Lucumone

carica politica

Il lucumóne (in etrusco lauχume o lauχme o luχume) era la massima carica politica all'interno delle città-Stato etrusche della penisola italica in epoca pre-romana.

Attestazioni

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Servio (Ad Aeneidem II, 278; VIII, 65, 475) e Censorino (De die natali IV, 13) riferiscono che il termine, in etrusco, designava la figura del re. Deve però essere considerato che lo stesso Servio attribuisce il medesimo titolo anche ai magistrati della città di Mantova (Ad Aeneidem II, X, 202) e che, a tutt'oggi, non è stata rinvenuta alcuna iscrizione etrusca arcaica (VII-VI secolo a.C.) in cui il termine 'lucumone' possa essere chiaramente interpretato nel significato di re.

(LA)

«[II, 278] 'Vulneraque illa gerens, quae circum plurima muros' a. p. 'gerens' velut insignia praeferens et ostentans, quae a diversis pugnans pro patria susceperat. Plurima muros quia ut Homerus dicit, in Hectorem extinctum omnes tela iecerunt more maiorum. Unde est “et bis sex thoraca petitum / perfossumque locis”, propter duodecim populos Tusciae; duodecim enim lucumones, qui reges sunt lingua Tuscorum, habebant.
[VIII, 65] […] 'Celsis caput urbibus exit' de Tuscia, quam illis multum constat floruisse temporibus: nam et lucumones reges habebat, et maximam Italiae superaverat partem.
[VIII, 475] […] 'Ingentes' autem 'populos' non sine causa dixit: nam Tuscia duodecim lucumones habuit, id est reges, quibus unus praeerat.
[X, 202] 'Gens illi triplex populi sub gente quaterni' quia Mantua tres habuit populi tribus, quae in quaternas curias dividebantur: et singulis singuli lucumones imperabant, quos tota in Tuscia duodecim fuisse manifestum est, ex quibus unus omnibus praeerat. Hi autem totius Tusciae divisas habebant quasi praefecturas, sed omnium populorum principatum Mantua possidebat: unde est 'ipsa caput populis'.»

(IT)

«[II, 278] "E mostrando quelle ferite, che [ricevette] numerose intorno alle [patrie] mura" come se portasse e mostrasse insegne, che aveva ricevuto da diversi nemici combattendo per la patria. "Intorno alle mura" perché, come dice Omero, tutte le frecce gettarono su Ettore ucciso secondo l'usanza dei padri. Da qui è "e la corazza in dodici punti colpita e trapassata", a causa dei dodici popoli dell'Etruria; infatti erano dodici i lucumoni, che sono i re nella lingua etrusca.
[VIII, 65] […] "La [mia] fonte scaturisce fra nobili città" dell'Etruria, che è nota per essere stata molto fiorente in quei tempi: infatti aveva re lucumoni e aveva soggiogato la maggior parte dell'Italia.
[VIII, 475] […] Ha detto "ingenti popoli" non senza motivo: infatti l’Etruria ebbe dodici lucumoni, cioè re, di cui uno era a capo.
[X, 202] “Essa ha tre stirpi ognuna divisa in quattro popoli” poiché, nella sua popolazione, Mantova ebbe tre tribù che si dividevano in quattro curie, e su ognuna regnava un lucumone; è noto che questi furono dodici in tutta l'Etruria, tra i quali uno era il capo supremo. Costoro poi regnavano su tutta l'Etruria come se fosse divisa in prefetture, però Mantova aveva il comando su tutti i popoli, per cui l'espressione "essa stessa è a capo dei popoli".»

(LA)

«Nec non in agro Tarquiniensi puer dicitur divinitus exaratus nomine Tages, qui disciplinam cecinerit extispicii, quam lucumones tum Etruriae potentes exscripserunt.»

(IT)

«Si narra anche che un bambino di nome Tages emerse da un solco in un campo nel territorio di Tarquinia e insegnò ai lucumoni, allora signori dell'Etruria, l'arte degli aruspici.»

Dall'epigrafia si evince piuttosto che 'lucumone', nei testi etruschi tra il V e il II secolo a.C., è un semplice prenome, particolarmente diffuso nelle zone di Perugia e di Chiusi. Lucumo, in particolare, è il nome che Livio (Storie I, 34) e Strabone (Geographika, V, 2, 2) attribuiscono a Tarquinio Prisco prima che si stabilisse a Roma e che vi si facesse iscrivere con i tre nomi dello stato civile romano come Lucius Tarquinius Priscus, divenendo poi il primo re etrusco di Roma della dinastia dei Tarquini.

(GRC)

«Μετὰ δὲ τὴν τῆς Ῥώμης κτίσιν Δημάρατος ἀφικνεῖται λαὸν ἄγων ἐκ Κορίνθου, καὶ δεξαμένων αὐτὸν Ταρκυνιτῶν γεννᾷ Λουκούμωνα ἐξ ἐπιχωρίας γυναικός. Γενόμενος δὲ Ἄγκῳ Μαρκίῳ τῷ βασιλεῖ τῶν Ῥωμαίων φίλος, ἐβασίλευσεν οὗτος καὶ μετωνομάσθη Λεύκιος Ταρκύνιος Πρίσκος.»

(IT)

«Dopo la fondazione di Roma, giunse una popolazione da Corinto, e, accolta dai Tarquinii, generò Lucumone da una donna del luogo. Diventato amico di Anco Marzio, il re dei Romani, divenne lui stesso re e fu ribattezzato Lucius Tarquinius Priscus.»

È stato inoltre evidenziato (Giulio M. Facchetti) che nel testo sacro della cosiddetta Mummia di Zagabria, databile al I secolo a.C., che contiene la descrizione di vari rituali religiosi etruschi, si parla di cerimonie compiute nel lauchumna, cioè probabilmente la residenza del lucumone: forse in Etruria potrebbe essersi verificato qualche cosa di analogo a quello che avvenne in Roma dopo la cacciata dei re, quando al Rex Sacrorum fu attribuito di officiare nella "reggia" i rituali religiosi che durante il periodo monarchico competevano al Rex.

Il verbo lucairce, inoltre, si ritrova nell'iscrizione funebre di Lar Pulenas, un aristocratico di Tarquinia che nel IV secolo a.C. ricoprì anche la carica di sacerdote. La sopravvivenza in epoca tarda dei termini sopraddetti, riconducibili all'espressione 'lucumone', seppur con riferimento alla sola sfera sacrale, potrebbe confermare l'originario significato regale del lucumone (in questo senso Giovannangelo Camporeale). La maggior parte degli studiosi (Mario Torelli, Giovannangelo Camporeale) ritiene comunque che la "traduzione" proposta dall'erudizione romana "lucumone = re" nasca dal nome personale etrusco di Tarquinio Prisco.

La monarchia etrusca

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Si ritiene che il regime monarchico abbia caratterizzato le città etrusche durante il VII e il VI secolo a.C.: le fonti (Tito Livio; Servio) parlano di un re a capo di ciascun popolo e dell'elezione, tra i re dei dodici popoli, di un sovrano che aveva la preminenza sui colleghi. La monarchia avrebbe poi lasciato il campo a forme di governo di tipo repubblicano. Nel passaggio dalla monarchia alla repubblica si sarebbero verificate anche situazioni di tirannide. Le modifiche delle forme di governo, in ogni caso, sarebbero avvenute con modalità diverse da città a città. In alcune città vi sarebbe stata una sopravvivenza o forse un ritorno della monarchia anche nella fase più recente. Tito Livio fa riferimento a un re di Veio relativamente al 437 a.C. (Storie IV, 17-19) e al 404 a.C. (Storie V, 1, 3). Dall'elogio del praetor Aulo Spurinna, innalzato nel foro di Tarquinia nell'età dell'imperatore romano Claudio, si apprende che Cere alla metà del IV secolo a.C. era retta da un re.

I re etruschi, perlomeno nella fase più antica, avrebbero cumulato nella loro persona le funzioni di capo politico, militare, sacerdote e giudice. Macrobio (Saturnali I, 15, 13) riferisce che in Etruria, ogni otto giorni, i re davano udienza a chiunque si presentasse, impartivano consigli e amministravano la giustizia.

(LA)

«Sicut apud Tuscos Nonae plures habebantur, quod hi nono quoque die regem suum salutabant et de propriis negotiis consulebant.»

(IT)

«Allo stesso modo presso gli Etruschi, che avevano diverse none, perché ogni nove giorni si recavano a rendere omaggio al proprio re e a consultarlo sui suoi affari.»

Le insegne della regalità dei sovrani etruschi, a quanto ci dicono Dionigi di Alicarnasso (Antiquitates Romanae III, 59-62) e Tito Livio (Storie I, 8), erano costituite dalla corona d'oro, dal trono d'avorio, dallo scettro con alla sommità l'aquila, dalla tunica con fregi in oro, dal mantello di porpora ricamata e dai littori recanti sulle spalle un fascio di verghe e una scure.

(GRC)

«Ταύτας λαβόντες οἱ πρέσβεις τὰς ἀποκρίσεις ᾤχοντο καὶ μετ' ὀλίγας ἡμέρας παρῆσαν οὐ λόγους αὐτῷ μόνον φέροντες ψιλούς, ἀλλὰ καὶ τὰ σύμβολα τῆς ἡγεμονίας, οἷς ἐκόσμουν αὐτοὶ τοὺς σφετέρους βασιλεῖς, κομίζοντες στεφανόν τε χρύσεον καὶ θρόνον ἐλεφάντινον καὶ σκῆπτρον ἀετὸν ἔχον ἐπὶ τῆς κεφαλῆς χιτῶνά τε πορφυροῦν χρυσόσημον καὶ περιβόλαιον πορφυροῦν ποικίλον, οἷα Λυδῶν τε καὶ Περσῶν ἐφόρουν οἱ βασιλεῖς, πλὴν οὐ τετράγωνόν γε τῷ σχήματι, καθάπερ ἐκεῖνα ἦν, ἀλλ' ἡμικύκλιον.»

(IT)

«Ricevute queste risposte andarono di volo gli ambasciatori; e dopo pochi giorni ritornarono portando non già parole nude, ma i fregi stessi del comando coi quali adornano i propri monarchi: la corona d'oro, il trono eburneo, lo scettro con l’aquila in cima, la tunica di porpora con palme espressevi in oro e la sopravveste anch'essa di porpora con varietà di ricamo, come i re le usavano di Lidia e di Persia se non quanto semitonde erano queste, e non quadrangolari come in quelli regnanti.»

(LA)

«[…] Me haud paenitet eorum sententiae esse quibus et apparitores hoc genus ab Etruscis finitimis, unde sella curulis, unde toga praetexta sumpta est.»

(IT)

«[…] A me non dispiace la tesi di quelli che sostengono che questo tipo di subalterni provengano dalla vicina Etruria, da cui furono importati la sedia curule e la toga pretesta.»

Secondo Strabone, un geografo greco del I secolo a.C., i lucumoni etruschi erano designati fra i dignitari Sardi, e secondo il lessicografo Sesto Pompeo Festo, vissuto nel II secolo d.C., «reges soliti sunt esse Etruscorum, qui Sardi appellantur quia etrusca gens orta est Sardibus», in riferimento ai primi re di Roma.

La frase di Festo, estratta dal suo contesto reale, è stata travisata e a essa assegnato un significato erroneo. Dal De verborum significatione leggiamo:

(LA)

«"Sardi venales, alius alio nequior": ex hoc natum proverbium videtur, quod ludis Capitolinis qui fiunt a vicinis praetextati auctio Vejentium fieri solet, in qua novissimus idemque deterrimus producitur a praecone senex cum toga praetexta bullaque aurea; quo cultu reges soliti sunt esse Etruscorum, qui Sardi appellantur quia etrusca gens orta est Sardibus ex Lydia.»

(IT)

«"Sardi in vendita, e uno vale meno dell'altro". Questo proverbio sembra derivi dal fatto che, durante i ludi capitolini, celebrati dai vicini che indossano la toga pretesta, si svolge di solito una vendita all'asta di Veienti, in cui il banditore mette in vendita il più debole (e più penoso): un vecchio vestito con la toga pretesta e con indosso una bulla d'oro. Questi erano gli ornamenti abituali dei re degli Etruschi, che erano chiamati Sardi, perché il popolo etrusco era originario di Sardi in Lidia.»

Infatti, la parte superiore del passo di Festo si riferisce a un rito che veniva praticato dai Romani durante i Ludi Capitolini, durante il quale vi era "un vecchio con la toga pretesta e una bulla d'oro". Il passo continua dicendo "il cui abbigliamento (cioè la toga e la bulla) sono soliti portare i re degli Etruschi". Quindi la frase si riferisce a un abbigliamento, usato durante i Ludi di cui sopra, che viene identificato come quello proprio dei re etruschi. Per concludere, Sardibus, sostantivo della terza declinazione, si riferisce alla città di Sardi in Lidia e non alla Sardegna.

I re etruschi

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Dalle fonti ci risultano anche i nomi di re etruschi alcuni dei quali probabilmente leggendari. I più noti sono sicuramente Porsenna di Chiusi (Livio, Plinio il Vecchio) e i re etruschi di Roma Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo (Livio, Strabone). Per l'origine etrusca di Servio Tullio, diversamente da quanto ci racconta Tito Livio (Storie I, 39-41), farebbero propendere il discorso dell'imperatore Claudio, pervenutoci attraverso una tavola bronzea da Lione la cosiddetta "Tabula Claudiana", nel quale l'imperatore Claudio identifica il re Servio Tullio con l'etrusco Mastarna e le pitture della Tomba François di Vulci, nelle quali sono raffigurati combattimenti tra eroi vulcenti, tra cui Macstrna, contro Etruschi di altre città e il romano Gneo Tarquinio. A Cere avrebbero regnato il re Mezenzio (Tito Livio e Virgilio), il re Asture (ancora Virgilio) e il re Orgolnius (elogio del Praetor Aulo Spurinna). A Veio avrebbero avuto poteri regali Lars Tolumnio (Tito Livio), Morrius o Mamorrius (Servio), Thebris (Varrone) e Propertius (Catone). Vengono anche ricordati il re Arimnestos (Pausania) e il re di Chiusi Massico, detto anche Osinio (Virgilio, Servio),

  1. ^ W. M. Lindsay (Lipsia 1913)

Bibliografia

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  • Camporeale Giovannangelo, Gli Etruschi Storia e civiltà, Torino, UTET Libreria s.r.l., 2000.
  • Facchetti Giulio M., L'enigma svelato della lingua etrusca La chiave per penetrare nei segreti di una civiltà avvolta per secoli nel mistero, Roma, Newton & Compton editori s.r.l., 2000. ISBN 88-8289-458-4.
  • Torelli Mario, in Gli etruschi una nuova immagine, a cura di Mauro Cristofani, Firenze, Giunti Gruppo Editoriale, 1993. ISBN 88-09-20305-4.

Voci correlate

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