Marco Fabio Vibulano (console 483 a.C.)

politico romano

Marco Fabio Vibulano, in latino Marcus Fabius Vibulanus (... – 477 a.C.), è stato un politico romano del V secolo a.C.

Marco Fabio Vibulano
Console della Repubblica romana
Nome originaleMarcus Fabius Vibulanus
Morte477 a.C.
GensFabia
Consolato480 a.C., 483 a.C.

Biografia

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Marco Fabio discendeva dalla nobile famiglia dei Fabii e fu console nel 483 e nel 480 a.C. Lui e i suoi fratelli Cesone e Quinto assunsero vicendevolmente, negli anni tra il 485 ed il 479 a.C., la carica più importante della giovane repubblica romana. La famiglia dei Fabii era a quel tempo una delle più importanti e raggiunse sotto i tre fratelli l'apice della propria potenza.

Primo consolato (483 a.C.)

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Dopo Quinto, che aveva reso i Fabii odiati dal popolo[1] e Cesone, la cui elezione accentuò l'odio della plebe verso la loro famiglia, nel 483 a.C., per fronteggiare la plebe, i patrizi riuscirono a far eleggere Marco Fabio[2], anche lui rappresentante della stessa gens; il suo collega era Lucio Valerio Potito, un nome ancora più odiato dal popolo, perché si trattava di uno dei questori che avevano accusato e mandato a morte il popolarissimo console plebeo Spurio Cassio Vecellino[3].

In quell'anno i tribuni della plebe si batterono affinché venisse votata la legge agraria favorevole alla plebe, ma il senato era contrario alle donazioni e i consoli si opposero con tutte le loro forze[4]. Per il racconto di Dionigi, la plebe istigò Caio Manio, un tribuno della plebe, a che si opponesse alla coscrizione degli uomini, finché i Senatori non nominassero i componenti della commissione, che avrebbe dovuto individuare le terre pubbliche da dividere tra i cittadini romani, secondo quanto stabilito durante il consolato di Spurio Cassio. I consoli superarono l'opposizione del tribuno, chiamando la leva fuori le mura cittadine, dove i tribuni della plebe non avevano alcun potere[2].

Si continuò la campagna contro i Volsci, per la quale a Fabio toccò in sorte la difesa dei territori degli alleati e a Valerio il comando dell'esercito accampato nel territorio dei Volsci[5][6]. Dal punto di vista militare non sono si registrarono risultati apprezzabili.

A questa situazione di malessere complessivo si andarono ad aggiungere, a Roma come nelle campagne, presagi funesti basati sull'interpretazione delle viscere animali e sull'osservazione del volo degli uccelli, spiegati col mancato rispetto delle prescrizioni nei rituali religiosi. Il solo risultato del terrore dovuto alla collera degli dei fu la condanna a morte della vestale Oppia, sepolta viva, così come voleva la tradizione, per esser venuta meno al voto di castità[7][8].

Secondo consolato (480 a.C.)

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Nel 480 a.C. fu eletto console per la seconda volta, insieme al collega Gneo Manlio Cincinnato[9][10].

In quell'anno Tiberio Pontificio, un tribuno della plebe, propose, come Spurio Licinio l'anno precedente, una legge agraria[11] cercando di ostacolare la leva militare[12], ma i senatori ed i consoli riuscirono a corrompere alcuni tribuni della plebe e ad effettuare il reclutamento: era l'inizio della guerra contro Veio, e più in generale contro l'Etruria, che durò fino al 476 a.C.[13].

Gli Etruschi si erano ammassati a Veio e riuniti all'esercito di quella cittadina non tanto per sostenerne la lotta quanto perché coltivavano la speranza di approfittare della debolezza di Roma conseguente alle accese lotte intestine[13]. Una volta che Romani ed Etruschi si furono insediati nei rispettivi accampamenti i due consoli, timorosi di affrontare gli eserciti alleati, evitarono dapprima il combattimento, trattenendo le proprie truppe. I nemici tentarono allora di provocarli insultando sia loro che le truppe, suscitando un profondo senso di rabbia ed una crescente impazienza di combattere il nemico[14]. Ulteriori provocazioni degli Etruschi esasperarono i soldati romani a tal punto da far temere un ammutinamento delle truppe; Marco Fabio convinse Gneo Manlio all'azione e fece giurare l'esercito, davanti agli dei, che la battaglia sarebbe stata vinta, pena la punizione divina sugli sconfitti.

La battaglia venne vinta da Marco Fabio ma a carissimo prezzo, poiché durante il suo svolgimento caddero prima Quinto Fabio, console due anni prima, e poi lo stesso Gneo Manlio[15][16]. Il console superstite, profondamente rattristato per la morte del fratello e del suo collega non accettò, in segno di dolore e di rispetto, il trionfo che il senato gli aveva riservato[17].

Battaglia di Veio (479 - 477 a.C.)

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Nel 479 a.C., con il fratello Cesone Fabio Vibulano, console per quell'anno, parlò in Senato per far prendere alla sua gens l'intera gestione dello scontro tra Roma e la città di Veio, prendendo il comando delle operazioni[18].

I Fabii, dopo aver costruito un fortilizio nei pressi del fiume Cremara, iniziarono a saccheggiare le terre di Veio, anche quelle più lontane da Roma, mai interessate prima da queste operazioni. Grave fu il danno per i Veienti, che non riuscivano ad aver ragione dei Fabii, e delle loro genti. I Fabii infatti, divisero le proprie forze in quattro parti, destinandone una alla difesa del fortilizio, e le altre tre a rapide e frequenti scorrerie, cui facevano seguito subitanee ritirate nel fortilizio[18].

Nel 478 a.C., consoli Lucio Emilio Mamercino e Gaio Servilio Strutto Ahala, ricevette rinforzi da Roma, condotti al fortilizio dal fratello Cesone Fabio Vibulano,con la carica di proconsole[19].

Lo scontro di quell'anno contro Veio[19], viene posto da Tito Livio sotto la fortificazione dei Fabii sul Cremera[20].

La morte di Marco Fabio

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Nel 477 a.C. si trovò a combattere, come i principali esponenti della famiglia dei Fabii, contro i Veienti nella Battaglia del Cremera[21]; i Veienti si erano organizzati ed avevano teso una trappola (lasciarono libero del bestiame per far credere che fosse stato abbandonato); i Fabii, sicuri della propria forza, pensando di razziare il bestiame, caddero nell'imboscata e subirono una pesante disfatta in cui perirono trecentosei Fabii[21], tra i quali Marco Fabio stesso e pertanto la famiglia finì per ritrovarsi praticamente estinta; l'unico a salvarsi fu il figlio di Marco[22], Quinto Fabio Vibulano, rimasto a Roma a causa della sua giovane età e che fu il capostipite della successiva stirpe dei Fabii[21] e che ricoprì tre volte la carica di console e due quella di decemviro.

  1. ^ Conclusa vittoriosamente la guerra contro Volsci ed Equi, anziché dividere il bottino con i propri soldati, lo vendette e depositò il denaro ricavato nelle casse del tesoro pubblico, Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, II, 42.
  2. ^ a b Dionigi, Antichità romane, Libro VIII, 87.
  3. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro VIII, 77-78.
  4. ^ Tito Livio, Ab urbe condita libri, Libro II, 42, 6.
  5. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro VIII, 88.
  6. ^ Tito Livio scrive anche di scontri con i Veienti non riportati da Dionigi, Ab Urbe Condita Libri, 42
  7. ^ Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, Libro II, 42.
  8. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro VIII, 89.
  9. ^ Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, II, 43.
  10. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, IX, 5
  11. ^ Secondo Dionigi di Alicarnasso Tiberio Pontifici non propose una legge agraria, ma l'istituzione del collegio di 10 senatori che avrebbero dovuto individuare le terre pubbliche da suddividere tra i cittadini romani, Antichità romane, IX, 5
  12. ^ Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, Libro II, 44, 1.
  13. ^ a b Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, Libro II, 44.
  14. ^ Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, Libro II, 45.
  15. ^ Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, Libro II, 45-47.
  16. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, Libro IX, 5-12
  17. ^ Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, Libro II, 47, 9-10.
  18. ^ a b Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, IX, 13
  19. ^ a b Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 16.
  20. ^ Tito Livio, Ab Urbe condita libri, Libro II, 49
  21. ^ a b c Tito Livio, Ab Urbe condita libri, Libro II, 50.
  22. ^ Dionigi, Antichità romane, Libro IX, 23.

Voci correlate

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