Le nuvole (Aristofane)

commedia di Aristofane
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Le nuvole (in greco antico: Νεφέλαι?, Nephèlai) è una commedia di Aristofane, andata in scena per la prima volta ad Atene, alle Grandi Dionisie del 423 a.C. La versione che leggiamo oggi è però posteriore, redatta in un periodo tra il 421 e il 418 a.C. e probabilmente mai messa in scena dall'autore.[1]

Le nuvole
Commedia
Socrate nella cesta (stampa del XVI secolo)
AutoreAristofane
Titolo originaleΝεφέλαι
Lingua originale
AmbientazioneAtene, Grecia
Composto nel421-418 a.C.
Prima assoluta423 a.C.
Teatro di Dioniso, Atene
Personaggi
  • Strepsiade, vecchio ateniese
  • Fidippide, figlio di Strepsiade
  • Socrate
  • Il Discorso Migliore
  • Il Discorso Peggiore
  • Servo di Strepsiade
  • Primo creditore di Strepsiade
  • Secondo creditore di Strepsiade
  • Discepoli di Socrate
  • Coro di Nuvole
 

Il contadino Strepsìade è perseguitato dai creditori a causa dei soldi che suo figlio Fidippide ha dilapidato alle corse dei cavalli; pensa allora di mandare il figlio alla scuola di Socrate, filosofo che, aggrappandosi ad ogni sofisma, insegna come prevalere negli scontri dialettici, anche se in posizione di evidente torto. In questo modo, pensa Strepsiade, il figlio sarà in grado di vincere qualsiasi causa che i creditori gli intenteranno.[2]

In un primo momento Fidippide non vuole andare al Pensatoio (phrontistérion) del filosofo e così il padre, disperato e perseguitato dagli strozzini, decide di recarvisi lui stesso, seppur vecchio. Appena giunto, incontra un discepolo che gli dà un assaggio delle cose su cui si ragiona in quel luogo: una nuova unità di misura per calcolare la lunghezza del salto di una pulce, oppure la scoperta del modo in cui le zanzare emettono il loro suono. In seguito, finalmente Strepsiade vede Socrate sedere su una cesta sospesa a mezz'aria, in modo da studiare più da vicino i fenomeni celesti.[2]

Il filosofo, dopo un breve dialogo, decide di impegnarsi ad istruirlo: gli mette indosso un mantello e una corona ed invoca l'arrivo delle Nuvole, le divinità da lui adorate, che si presentano puntuali sulla scena. Strepsiade però non riesce a capire nulla dei discorsi pseudo-filosofici che gli vengono fatti (parodia della filosofia socratica e sofistica) e viene quindi cacciato. Fidippide, incuriosito dai racconti del padre, decide infine di andare a visitare il pensatoio e quando arriva assiste al dibattito tra il Discorso Migliore e il Discorso Peggiore.[2]

Nonostante i buoni propositi e i sani valori proposti dal Discorso Migliore (personificazione delle virtù della tradizione), alla fine prevale il Discorso Peggiore (personificazione delle nuove filosofie) attraverso ragionamenti cavillosi. Fidippide impara la lezione ed insieme al padre Strepsiade riesce a mandare via due creditori; il padre è contento, ma la situazione gli sfugge subito di mano: Fidippide comincia infatti a picchiarlo, e di fronte alle sue proteste il figlio gli dimostra di avere tutto il diritto di farlo. Esasperato e furioso, Strepsiade dà allora alle fiamme il Pensatoio di Socrate, tra le grida spaventate dei discepoli.[2]

Commento

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Socrate e le nuove filosofie

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Statua di Socrate
(Museo archeologico di Delfi)

Per comprendere il significato dell'opera, è necessario tenere presente il fermento culturale che caratterizzava la Atene di quegli anni. Filosofi e pensatori stavano dando vita ad una rivoluzione del pensiero che sarebbe stata alla base della cultura europea nei secoli e millenni successivi, ma che veniva vista con sospetto negli ambienti più conservatori della città, i quali vedevano minacciati la religione ufficiale e i valori tradizionali.[3]

Nonostante Socrate non sia il protagonista delle Nuvole, è indubbiamente lui, insieme ai sofisti, il principale bersaglio della parodia di Aristofane, che era tradizionalista e contrario alle nuove filosofie. Già al suo primo apparire sulla scena, Socrate è presentato in maniera quantomeno bizzarra: sospeso in aria in una cesta.[Nota 1] Il filosofo spiega che questa posizione gli permette di librare la mente e il pensiero verso l'alto, mescolandoli all'aria e facendo così grandi scoperte.[3][4]

Alla prova dei fatti, però, tali scoperte si dimostrano tutt'altro che sensazionali, nonostante l'ingenuo entusiasmo di Strepsiade: Socrate ed i suoi allievi si rivelano dei pericolosi cialtroni, che si occupano di questioni insensate e prive di importanza, come misurare il salto di una pulce,[5] e che pretendono, con argomentazioni sottili ma prive di qualsiasi fondamento, di sovvertire il sistema di valori tradizionale. Emblematica, in questo senso, la scena in cui Fidippide picchia il proprio padre.[3]

Le nuove filosofie sono insomma viste come sistemi di ragionamento nei quali quello che conta non è più la difesa dei valori e della giustizia, ma il saper rigirare le parole a proprio vantaggio, in modo da avere la meglio anche quando si ha torto. Su questo è infatti incentrata la disputa tra il Discorso Migliore e il Discorso Peggiore,[6] vinta dal secondo. Ecco, ad esempio, il modo in cui viene giustificato l'adulterio:[3]

«Discorso Peggiore: Se uno ti becca in flagrante con sua moglie, gli risponderai che non hai fatto niente di male; poi butterai la colpa addosso a Zeus, dicendo che anche lui soccombe all'amore per le donne. E tu, mortale come sei, come potresti avere più forza di un dio?»

Strepsiade e Fidippide si dimostrano ricettivi e ben presto usano argomentazioni capziose l'uno per non pagare i creditori[7] e l'altro per dimostrare di avere tutto il diritto di picchiare il padre:

«Fidippide: Ti farò una domanda: quand'ero bambino, mi picchiavi?
Strepsiade: Certo, lo facevo per te, per il tuo bene.
Fidippide: Dimmi, allora: non è giusto che anch'io ti voglia bene allo stesso modo, e ti picchi, visto che picchiare vuol dire voler bene?»

Il coro delle Nuvole

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Il coro della commedia è rappresentato dalle Nuvole, le divinità evocate da Socrate. Impalpabili e volatili, esse sono il simbolo delle nuove filosofie, infatti promettono a Strepsiade che potrà raggiungere qualsiasi risultato soltanto battagliando con la lingua.[8] Il giudizio negativo di Aristofane è qui evidente, questo è infatti il modo in cui le Nuvole vengono descritte:[9]

«Socrate: Sono Nuvole del cielo, divinità potenti per chi non ha voglia di fare niente: sono loro che ci rendono capaci di pensare, di parlare, di riflettere, e di incantare e raggirare. […]
Strepsiade: Solo a sentirne la voce l'anima mia si è alzata in volo, e già va cercando quisquilie e sottigliezze fumose. […]
Socrate: Non lo sai che sono loro a dar da mangiare a intellettuali di ogni tipo?»

Strepsiade e Fidippide: gli ateniesi

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La commedia non si limita però alla satira nei confronti delle nuove filosofie; ad essere messo alla berlina è anche lo stolido utilitarismo di Strepsiade e di Fidippide, personaggi ingenui e mediocri, che qui rappresentano l'ateniese medio, attaccato solo alle cose materiali e al proprio personale tornaconto. Essi vedono nella filosofia soltanto un possibile modo per non pagare i propri debiti e guadagnare soldi,[10] convinti che con essa sia possibile vincere ogni tipo di battaglia legale.[11] Non si domandano se la filosofia possa servire a qualche altro fine che non sia il denaro, perché non concepiscono altri fini che quello. Strepsiade spiega chiaramente chi vorrebbe diventare tramite la filosofia:

«Un tipo grintoso loquace audace ardimentoso spudorato contaballe pronto a rispondere rotto ai processi azzeccagarbugli mitraglia volpe trivella chiacchierone ipocrita viscido sbruffone delinquente mascalzone banderuola rompipalle e opportunista.»

I due sono insomma personaggi ignoranti, che, quando vengono in contatto con un po' di cultura, tentano di piegarla ai loro bassi fini; salvo poi, una volta fallito il tentativo, dichiarare l'inutilità della cultura stessa, piuttosto che ammettere la loro disperante limitatezza.[12]

Nuvole prime e Nuvole seconde: la storia dell'opera

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La prima edizione dell'opera in lingua italiana, pubblicata a Venezia nel 1545 col titolo Le nebule.

Le Nuvole prime

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Come già accennato, l'opera venne rappresentata per la prima volta alle Grandi Dionisie del 423 a.C., in una prima versione oggi perduta, in competizione con altre due commedie: La damigiana,[Nota 2] l'ultima opera dell'anziano commediografo Cratino, ed il Conno[Nota 3] di Amipsia, comico giovane e ancora poco conosciuto.[1]

Lo scrittore Claudio Eliano (autore però non sempre attendibile) racconta che, poiché al teatro non tutti gli spettatori erano ateniesi, Socrate si alzò in piedi, in modo che anche chi non lo conosceva sapesse chi si stava prendendo in giro. La commedia piacque, tanto che alla fine delle rappresentazioni il pubblico cominciò a rumoreggiare perché fosse data la vittoria ad Aristofane.[13]

La giuria fu però di diverso avviso: assegnò il primo posto alla Damigiana di Cratino e il secondo al Conno di Amipsia, relegando Le nuvole in fondo alla classifica. È possibile, ma ovviamente non verificabile, che in tale giudizio abbiano influito le pressioni politiche di Alcibiade, favorevole a Socrate e deciso a difenderne l'onore. La sconfitta fu cocente per Aristofane, tanto che l'anno successivo, nella parabasi delle Vespe, l'autore affermò che la sua precedente opera (Le nuvole, appunto) non era stata capita e che la giuria avrebbe dovuto invece premiare chi cercava di dire qualcosa di nuovo.[1]

La parodia aristofanea tuttavia non passò inosservata, tanto che, secondo Platone, Socrate la ricordò nel 399 a.C. (ben 24 anni dopo la rappresentazione) nel corso del celebre processo da lui subito:

«Voi stessi avete visto […] la commedia di Aristofane: un certo Socrate che andava su e giù per la scena dicendo di camminare per aria e spacciando altre simili stupidaggini, a proposito delle quali io non ho proprio nulla da spartire, né poco né tanto.»

Le Nuvole seconde

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Subita quella sconfitta, Aristofane scrisse una nuova versione delle Nuvole, quella che conosciamo oggi, che grazie ad indicazioni presenti nel testo stesso può essere datata tra il 421 ed il 418 a.C.[Nota 4] Questa versione, però, per ragioni ignote non venne mai messa in scena dall'autore, e reca infatti alcuni segni di incompiutezza, il più importante dei quali è la mancanza di un canto corale dopo il v. 888.[Nota 5] Tra la prima e la seconda versione le modifiche furono notevoli in tutto il testo, ma riguardarono soprattutto l'introduzione di una nuova parabasi e di due scene: quella della disputa tra i due Discorsi e quella finale del Pensatoio in fiamme.[Nota 6][1]

Note al testo

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  1. ^ Il termine greco κρεμάθρα, normalmente tradotto come cesta, indica in realtà un non meglio specificato supporto che, appeso alla mechanè, permetteva all'attore di stare sospeso in aria.
  2. ^ Per un'analisi sulla trama e sui frammenti rimasti della Damigiana, vedi I comici greci, a cura di Simone Beta, BUR, 2009, ISBN 978-88-17-02898-1.
  3. ^ Socrate probabilmente appariva anche tra i personaggi di questa commedia, non sappiamo però in cosa consistesse la sua parte.
  4. ^ La datazione si spiega nel seguente modo: al v. 553 dell'opera si fa riferimento alla commedia Maricante di Eupoli, messa in scena nel 421 a.C. Inoltre il v. 623 lascia intendere che Iperbolo (uomo politico ateniese ostracizzato nel 418/417 a.C.) fosse ancora in città.
  5. ^ La presenza del canto corale era necessaria, poiché l'attore che interpretava Socrate, appena uscito di scena, doveva avere il tempo di cambiare maschera e tornare in scena nei panni di uno dei due Discorsi.
  6. ^ Le informazioni sulle differenze tra le due versioni vengono da una prefazione alle Nuvole seconde scritta da Aristofane di Bisanzio, bibliotecario della Biblioteca di Alessandria.

Note bibliografiche

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  1. ^ a b c d Guidorizzi, pp. 209-210; Grilli (a cura di), pp. 86-87.
  2. ^ a b c d Guidorizzi, pp. 209-210; Albini, pp. 323-324.
  3. ^ a b c d Guidorizzi, pp. 210-211; Zimmermann, pp. 102-103.
  4. ^ Aristofane, Le nuvole, vv. 227-234.
  5. ^ Ivi, vv. 145-152.
  6. ^ Ivi, vv. 889-1104.
  7. ^ Ivi, vv. 1289-1297.
  8. ^ Ivi, vv. 412-419.
  9. ^ Zimmermann, p. 101.
  10. ^ Ivi, vv. 259, 1231
  11. ^ Ivi, vv. 243-246, 433-434.
  12. ^ Grilli (a cura di), Le nuvole, pp. 67-68.
  13. ^ Claudio Eliano, Storia varia (II, 13).

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