Greenwashing
Greenwashing, neologismo inglese che generalmente viene tradotto come ecologismo di facciata[1] o ambientalismo di facciata[2], indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un'immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell'impatto ambientale, allo scopo di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dagli effetti negativi per l'ambiente dovuti alle proprie attività o ai propri prodotti, che venne instaurata già dagli anni settanta[3].
StoriaModifica
Il termine è una sincrasi delle parole inglesi green (verde, colore simbolo dell'ecologismo) e washing (lavare) che richiama il verbo to whitewash (in senso proprio "imbiancare, dare la calce", e quindi per estensione "coprire, nascondere"): potrebbe pertanto essere reso in italiano con l'espressione "darsi una patina di credibilità ambientale".[4] La sua introduzione viene fatta risalire all'ambientalista statunitense Jay Westerveld, che per primo lo impiegò nel 1986 per stigmatizzare la pratica delle catene alberghiere che facevano leva sull'impatto ambientale del lavaggio della biancheria per invitare gli utenti a ridurre il consumo di asciugamani, quando in realtà tale invito muoveva prevalentemente da motivazioni di tipo economico.[5]
Già negli anni sessanta, tuttavia, con il primo timido affacciarsi del tema ecologico nel dibattito pubblico, alcune imprese furono indotte a darsi artatamente un'immagine più "verde", secondo una pratica che l'esperto pubblicitario Jerry Mander definì "ecopornografia".[6] Ma è stato soprattutto a partire dagli anni novanta che si è intensificato il ricorso alla pratica del greenwashing da parte delle imprese, alimentato dalla crescita dell'attenzione dei consumatori ai temi della tutela dell'ambiente e anche dell'incidenza dell'impatto ambientale sulle decisioni di acquisto o consumo. Una tendenza simile ha riguardato anche le organizzazioni politiche, alle prese con un'accresciuta sensibilità dei cittadini alle scelte di sviluppo sostenibile.
Il greenwashing è stato definito:
«Una forma di appropriazione indebita di virtù e di qualità ecosensibili per conquistare il favore dei consumatori o, peggio, per far dimenticare la propria cattiva reputazione di azienda le cui attività compromettono l'ambiente» |
(Valentina Furlanetto, L'industria della carità, p. 156) |
Malgrado esistano anche altre[7][8] definizioni di greenwashing, secondo un articolo pubblicato nel 2015[9]:
(EN)
«[..] Indeed, the main shortcoming of existing definitions is of epistemological origin: none of the existing definitionsrecognizes the interrelational nature of the phenomenon or the importance of accusations of greenwashing froman external party. Most of the definitions consider greenwashing only as a deliberative corporate action or messagewithout addressing the cognitive aspects associated with the phenomenon.» |
(IT)
«La principale lacuna delle definizioni esistenti è di origine epistemologica: nessuna delle definizioni esistenti riconosce la natura interrelazionale del fenomeno o l'importanza delle accuse di greenwashing mosse da un soggetto esterno. La maggior parte delle definizioni considera il greenwashing solo come un modus operandi aziendale, senza però affrontare gli aspetti cognitivi associati al fenomeno.» |
(Peter Selene, Lucia Gatti - Greenwashing Revisited: In Search of a Typology and Accusation-Based Definition Incorporating Legitimacy Strategies, p. 10) |
MarketingModifica
Il greenwashing è anche considerabile una nuova frontiera del marketing, caratterizzata dal presentare una immagine aziendale accomodante e schierata a favore delle questioni ambientaliste, allo scopo di far abbassare l'attenzione sugli eventuali difetti del prodotto[10].
Dal "greenwashing" discendono altri neologismi che stanno ad indicare la stessa condotta aziendale veicolata, però, mediante lo sfruttamento di diverse questioni sociali. Ne sono esempi il pinkwashing che punta ad abbassare l'attenzione sugli eventuali difetti del prodotto, ammaliando l'acquirente con prodotti contrassegnati dal fiocchetto rosa (simbolo della lotta al tumore al seno) o proponendo, più in generale, articoli che sensibilizzino i potenziali consumatori sul tema dell'emancipazione femminile,[11] il genderwashing che tenta di distogliere l'attenzione del consumatore sull'aspetto qualitativo del prodotto, proponendolo con chiari riferimenti all'abbattimento delle differenze di genere,[12] il rainbow washing che invoglia il consumo di merci non troppo differenti da quelle proposte dai concorrenti, differenziandole tramite attività promozionali inclusive che raffigurino, senza stereotipi, il quotidiano omosessuale oppure marchiando le merci stesse con marche che facciano riferimento al mondo gay, ciò attraverso l'uso di colori, immagini, simboli specifici.[13]
Queste nuove frontiere del marketing possono essere sfruttate solo laddove è stato raggiunto un adeguato senso civico di rispetto per l'ambiente e per le minoranze, in quanto fanno leva su un diffuso senso civile di carattere inclusivo. Esse possono influenzare, in contesti socialmente sviluppati, le leve del marketing mix, soprattutto la leva del prodotto e la leva pubblicitaria.
Greenmarketing vs greenwashingModifica
Ciò che differenzia il green marketing, o marketing verde, dal greenwashing è il presupposto su cui le due strategie di comunicazione, o di marketing, si fondano. Le aziende che adottano una strategia di marketing verde si dichiarano responsabili sociali del ciclo di vita dei loro prodotti, che vengono generalmente considerati preferibili ad altri presenti sul mercato in termini di impatto ambientale e sostenibilità.[14]
Un fattore che definisce la strategia del marketing verde è la verificabilità dell'effettivo basso impatto ambientale del prodotto: le aziende si impegnano a rivoluzionare ogni aspetto della produzione in funzione di un reale riscontro ecologico, rivoluzionando così tutti gli aspetti che riguardano il ciclo di vita dei loro prodotti: il monitoraggio e l'analisi del ciclo, la catena di produzione, gli imballaggi, le emissioni, la comunicazione e le strategia aziendale stessa.
Per quanto riguarda gli aspetti legati alla comunicazione interna ed esterna, le aziende che adottano la strategia del marketing verde propongono dei claim e delle strategie di comunicazione veritiere e trasparenti, che riflettono attraverso dati reali l'effettivo impatto che i prodotti hanno sull'ambiente, dalla produzione, al trasporto, al consumo arrivando fino alla gestione dei rifiuti.[15] Per greenwashing si intende, invece, quella strategia il cui presupposto è quello di ingannare il consumatore utilizzando claim, pubblicità e comunicazione aziendale con riferimenti all’ecologia e alla sostenibilità per occultare il reale impatto ambientale negativo del prodotto proposto dall'azienda.[16] Le aziende che adottano questa strategia fanno principalmente leva sulla percezione del consumatore[17], il quale viene ingannato attraverso claim e slogan non trasparenti, volti a costruire un'immagine ambientale dell'azienda che non corrisponde alla realtà.
A differenza delle aziende che adottano la strategia del green marketing, quelle che adottano quella del greenwashing tendono ad amplificare, qualora ce ne siano stati, gli sforzi compiuti per diminuire l'impatto ambientale dei loro prodotti, proponendo tramite pubblicità e comunicazione un'idea di sostenibilità che non è effettivamente riscontrabile nella produzione e nella missione dell'azienda.[16][18]
Nel Regno Unito è diffusa la particolare consapevolezza che il greenwashing non sia legato ad intenti disonesti quanto piuttosto all’ignoranza e alla trascuratezza da parte delle aziende. A tal proposito è stata creata dall’agenzia di comunicazione “Futerra Sustainability Communications” una guida al Greenwash per ricordare i maggiori pericoli presenti soprattutto nelle campagne ambientali.
Anche la società americana di marketing ambientale TerraChoice Environmental Marketing Inc, dopo aver condotto diverse ricerche, ha elaborato una lista dei cosiddetti peccati da greenwash:
- NASCONDERE LA VERITÀ : si tratta di una strategia comunicativa che prevede che si consideri un prodotto green basando la comunicazione solo su una singola caratteristica ed ignorando quelli che sono gli aspetti di impatto dal punto di vista ambientale. Non si tratta di una diffusione di un messaggio falso ma cercano di rendere ecologici prodotti che di fatto non lo sono. Dai risultati è emerso che si tratta della pratica più utilizzata (negli USA nel 73% dei casi analizzati, in Inghilterra fino al 98%).
- NON DIMOSTRARE : consiste nel dichiarare caratteristiche che non sono accompagnate da sufficienti informazioni o da certificati rilasciati effettivamente da terze parti.
- VAGHEZZA: consiste nell’utilizzo di affermazioni imprecise, poco chiare, che possono facilmente garantire equivoci e malintesi con il consumatore.
- FALSE ETICHETTE: quando le parole o le immagini di un certo prodotto danno l’impressione che ci sia un certificato di parte terza, mentre in realtà non esiste[19]
- IRRILEVANZA: si enfatizzano caratteristiche green che in realtà sono inutili e non rilevanti ai fini di una scelta consapevole
- SCEGLIERE IL MINORE TRA I DUE MALI: non si tratta di fornire informazioni false quanto invece vantare una caratteristica del prodotto che non risolve l’impatto ambientale (esempio il tabacco biologico)
- MENTIRE: si tratta dell’utilizzo di un’affermazione falsa, l’esempio più comune è quando un prodotto viene etichettato “energy star” ma non è effettivamente certificato.
ManagementModifica
Il concetto del greenwashing non è da intendersi solo in un'ottica di prodotto e di marketing ma è da considerare in una visione più ampia e articolata. Nel campo dell'economia aziendale e nel ramo dell'economia che si occupa di management la pratica di diffondere informazioni e dati ambientali ingannevoli è di notevole importanza, soprattutto per gli effetti e le conseguenze che queste pratiche hanno sulle aziende stesse, sui consumatori e sugli stakeholder in generale. Se nell'area del marketing ci si focalizza sulle comunicazioni di prodotto e in particolar modo su messaggi pubblicitari e sull'etichettatura e packaging, in questo campo di studi economici si analizzano le motivazioni, i driver, le caratteristiche e le tipologie di comunicazioni ingannevoli.
Uno studio italiano del 2019[20], pubblicato su una importante rivista internazionale, ha identificato quattro diverse tipologie di greenwashing, le quali hanno caratteristiche differenti e differenti impatti e influenze sulle percezioni degli stakeholder e quindi sulle loro possibili azioni conseguenti. Il tema della tipologia della comunicazione usata e di come questa venga ricevuta, recepita e accolta dagli stakeholder sembra essere un punto chiave per l'approfondimento di questo complesso concetto.
Effetti psicologiciModifica
Poiché il greenwashing è un ambito di ricerca psicologico relativamente nuovo, c’è poca unanimità tra i diversi studi in merito all’impatto che ha sui consumatori e sugli stakeholder. Per via della varietà geografica da cui provengono gli studi, la discrepanza nel comportamento dei consumatori può essere attribuita a differenze culturali o geografiche.
Effetto del greenwashing sulla percezione del consumatoreModifica
Da alcune ricerche è emerso che i prodotti che sono realmente eco sostenibili vengono percepiti in maniera più favorevole rispetto alla controparte che ha subito greenwashing. Durante la valutazione dei prodotti che lo hanno subito, è più probabile che i consumatori percepiscano il prezzo pagato per un prodotto green come un sacrificio.[21] È emerso anche che la percezione dei consumatori nei confronti del greenwashing è mediata dal livello di greenwashing al quale sono stati esposti.[22] Da altre ricerche è emerso che alcuni consumatori notano realmente il greenwashing, in particolare quando considerano l’azienda o il marchio come stimati. Quando i consumatori considerano la pubblicità dei prodotti green credibile sviluppano una maggior attitudine positiva nei confronti del marchio, anche quando la pubblicità in questione è stata soggetto di greenwashinng. I consumatori non sono consapevoli del greenwashing in ambito pubblicitario e si fidano delle pubblicità green anche quando sono ingannevoli.[23] In ogni caso, da altre ricerche è emerso che i consumatori particolarmente attenti all’ambiente sono in grado di riconoscere più facilmente il marketing green veritiero dal greenwashing; più è grande la sua attenzione verso l’ambiente, maggior sarà la volontà di non fare acquisti da aziende che secondo lui hanno utilizzato questa strategia pubblicitaria. Quando i consumatori usano il passaparola per parlare di un determinato prodotto, l’attenzione verso l’ambiente rinforza la relazione negativa che intercorre tra la loro intenzione d’acquisto e la percezione di greenwashing.[24]
Secondo i risultati delle ricerche i consumatori perdono fiducia nelle aziende che fanno greenwashing perché lo considerano un comportamento ingannevole. Se i consumatori percepiscono che un’azienda possa realmente trarre beneficio da un claim di green marketing, allora è più probabile che sia il claim che l’azienda vengano percepiti come genuini.[25]
Attribuzione del greenwashingModifica
L’impatto sulla percezione del consumatore della pubblicità sostenibile, così come quello del greenwashing, è legato alla consapevolezza da parte del consumatore dalla sua provenienza. Le etichette di sostenibilità possono essere conferite ad un prodotto sia da un’organizzazione esterna o dalla stessa azienda, cosa che ha destato preoccupazioni, dato che le aziende hanno la possibilità di etichettare un prodotto come “verde” o ecosostenibile mettendo in evidenza i suoi aspetti positivi sull’ambiente e occultando, invece, quelli negativi.[26] Anche se da parte dei consumatori c'è l'aspettativa di vedere le etichette di sostenibilità provenire sia da enti interni che esterni, quelle provenienti da enti esterni sono percepite come più affidabili. Delle ricerche condotte dall’Università di Twente è emerso che vi è la possibilità che le etichette non certificate, o quelle frutto di greenwashing, influiscano comunque sulla percezione del consumatore dell'azienda di provenienza dell'etichettaura, con l'attribuzione, da parte del consumatore, di essa come di una scelta interna aziendale.[27] Da altre ricerche che mettono in correlazione teoria dell’attribuzione e greenwashing, è emerso che quando le aziende usando pubblicità “verde”, spesso i consumatori la percepiscono come greenwashing, attribuendo questo tipo di comunicazione ad una scelta di comodo dell'azienda. La pubblicità "verde" può ritorcersi contro all'azienda e viene percepita particolarmente in maniera negativa quando la pubblicità stessa o le dichiarazioni dell'azienda non rispecchiano l'impegno il suo effettivo impegno ambientale.[28]
Conseguenze per le aziende sostenibiliModifica
Dalla maggior parte delle ricerche avvenute in merito a percezione del consumatore, la psicologia e greenwashing, è emerso che nel caso in cui le aziende vogliano evitare la connotazione e la percezione negativa che derivano dalle paratiche di greenwashing, quando si tratta di pubblicità sostenibile o comportamenti ecosostenibili, debbano “passare dalle parole ai fatti”. È emerso che il marketing verde, l’etichettatura e la pubblicità sono più efficaci quando, da parte dell’azienda, c’è un reale impegno nei confronti dell’ambiente. Ciò viene anche mediato dalla visibilità di tale impegno, il che significa che se i consumatori non sono a conoscenza dell’impegno dell'azienda verso la sostenibilità o della sua etica ambientalista, non riescono a tenere conto di queste caratteristiche durante la valutazione di una determinata azienda o di un prodotto.[29]
Venire a conoscenza di una pratica di greenwashig può rendere il consumatore indifferente o generare sentimenti negativi nei confronti del marketing verde. Questo comporta un problema per le aziende ecosostenibili, dato che poi saranno costrette a prendere le distanze dalle affermazioni false. È stato anche ipotizzato che, a causa della sua esperienza negativa con il greewashing, il consumatore possa reagire negativamente anche nei confronti delle affermazioni veritiere[30].
Limiti del greenwashing sulla percezione del consumatoreModifica
Le ricerche indicano che la volontà dei consumatori di fare acquisti green diminuisce quando percepiscono che c’è la possibilità che questa caratteristica possa compromettere la qualità del prodotto, rendendo quindi il greenwashing potenzialmente rischioso, anche quando il consumatore o lo stakeholder non è scettico nei confronti della comunicazione green. Le parole e le frasi che spesso vengono utilizzate nella comunicazione green e durante il greenwashing, come “delicato”, possono indurre il consumatore a credere che i prodotti green siano meno efficaci rispetto alle alternative tradizionali.[31]
Le accuse a ENIModifica
The Luangwa Community Forests ProjectModifica
Nel 2014, nella valle del fiume Luangwa, BioCarbon Partners ha promosso il progetto Luangwa Community Forests[32]. La valle zambiana è stata scelta perché è una delle aree del paese che, a causa della diffusione di pratiche agricole non sostenibili, ha uno dei tassi di deforestazione più alti del paese. Il progetto consiste nel proteggere la valle grazie ad una serie di investimenti infrastrutturali locali e, in generale, fa parte di un ingente progetto di decarbonizzazione dell’area, avviato nel 2007 dalle Nazioni Unite[33]. Al progetto zambiano ha partecipato anche ENI, con l’acquisto di credito di carbonio per compensare un totale di 1,5 milioni di tonnellate (Mton) di anidride carbonica.
Le accuse di Greenwashing, nascono dal fatto che in realtà la quantificazione dei crediti è un processo difficile e aleatorio, soprattutto quando le condizioni ambientali nelle quali viene effettuato il calcolo sono diverse da quelle stabilite inizialmente[34]. A questa conclusione è arrivata anche Greenpeace, dopo la pubblicazione di un’inchiesta interna[35].
Secondo l’organizzazione, le stime dichiarate da ENI circa il progetto sarebbero eccessive rispetto a quelle reali, soprattutto perché effettuate senza tenere conto della differente densità abitativa della Luangwa Community Forests, molto più alta di quella stimata da ENI. Un calcolo a ribasso della densità abitativa comporta, come conseguenza, una percentuale di deforestazione più bassa rispetto a quella reale.
Secondo le stime di ENI, il tasso di deforestazione annuo preso in considerazione dal progetto è stimato attorno al 2,5%, mentre secondo un rapporto della FAO pubblicato nel 2020 lo stesso tasso ammonta allo 0,42%[36]. Le critiche di Greenpeace non si fermano qui: secondo l’organizzazione, anche la stima di anidride carbonica assorbita da ENI durante il progetto è stata gonfiata: per ottenere una riduzione simile a quella promessa (40 milioni di tonnellate), ENI avrebbe bisogno di un’area grande 13 volte rispetto a quella in Zambia.
Pubblicità ingannevoleModifica
Sempre inerentemente ad ENI, il 15 gennaio 2020, la compagnia è stata multata dal Garante delle concorrenza per “pratica commerciale ingannevole”[37][38]. L’accusa fa riferimento alla pubblicità di ENIdiesel+, nella quale veniva dichiarato che con il carburante in questione le emissioni gassose sarebbero state ridotte del 40%. La sentenza, che ha comportato una sanzione di 5 Milioni di Euro per ENI, è il risultato di un’inchiesta del 2019, pubblicata da “La Nuova Ecologia”[39].
Codici e regolamentiModifica
Negli USA, l'Agenzia di Protezione Ambientale degli Stati Uniti ha pubblicato nel 1992 una serie di guide per le dichiarazioni di marketing ambientale che definirono le prime regole sul greenwash, soprattutto per le agenzie pubblicitarie[40].
Nel 1998 il governo britannico ha pubblicato il Green Claims Code, nel quale vengono definite delle regole sui messaggi green e sulle dichiarazioni di prodotto. In Inghilterra le pubblicità vengono esaminate dall’ASA (Advertising Standard Authority) che si occupa di intervenire nel caso in cui queste siano considerate un caso di greenwash, costringendo l’azienda a ritirare la pubblicità[41].
In Canada invece, il Competition Bureau ha creato le linee guida a cui devono attenersi le aziende canadesi per non ingannare i consumatori incorrendo in sanzioni amministrative e/o penali. Inoltre, in queste linee guida si pone l’accento sull’importanza di utilizzano affermazioni «chiare, specifiche, verificate e sostanziate», ovvero basate sui pilastri della norma ISO 14021[42].
Altri paesi, come ad esempio l’Australia e la Francia, usano lo standard ISO, ma le leggi nazionali che ne risultano sono comunque molto differiscono da stato a stato.
In Italia non esiste una normativa specifica sul greenwash perché questo fenomeno non ha ancora raggiunto la necessaria attenzione. Tuttavia, lo stato italiano fa riferimento alla normativa vigente riguardo alla pubblicità ingannevole. L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha la competenza di valutare se la pubblicità è ingannevole o meno. Mentre l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha il duplice compito di garantire la corretta competizione degli operatori sul mercato e quello di tutelare i consumi di libertà fondamentali dei cittadini[43].
Il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale all’art.2 (Pubblicità ingannevole) afferma che «la pubblicità deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni palesemente non iperboliche»[44]. Qualora venga riscontrata la violazione il Comitato di Controllo può invitare l’inserzionista a modificare la comunicazione commerciale e nei casi più gravi può seguire anche un procedimento ordinario, con l’inoltro di un’istanza[43].
Elenco delle aziende accusate di GreenwashingModifica
Sebbene molti consumatori[quantitativo vago] siano mediamente disposti a pagare un prezzo più alto per comprare prodotti sostenibili, recentemente sono state diverse le aziende ad essere accusuate di aver messo in atto pratiche di greenwashing.[45]
Data del procedimento | Categoria | Tipo di procedimento | Azienda | Motivazione | Stato del procedimento |
---|---|---|---|---|---|
Maggio 2021 | Sacchetti della spazzatura | Azione collettiva | Hefty | Nonostante affermassero che i sacchetti erano adatti per tutti i tipi di rifiuti ricilicabili quando in realtà i loro prodotti li contaminavano. | In corso. |
Ottobre 2020 | Prodotti per la pulizia | Inchiesta NAD | Blueland | Promuovevano i loro prodotti come 100% riciclicabili, quando alcuni erano compostabili, non ricilicabili. | L'azienda ha rimosso la dicitura "100% ricilicabili", come raccomandato dalla NAD. |
Settembre 2020 | Alimentari | Inchiesta ASA | Quorn Foods | Travisamento del proprio impegno nella riduzione della carbon footprint. | L'ASA ha comunicato alla Quorn di rendere trasparenti le proprie affermazioni sull'ambiente ai consumatori. |
Agosto 2020 | Prodotti per la pulizia | Inchiesta NAD | Tide Purclean | Promozione del detergente come 100% di origine vegetale, mentre lo era solo al 75%. | Ritirata ai sensi dell'accordo raggiunto fra le parti. |
Maggio 2020 | Prodotti per la pulizia | Azione collettiva | Simple green | Promozione di prodotti definiti non tossici e rispettosi dell'ambiente, quando in realtà erano nocivi per esseri viventi e ambiente. | Ritirata ai sensi dell'accordo raggiunto fra le parti. |
Maggio 2020 | Prodotti per la pulizia | Azione collettiva | Krud Kutter | Promozione di prodotti definiti non tossici e rispettosi dell'ambiente, quando in realtà erano nocivi per esseri viventi e ambiente. | In corso. |
Maggio 2020 | Prodotti per la pulizia | Azione collettiva | Method | Promozione di prodotti definiti non tossici, quando in realtà lo erano per esseri viventi ambiente. | Annullamento volontario senza pregiudizio. |
Maggio 2020 | Alimentari | Azione collettiva | Windex vinegar | Promozione di prodotti definiti non tossici e rispettosi dell'ambiente, quando in realtà erano nocivi per esseri viventi e ambiente. | In corso. |
Maggio 2020 | Alimentari | Azione collettiva | Windex | Promozione di prodotti definiti non tossici e rispettosi dell'ambiente, quando in realtà erano nocivi per esseri viventi e ambiente. | In corso. |
Settembre 2019 | Pentole | Azione collettiva | Greenpan | Sosteneva che le stoviglie fossero positive per l'ambiente, mentre erano composte da un metallo non biodegradabile. | Accordo raggiunto. |
Aprile 2019 | Alimentari | Azione collettiva | Nestlé | Sosteneva che il cioccolato provenisse da fonti sostenibili, mentre nella filiera aziendale del cacao non era in vigore nessuno standard ambientale. | Annullamento senza pregiudizio. |
Marzo 2018 | Automobili | Azione collettiva | BMW | Utilizzo di software che falsificavano le emissioni dei motori diesel per fare in modo di promuovere i veicoli come ecologici e rispettosi dell'ambiente. | In corso. |
Inizio 2018 | Automobili | Azione collettiva | Ford | Utilizzo di software che falsificavano le emissioni al fine di promuovere i veicoli come ecologici e rispettosi dell'ambiente. | In corso. |
Maggio 2017 | Caffè | Inchiesta NAD | Kauai | Promuoveva il fatto che le cialde del caffè fossero al 100% compostabili, mentre sull'etichetta c'era scritto che la decomposizione potesse avvenire solo in "edifici industraili". | Seguendo le raccomandazioni della NAD, l'azienda ha deciso di comunicare che le cialde del caffè non fossero certificate per la concimazione del giardino. |
Luglio 2016 | Automobili | Azione collettiva | Chevrolet | Utilizzo di software che falsificavano le emissioni al fine di promuovere i veicoli diesel come ecologici e rispettosi dell'ambiente. | In corso. |
Marzo 2016 | Batterie | Inchiesta NAD | LEI | Sosteneva che le batterie fossero a impatto zero, senza fornire informazioni su quando le emissioni fossero state ridotte o sarebbero state ridotte. | Appello alla FTC |
Inizio 2016 | Automobili | Azione colletiva | Mercedes-Benz | Utilizzo di software che falsificavano le emissioni al fine di promuovere i veicoli diesel come ecologici e rispettosi dell'ambiente. | Accordo raggiunto. |
2016 | Tabacco | Azione collettiva | Natural American Spirit | Promozione del tabacco come sostenibile, insieme alle dichiarazioni false sul fatto che il tabacco naturale fosse meno nocivo delle sigarette ordinarie. | In corso |
Fine 2015-Inizio 2016 | Automobili | Azione collettiva | Volkswagen/Audi | Utilizzo di software che falsificavano le emissioni al fine di promuovere i veicoli diesel come ecologici e rispettosi dell'ambiente. | In corso (accordi raggiunti solo in parte.) |
Aprile 2015 | Dentifricio | Azione collettiva | Freshmates | Promozione delle salviette rinfrescanti come lavabili, mentre le salviette non fossero adatte per lo scarico del water. | Accordo raggiunto. |
Aprile 2015 | Frutta | Azione collettiva | Rainforest | Rappresentazione ingannevole di quanto fossero sostenibili i prodotti che certificava, come nel caso delle banane Chiquita. | Accordo raggiunto. |
Inizio 2015 | Parchi acquatici | Azione collettiva | Seaworld | Sosteneva di creare un ambiente piacevole, interessante e stimolante per le proprie Orche assassine, mentre gli animali vivevano in condizioni di vita insalubri e di sofferenza. | Rigettata. |
Ottobre 2013 | Alimentari | Esposto della FTC | Nature's Own | Promozione dei propri prodotti come biodegradabili, compostabili e riciclabili senza avvalersi di prove scientifiche affidabili e di qualità, violando il benestare della FTC. | Accordo raggiunto. |
Giugno 2013 | Termostati | Inchiesta NAD | Nest | Sosteneva che gli altri termostati programmabili sprecassero energia (e che quindi fossero meno eco-friendly) senza sufficienti prove. | Nest ha concordato, sotto consiglio di NAD e di altri, di non fare più affermazioni del genere. |
NoteModifica
- ^ “Ecologisti di facciata”: a Firenze Fridays For Future manifesta alla Coop
- ^ "No all'ambientalismo di facciata". Il Green New Deal secondo Von der Leyen
- ^ Greenwashing
- ^ Una mano di greenwash, su Terminologia etc. - Terminologia, localizzazione, traduzione e altre considerazioni linguistiche, 30 gennaio 2013. URL consultato il 21 maggio 2015.
- ^ Jim Motavalli, A History of Greenwashing: How Dirty Towels Impacted the Green Movement, in Daily Finance, 11 febbraio 2011. URL consultato il 21 maggio 2015.
- ^ Black, Brian, Great Debates in American Environmental History, Westport, Greenwood Press., p. 147, ISBN 0-313-33930-9.
- ^ (EN) GREENWASH | Definition of GREENWASH by Oxford Dictionary on Lexico.com also meaning of GREENWASH, su Lexico Dictionaries | English. URL consultato il 21 luglio 2021 (archiviato dall'url originale il 21 luglio 2021).
- ^ (EN) Christopher Marquis, Michael W. Toffel e Yanhua Bird, Scrutiny, Norms, and Selective Disclosure: A Global Study of Greenwashing, ID 1836472, Social Science Research Network, 23 novembre 2015, DOI:10.2139/ssrn.1836472. URL consultato il 21 luglio 2021.
- ^ (EN) Peter Seele e Lucia Gatti, Greenwashing Revisited: In Search of a Typology and Accusation-Based Definition Incorporating Legitimacy Strategies: Greenwashing Revisited, in Business Strategy and the Environment, vol. 26, n. 2, 2017-02, pp. 239–252, DOI:10.1002/bse.1912. URL consultato il 21 luglio 2021.
- ^ Quando il greenwashing diventa un boomerang: il caso BP | Tech Economy 2030
- ^ http://it.urbandictionary.com/define.php?term=Pinkwashing
- ^ Gender Washing, Pink Washing e Pinkification | Radio Città Fujiko
- ^ http://it.urbandictionary.com/define.php?term=Rainbow-washing
- ^ (EN) Green Marketing vs Greenwashing: What Companies Need to Know, su Zegal, 11 marzo 2020. URL consultato il 7 luglio 2021.
- ^ (EN) (PDF) MEZCLA DEL MARKETING VERDE: UNA PERSPECTIVA TEÓRICA, su ResearchGate. URL consultato l'8 luglio 2021.
- ^ a b (EN) Szerena Szabo e Jane Webster, Perceived Greenwashing: The Effects of Green Marketing on Environmental and Product Perceptions, in Journal of Business Ethics, vol. 171, n. 4, 1º luglio 2021, pp. 719–739, DOI:10.1007/s10551-020-04461-0. URL consultato il 6 luglio 2021.
- ^ (EN) Riccardo Torelli, Federica Balluchi e Arianna Lazzini, Greenwashing and environmental communication: Effects on stakeholders' perceptions, in Business Strategy and the Environment, vol. 29, n. 2, 2020, pp. 407–421, DOI:10.1002/bse.2373. URL consultato il 7 luglio 2021.
- ^ Green marketing: cos'è, definizione ed esempi, su Inside Marketing. URL consultato il 6 luglio 2021.
- ^ Michele Crivellaro, Giampietro Vecchiato e Federica Scalco, Sostenibilità e rischio greenwashing, 2012, ISBN 9788862922296.
- ^ (EN) Riccardo Torelli, Federica Balluchi e Arianna Lazzini, Greenwashing and environmental communication: Effects on stakeholders' perceptions, in Business Strategy and the Environment, 14 agosto 2019, DOI:10.1002/bse.2373. URL consultato il 21 agosto 2019.
- ^ (EN) Jeonggyu Lee, Siddharth Bhatt e Rajneesh Suri, When consumers penalize not so green products, in Psychology & Marketing, vol. 35, n. 1, 2018, pp. 36–46, DOI:10.1002/mar.21069. URL consultato il 7 luglio 2021.
- ^ (EN) Riccardo Torelli, Federica Balluchi e Arianna Lazzini, Greenwashing and environmental communication: Effects on stakeholders' perceptions, in Business Strategy and the Environment, vol. 29, n. 2, 2020, pp. 407–421, DOI:10.1002/bse.2373. URL consultato il 7 luglio 2021.
- ^ (EN) AN INVESTIGATION OF THE EFFECTS OF CONSUMERS’ ENVIRONMENTAL ATTITUDES ON PERCEPTIONS OF GREEN ADS AND ATTITUDES TOWARD THE BRAND, in Journal of Academic Research in Economics (JARE), vol. 8, n. 1, 2016, pp. 7–37. URL consultato il 7 luglio 2021.
- ^ (EN) The influence of greenwashing perception on green purchasing intentions: The mediating role of green word-of-mouth and moderating role of green concern, in Journal of Cleaner Production, vol. 187, 20 giugno 2018, pp. 740–750, DOI:10.1016/j.jclepro.2018.03.201. URL consultato il 7 luglio 2021.
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BibliografiaModifica
- Valentina Furlanetto, L'industria della carità, Milano, Chiarelettere, 2013 (II ed.), pp. 155-158. ISBN 978-88-6190-251-0
Voci correlateModifica
Collegamenti esterniModifica
- (EN) Sito dedicato al greenwashing, su sinsofgreenwashing.com. URL consultato il 21 agosto 2019 (archiviato dall'url originale il 26 dicembre 2016).
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