uccidesse Elmichi; Rosmunda, assetata di potere, avvelenò Elmichi ma quest'ultimo costrinse anche lei a bere il veleno, e in questo modo morirono entrambi. Longino consegnò il tesoro dei Longobardi, che Rosmunda e Elmichi avevano portato con loro a Ravenna, all'Imperatore. Pare che con il tesoro arrivò anche Peredeo, l'assassino di Alboino, che venne accecato per ordine dell'Imperatore. La vendetta di Peredeo (uccise due funzionari imperiali) ricorda in modo imperfetto quella del personaggio biblico Sansone.

Africa e Spagna modifica

In Africa era emersa la minaccia di Garmul, un re mauro, che attaccò dal 569 al 571 per ben tre volte l'Africa bizantina, vincendo e uccidendo tre comandanti imperiali:[7]

(LA)

«Theodorus praefectus Africae a Mauris interfectus est.»

(IT)

«Teodoro prefetto d'Africa viene ucciso dai Mauri.»

(LA)

«Theoctistus magister militum provinciae Africanae a Mauris bello superatus interiit.»

(IT)

«Teoctisto magister militum della provincia africana, superato in guerra dai Mauri, perisce.»

(LA)

«Amabilis magister militiae Africae a Mauris occiditur.»

(IT)

«Amabile magister militiae d'Africa viene ucciso dai Mauri.»

Nel frattempo anche i possedimenti bizantini in Spagna meridionale erano minacciati dalle iniziative di Leovigildo, re dei Visigoti, il cui intento era riportare la Spagna visigota ai suoi antichi confini, sconfiggendo imperiali e ribelli. Nel 570 il re visigoto invase la provincia di Spania, sconfiggendo gli Imperiali e annettendo i distretti di Baza e Malaga, mentre l'anno successivo conquistò la città di Asidonia:[8]

(LA)

«Leovegildus rex loca Bastetaniae et Malacitanae urbis repulsis militibus vastat et victor solio reddit.»

(IT)

«Re Leovigildo, respinti i soldati, devastò le città di Bastetania e Malacitana, e ritornò vincitore sul trono.»

(LA)

«Leovegildus rex Asidonam fortissimam civitatem proditione cuiusdam Framidanei nocte occupat et militibus interfectis memoratam urbem ad Gothorum revocat iura.»

(IT)

«Re Leovigildo occupò di notte la fortissima città di Asidona grazie al tradimento di tal Framidaneo e, uccisi i soldati, riportò sotto dominio goto la sopraddetta città.»

Incerto è se la città di Cordova, riconquistata nel 572 da Leovigildo, fosse in mano imperiale o fosse in mano a ribelli indipendenti sia dagli imperiali che dai Visigoti.

La guerra persiana modifica

Se Giustino II avesse inviato truppe in difesa di Italia e Spagna, invase da Longobardi e Visigoti, quando non era impegnato su altri fronti, forse sarebbe riuscito a respingere i due invasori. Al contrario, non solo non inviò truppe in difesa di queste due regioni, ma violò incautamente la pace con la Persia che con tanti sforzi suo zio Giustiniano aveva comprato con un tributo. Infatti nell'anno 572 smise di pagare il tributo ai Persiani (ritenuto da alcuni storici dell'epoca umiliante) e favorì una rivolta antipersiana in Armenia, generando una nuova guerra con la Persia. Dopo due campagne disastrose, nelle quali i Persiani travolsero la Siria, Giustino comprò una pace precaria dietro pagamento di un tributo annuo.

Follia e morte modifica

Nel 573, a causa della perdita di Dara, conquistata dai Persiani, Giustino II divenne folle.[9] Le temporanee crisi di follia nelle quali precipitava gli suggerirono di nominare un successore. Scavalcando i suoi parenti scelse come Cesare, su consiglio di Sofia, il generale Tiberio, nel dicembre 574.

Questo fu il discorso di Giustino II a Tiberio:[10]

(EN)

«"You behold," said the emperor, "the ensigns of supreme power. You are about to receive them, not from my hand, but from the hand of God. Honor them, and from them you will derive honor. Respect the empress your mother: you are now her son; before, you were her servant. Delight not in blood; abstain from revenge; avoid those actions by which I have incurred the public hatred; and consult the experience, rather than the example, of your predecessor. As a man, I have sinned; as a sinner, even in this life, I have been severely punished: but these servants, (and we pointed to his ministers,) who have abused my confidence, and inflamed my passions, will appear with me before the tribunal of Christ. I have been dazzled by the splendour of the diadem: be thou wise and modest; remember what you have been, remember what you are. You see around us your slaves, and your children: with the authority, assume the tenderness, of a parent. Love your people like yourself; cultivate the affections, maintain the discipline, of the army; protect the fortunes of the rich, relieve the necessities of the poor."»

(IT)

«Guarda le insegne del potere supremo. Ora stai per riceverle, non dalla mia mano, ma dalla mano di Dio. Onorale, e da esse riceverai onore. Rispetta l'imperatrice tua madre: ora sei suo figlio; prima, eri il suo servo. Non provare piacere nel sangue; astieniti dalla vendetta; evita queste azioni a causa delle quali ho suscitato l'odio pubblico; e prendi l'esperienza, e non seguire l'esempio, del tuo predecessore. Come uomo, ho peccato; come peccatore, anche in questa vita, sono stato severamente punito: ma questi servi, (e noi ci riferiamo ai suoi ministri) che hanno abusato della mia confidenza, e infiammato le mie passioni, appariranno con me davanti al tribunale di Cristo. Sono stato abbagliato dallo splendore del diadema: si saggio e modesto; ricorda quello che sei stato, ricorda chi sei adesso. Sei intorno a noi tuoi schiavi, e tuoi figli: con autorità, assumi la tenerezza, di un genitore. Ama il tuo popolo come ami te stesso; coltiva gli affetti, mantieni la disciplina, dell'esercito; proteggi le fortune del ricco, soddisfa le necessità del povero.»

Tiberio ricevette il diadema sulle sue ginocchia; e Giustino rivolse al nuovo monarca le seguenti parole:[11]

(EN)

«"If you consent, I live; if you command, I die: may the God of heaven and earth infuse into your heart whatever I have neglected or forgotten."»

(IT)

«Se tu acconsenti, vivo; se tu comandi, muoio: possa il Dio del cielo e della terra infonderti nel tuo cuore qualsiasi cosa abbia trascurato o scordato.»

Giustino abbandonò la carica e si ritirò a vita privata per gli anni che gli restavano. Morì nel 578.

Giudizi modifica

 
20 nummi di Giustino II rappresentato con la moglie Sofia

Paolo Diacono descrive Giustino come un tiranno avido che opprimeva la popolazione e che per punizione divina divenne pazzo:

(LA)

«Per haec tempora apud Constantinopolim, ut supra praemissum est, iustinus minor regnabat, vir in omni avaritia deditus, contemptor pauperum, senatorum spoliator. Cui tanta fuit cupiditatis rabies, ut arcas iuberet ferreas fieri, in quibus ea quae rapiebat auri talenta congereret. Quem etiam ferunt in heresim Pelagianam dilapsum. Hic cum a divinis mandatis aurem cordis averteret, iusto Dei iudicio amisso rationis intellectu amens effectus est.»

(IT)

«Durante questi avvenimenti, regnava a Costantinopoli Giustino minore, persona avida di ogni cosa, che non rispettava i poveri e spogliava i senatori. Ebbe tanta furia di possedere, che fece costruire casse di ferro nelle quali ammassare i talenti d'oro che rapinava. Dicono, anche, che abbia aderito all'eresia pelagiana. Poiché distoglieva l'orecchio del cuore dai divini insegnamenti, il giusto giudizio di Dio gli fece perdere la ragione, e divenne pazzo.»

Gibbon parla in questo modo di Giustino, descrivendo le calamità che affliggevano l'Impero durante il suo regno e sostenendo che forse Giustino sarebbe stato un sovrano migliore se non fosse impazzito:

(EN)

«When the nephew of Justinian ascended the throne, he proclaimed a new aera of happiness and glory. The annals of the second Justin are marked with disgrace abroad and misery at home. In the West, the Roman empire was afflicted by the loss of Italy, the desolation of Africa, and the conquests of the Persians. Injustice prevailed both in the capital and the provinces: the rich trembled for their property, the poor for their safety, the ordinary magistrates were ignorant or venal, the occasional remedies appear to have been arbitrary and violent, and the complaints of the people could no longer be silenced by the splendid names of a legislator and a conqueror. The opinion which imputes to the prince all the calamities of his times may be countenanced by the historian as a serious truth or a salutary prejudice. Yet a candid suspicion will arise, that the sentiments of Justin were pure and benevolent, and that he might have filled his station without reproach, if the faculties of his mind had not been impaired by disease, which deprived the emperor of the use of his feet, and confined him to the palace, a stranger to the complaints of the people and the vices of the government. The tardy knowledge of his own impotence determined him to lay down the weight of the diadem; and, in the choice of a worthy substitute, he showed some symptoms of a discerning and even magnanimous spirit.»

(IT)

«Quando il nipote di Giustiniano salì al trono, proclamò una nuova era di felicità e di gloria. Gli annali del secondo Giustino sono segnati dalla disgrazia all'estero e dalla miseria a casa. In Occidente, l'Impero romano venne afflitto dalla perdita dell'Italia, la desolazione dell'Africa, e dalle conquiste dei Persiani. L'ingiustizia prevalse sia nella capitale che nelle province: i ricchi tremavano per le loro proprietà, i poveri per la loro sicurezza, i magistrati ordinari erano ignoranti o venali, i rimedi occasionali sembrano essere stati arbitrari e violenti, e i lamenti del popolo non potevano più essere zittiti dai splendidi nomi di un legislatore e di un conquistatore. L'opinione che imputa al principe tutte le calamità dei suoi tempi potrebbe essere considerata dallo storico una seria verità o un salutare pregiudizio. Eppure si solleverà un candido sospetto, che i sentimenti di Giustino erano puri e benevolenti, e che avrebbe potuto ricoprire il suo ruolo senza subire rimproveri, se le facoltà della sua mente non fossero state compromesse dalla malattia, che privò l'imperatore dell'uso delle gambe, e lo confinò nel palazzo, uno straniero ai lamenti del popolo e ai vizi del governo. La tarda conoscenza della propria impotenza fece sì che rinunciò al peso del diadema; e, nella scelta di un sostituto degno, mostrò alcuni sintomi di uno spirito perspicace e magnanimo.»

Note modifica

  1. ^ Teofane, AM 6058.
  2. ^ Vittore Tuennense, anno 567.
  3. ^ Vigilio, Epistola 1.
  4. ^ Teofane, AM 6051.
  5. ^ Teofane, AM 6054 e AM 6055.
  6. ^ Giovanni Polara, I regni barbarici del VI secolo, L'Africa, La poesia: Draconzio e Corippo, in Letteratura latina tardoantica e altomedievale, Jouvence, pp. 81-84, ISBN 88-7801-069-3.
  7. ^ PLRE IIIa, lemma "Garmul".
  8. ^ Giovanni di Biclaro, anni 570-571; Isidoro, Historia Gothorum, 49.
  9. ^ Treadgold, p. 223
  10. ^ Gibbon, p. 342
  11. ^ Gibbon, p. 343

Bibliografia modifica

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