Biblioteca di Alessandria

grande e ricca biblioteca del mondo antico
Disambiguazione – Se stai cercando l'odierna biblioteca di Alessandria d'Egitto, vedi Bibliotheca Alexandrina.

La Biblioteca reale di Alessandria fu la più grande e ricca biblioteca del mondo antico ed uno dei principali poli culturali ellenistici. Andò distrutta nell'antichità, probabilmente più volte tra l'anno 48 a.C. e il 642 d.C. In suo ricordo è stata edificata, ed è in funzione dal 2002, la moderna Bibliotheca Alexandrina.

Biblioteca di Alessandria d'Egitto
Interno dell'antica Biblioteca di Alessandria secondo un'incisione ottocentesca di fantasia
Ubicazione
StatoBandiera dell'Egitto Egitto
CittàAlessandria
Caratteristiche
Stilearchitettura ellenistica

La Biblioteca di Alessandria fu costruita nel III secolo a.C. durante il regno di Tolomeo II Filadelfo. Questo polo culturale, annesso al Museo, era gestito da un sovrintendente (ἐπιστάτης), ruolo di grande autorità. Il sovrintendente era nominato direttamente dal re (il primo filologo ad occupare tale carica fu Zenodoto di Efeso) e dirigeva un gruppo di grammatici e filologi che avevano il compito di annotare e correggere i testi delle opere custodite, redigendone edizioni critiche che venivano poi conservate all'interno della Biblioteca stessa. Si ritiene che, al tempo di Filadelfo, i rotoli (volumen[1]) conservati fossero tra i 490 000 e i 700 000. Quando lo spazio non fu più sufficiente, venne costruita una seconda struttura, la Biblioteca del Serapeo.[2][3]

Origini modifica

La Biblioteca di Alessandria fu fondata dai Tolomei, la dinastia greco-egizia che trae le sue origini, nel 305 a.C., da uno dei diadochi di Alessandro Magno. È probabile che l'ideazione della biblioteca sia stata di Tolomeo I Sotere[4], che fece edificare anche l'annesso tempio delle Muse, il Museo. La biblioteca fu arricchita nel tempo tra IV e I secolo a.C., come sarebbe comprovato dalla Lettera di Aristea[5], che attribuisce l'iniziale organizzazione della biblioteca a Demetrio Falereo, amico di Teofrasto e allievo di Aristotele, la cui biblioteca sarebbe servita da esempio per l'ordinamento di quella di Alessandria. Secondo le fonti, Demetrio fu cacciato da Tolomeo II (figlio di Tolomeo I) all'inizio del suo regno ed è, quindi, probabile che i lavori di costruzione della biblioteca iniziassero già sotto Tolomeo I; sicuramente è da attribuire al Filadelfo l'impulso dato all'acquisizione di opere, soprattutto con il cosiddetto "fondo delle navi", che deve il suo nome al fatto che, secondo un editto faraonico, tutti i libri che si trovavano sulle navi che sostavano nel porto di Alessandria dovevano essere lasciati nella biblioteca in cambio di copie.

Da ricordare che in questo periodo (III secolo a.C.) fu intrapresa la traduzione in greco dell'Antico Testamento, che era scritto in ebraico, che divenne nota come Septuaginta o "Bibbia dei Settanta".

Al tempo di Tolomeo III dovevano esistere già due biblioteche: la più grande, all'interno del palazzo reale, adibita alla consultazione da parte degli studiosi del Museo, mentre la seconda, più piccola e destinata alla pubblica lettura, si trovava all'esterno della corte, nel tempio di Serapide, il Serapeo di Alessandria[2]; comunque, si presume che al tempo di Filadelfo i rotoli conservati nella biblioteca maggiore fossero circa 490.000, mentre quelli della biblioteca del Serapeo ammontassero a circa 42.800, anche se l'esatta consistenza libraria della Biblioteca di Alessandria, come anche il numero degli autori dei libri, è sconosciuta, dato che molti rotoli potevano contenere più opere e molti di questi potevano essere duplicati.

Il primo direttore della biblioteca fu Zenodoto di Efeso, famoso per l'edizione critica dei poemi di Omero e al quale si deve la sistemazione in ordine alfabetico del patrimonio librario, mentre la prima catalogazione delle opere contenute nella biblioteca si deve forse a Callimaco di Cirene, invitato da Tolomeo I ad unirsi al circolo di intellettuali della corte alessandrinaː la sua grande opera, i Pinakes o «Tavole delle persone eminenti in ogni ramo del sapere con l'elenco delle loro opere», è probabilmente una versione dell'elenco per categorie redatto per il catalogo della biblioteca reale.

Dopo la direzione di Apollonio Rodio, nella seconda metà del III secolo a.C. fu a capo della biblioteca il grande geografo Eratostene, che, a differenza dei predecessori, contribuì all'aumento dei trattati di ambito scientifico; egli era anche uno dei primi filologi, anche se fu comunque nella prima metà del II secolo a.C. con Aristofane di Bisanzio ed Aristarco di Samotracia che la lessicografia e la filologia alessandrina toccarono l'apice della loro fortuna.

Dopo la metà del II secolo le complesse vicende interne e i disordini sociali non permisero ai Tolomei di proseguire la politica culturale dei predecessori e la Biblioteca ed il Museo persero progressivamente il ruolo che avevano ricoperto in passato.[2]

Distruzione della biblioteca modifica

Fonti antiche e moderne identificano quattro possibili occasioni dove sarebbe potuta intervenire una distruzione parziale o totale della Biblioteca:

  1. L'incendio del 48 a.C. di Giulio Cesare;
  2. L'attacco di Aureliano intorno al 270 d.C.;
  3. Il decreto di Teodosio I del 391 d.C.;
  4. La conquista araba del 642 d.C.

La conquista di Giulio Cesare modifica

Le fonti riguardanti la fine della Biblioteca di Alessandria sono contraddittorie ed incomplete e rendono ardua una ricostruzione condivisa dell'episodio e della sua datazione. La prima notizia di un incendio che distrusse almeno parte del patrimonio librario concerne la spedizione di Giulio Cesare in Egitto. In seguito ai disordini scoppiati ad Alessandria, un incendio si sviluppò nel porto della città, danneggiando la biblioteca.

Dei sedici scrittori che hanno tramandato notizie sull'episodio, dieci, fra cui lo stesso Cesare nella Guerra alessandrina, Cicerone, Strabone, Livio, Lucano, Floro, Svetonio, Appiano ed Ateneo non riportano alcuna notizia relativa all'incendio del Museo, della Biblioteca o di libri. Le principali notizie riguardo all'incidente sono fornite da vari autori:

Autore Opera Testo
Seneca (49) afferma che furono bruciati 40.000 libri.[6]
  • Quadraginta milia librorum Alexandriae arserunt. Pulcherrimum regiae opulentiae monumentum alius laudauerit, sicut et Livius, qui elegantiae regum curaeque egregium id opus ait fuisse [...]” (IX,5)
  • Tramite la menzione esplicita in Seneca, inoltre, è riportata la testimonianza di Livio, non tramandato altrimenti in forma integrale.
Plutarco (c. 117) informa che il fuoco distrusse la grande Biblioteca //
Aulo Gellio (123 - 169) comunica la notizia di 700.000 volumi bruciati.[7]
  • Nelle Notti Attiche l'autore riporta varie informazioni di carattere linguistico, letterario e più genericamente antiquario tra cui:
  • "Ingens postea numerus librorum in Aegypto a Ptolemaeis regibus vel conquisitus vel confectus est ad milia septingenta voluminum: sed ea omnia, bello priore Alexandrino, dum diripitur ea civica, a militibus euxiliariis casu, non sponte neque opera consulta, incensa sunt” (VII, 17)
Cassio Dione Cocceiano (155 - 235) informa che furono incendiati i depositi contenenti grano ed un gran numero di libri.[8] //
Ammiano Marcellino (390) scrive di 700.000 volumi (septigenta voluminum milia) bruciati.[9] //
Paolo Orosio (c. 415) conferma il dato di Seneca: 40.000 libri
  • Nell'Adversus Paganus Orosio inserisce maggiori informazioni storiografiche e riporta:
  • “In ipso proelio regia classis forte subducta iubetur incendi. Ea flamma cum partem quoque urbis inuasisset, quadringenta milia librorum proximis forte edibus condita exussit, singulare profecto monumentum studii curaeque maiorum, qui tot tantaque inlustrium ingeniorum opera congesserant”
Lucano Riporta la presenza di una flotta “Iam prope semustae merguntur in aequora classes, iamque hostes et tela natant. Nec puppibus ignis incubuit solis; sed quae vicina fuere tecta mari, longis rapuere vaporibus ignem, et cladem fovere noti, percussaque flamma turbine non alio motu per tecta cucurrit quam solet aetherio lampas decurrere sulco materiaque carens atque ardens aëre solo” (X)

Le incoerenze attestate riguardano, quindi, il numero di libri andati bruciati, l'origine dell'incendio e la collocazione della biblioteca. Per quest'ultima motivazione si è ipotizzato l'incendio del magazzino sulla costa, piuttosto che della biblioteca vera e propria.

Prove dell'esistenza della biblioteca dopo Cesare modifica

 
Iscrizione dedicata a Tiberio Claudio Balbillo (~79 d.C.) che conferma l'esistenza della Biblioteca nel I secolo, come affermano le fonti classiche.

Di tutte le fonti, Plutarco, nelle Vite parallele - Cesare, è l'unico che parla della distruzione della biblioteca riferita esplicitamente a Giulio Cesare[10]. La testimonianza di una completa distruzione della biblioteca nel corso della guerra alessandrina, tuttavia, sarebbe inficiata non solo dalla discrepanza delle fonti, ma anche da altri indizi, che indurrebbero a pensare ad una perdita parziale e non alla distruzione dell'intero patrimonio librario.

L'interpretazione più plausibile è che solamente i libri depositati in un magazzino nei pressi del porto furono accidentalmente distrutti dal fuoco. Questa ipotesi sarebbe suffragata da altre fonti, che fanno supporre che la biblioteca fosse ancora in piedi anche successivamente all'episodio narrato. Si sa infatti che Strabone, durante il suo soggiorno in Egitto (25 a.C.-20 a.C.) lavorò nella biblioteca e che un ampliamento degli edifici fu realizzato da Claudio (41-54 d.C.).[2]

La continuità storica della biblioteca sarebbe comprovata anche da un'iscrizione databile alla metà del I secolo d.C. e dedicata a Tiberio Claudio Balbillo, che avrebbe ricoperto un incarico supra Museum et ab Alexandrina bibliotheca.

La guerra di Aureliano contro Zenobia modifica

La distruzione della biblioteca è collocata da alcuni storici al tempo del conflitto che oppose l'imperatore Aureliano alla regina Zenobia di Palmira, verso il 270. Nel corso dei feroci scontri ingaggiati nella città di Alessandria, fu raso al suolo il Bruchion, quartiere della città dove si trovavano la reggia e, al suo interno, la biblioteca[2].

L'editto di Teodosio I modifica

In alternativa a questa teoria, alcuni studiosi, basandosi su fonti che attestano la sopravvivenza del Museo fino al IV secolo, hanno ipotizzato che la distruzione della biblioteca vada ricondotta ad una data vicina al 400. [2]
Secondo questa interpretazione, la fine della Biblioteca di Alessandria e del Museo sarebbe collegata a quella del Serapeo, la biblioteca minore di Alessandria, distrutto in seguito all'editto dell'imperatore Teodosio I del 391, ostile alla cosiddetta "saggezza pagana"[11]. Secondo altri studiosi quest'ipotesi sarebbe originata invece da una confusione tra le due biblioteche di Alessandria. E dunque la Biblioteca maggiore di Alessandria sarebbe sopravvissuta anche a questo episodio.

La conquista araba dell'Egitto modifica

Fonti più tarde narrano che nel 642 il generale ʿAmr b. al-ʿĀṣ, comandante delle truppe arabe che avevano appena conquistato l'Egitto, distrusse la biblioteca di Alessandria e i libri in essa contenuti su ordine del califfo ʿOmar.

ʿAbd al-Laṭīf al-Baghdādī (1162–1231) - lontano oltre mezzo millennio rispetto ai tempi del preteso evento - afferma che la biblioteca fu distrutta da ʿAmr, su ordine del secondo Califfo ʿOmar.[12]

Il racconto - secondo il consueto uso di riproporre o riassumere quanto scritto da storici musulmani delle generazioni precedenti - è ripetuto anche da al-Qifti (1172-1248) nella sua Storia degli Uomini Dotti: si ritiene che sia questo il testo su cui Bar Hebraeus basò la sua versione della storia.[13]

La più lunga versione del racconto è rintracciabile nella Historia Compendiosa Dynastiarum, opera dell'autore siriano di religione cristiana Barebreo, ossia Bar Hebraeus, (1226-1286), il cui vero nome era Abū l-Faraj. L'opera fu tradotta in arabo e fu integrata da materiale proveniente da fonti arabe precedenti. Nel testo[14] racconta che un non meglio identificato "Ioannes Grammaticus" chiese ad ʿAmr che fare con i "libri nella biblioteca reale". ʿAmr scrisse a ʿOmar per averne istruzioni e "Il califfo rispose: «In quei libri o ci sono cose già presenti nel Corano, o ci sono cose che del Corano non fanno parte: se sono presenti nel Corano sono inutili, se non sono presenti allora sono dannose e vanno distrutte». Gli Arabi perciò bruciarono i libri per alimentare le caldaie dei bagni per i soldati ed essi bastarono per sostenere il fuoco per sei mesi"[15]

Al-Maqrizi (1364 – 1442) menziona brevemente il racconto, parlando del Serapeo.[16]

In analogia con questo racconto, Ibn Khaldun (1332 - 1406) riporta che ʿOmar ordinò la distruzione dei libri delle biblioteche dell'impero persiano appena conquistato.[17]

Nel 1713 il monaco Eusèbe Renaudot giudicò il racconto della distruzione della biblioteca ad opera degli Arabi un falso; nei secoli, altri studiosi condivisero le conclusioni di Renaudot: Edward Gibbon nel XVIII secolo, Alfred J. Butler nel 1902, Victor Chauvin nel 1911, Paul Casanova e Eugenio Griffini nel 1923[18].

Nel 1990 l'orientalista Bernard Lewis ha suggerito che il racconto non sia autentico, ma che la sua origine sia dipesa dalla sua utilità per la propaganda del condottiero islamico Saladino, il quale nel 1171 dichiarò di aver distrutto la collezione fatimide di libri "eretici" ismailiti al Cairo, nel quadro della sua restaurazione del sunnismo, giustificando il suo gesto con un esplicito richiamo all'ordine di ibn al-Khaṭṭāb di distruggere la biblioteca alessandrina. Lewis ritiene che la storia del califfo ʿOmar che approvava la distruzione della biblioteca potesse rendere il gesto di Saladino più accettabile per la sua popolazione.
A contraddire questa ultima narrazione esiste tuttavia la testimonianza dello storico arabo al-Maqrizi (1364 -1442) che, nel suo Khiṭaṭ[19] ricordava come lo svuotamento dei 100.000 volumi della Dār al-ḥhikma e della sua Khizānat al-kutub ("Tesoro dei libri") fosse cominciato ben prima dell'epoca di Saladino, poco dopo la morte di al-Afḍal Shāhanshāh, ultimo autorevole esponente del cosiddetto "visirato militare". I soldati turchi dell'Imam fatimide, in mancanza del loro soldo, andarono infatti a trafugare nel 1068 i libri per rivenderli sul florido mercato dei bibliofili, strappando in vari casi il cuoio delle rilegature per rattoppare le suole dei loro stivali.[20]
Lewis ha successivamente trattato ancora la questione, ribadendo la sua posizione, nel saggio «The Arab Destruction of the Library of Alexandria» contenuto nel libro collettaneo apparso nel 2008, What happened to the Ancient Library of Alexandria?, a cura del direttore della nuova Bibliotheca Alexandrina, Ismail Serageldin[18].

Diversi altri studiosi hanno espresso scetticismo riguardo alla versione che vuole gli arabi responsabili[21][22][23][24][25].

Serie dei capo-bibliotecari modifica

Epoca moderna modifica

Nel 2002 è stata inaugurata la nuova Biblioteca di Alessandria (Bibliotheca Alexandrina) su progetto di un gruppo di architetti norvegesi, statunitensi e australiani[26]

Note modifica

  1. ^ rotolo, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  2. ^ a b c d e f Lionel Casson, Libraries in the Ancient World, Yale University Press (2001), passim e s.v. ISBN 978-0-300-09721-4 (EN) ; consultato anche in trad. ital., Biblioteche del mondo antico, Sylvestre Bonnard (2003). ISBN 978-88-86842-56-3 (IT)
  3. ^ Frédéric Barbier, Storia del libro: dall'antichità al XX secolo, Bari, Dedalo, 2004.
  4. ^ Secondo un'usanza tipica della politica di propaganda della dinastia tolemaica è verosimile che l'importanza del ruolo del primo faraone tolemaico sia stata offuscata a favore del figlio Tolomeo II.
  5. ^ Lettera di Aristea. 9.
  6. ^ De tranquillitate animi, 9,5
  7. ^ VII, 17,3
  8. ^ XLII, 38,2
  9. ^ XXII, 16,13
  10. ^ Plutarco, Vita di Cesare, 49.6
  11. ^ I pagani asserragliati nel grande tempio di Apollo furono trucidati. Cfr. Carlo Rovelli "Cos'è la scienza. La rivoluzione di Anassimandro", Mondadori, 2011.
  12. ^ Antoine-Isaac Silvestre de Sacy, Relation de l'Egypte par Abd al-Latif, Paris, 1810: "Sopra la colonna dei pilastri c'è una volta sostenuta da questa colonna. Penso che questo edificio sia il portico dove Aristotele insegnava, e dopo di lui [insegnavano] i suoi discepoli; e che questo [edificio] era la scuola che Alessandro costruì quando edificò questa città, e dove era collocata la Biblioteca che ʿAmr b. al-ʿĀṣ bruciò, su ordine di ʿOmar". Vedi Google books [1]. Traduzione inglese del testo francese di De Sacy da [2]. Altre versioni del testo di ʿAbd al-Laṭīf in lingua inglese [3].
  13. ^ Samir Khalil, «L'utilisation d'al-Qifṭī par la Chronique arabe d'Ibn al-ʿIbrī († 1286)», in: Samir Khalil Samir (Éd.), Actes du IIe symposium syro-arabicum (Sayyidat al-Bīr, septembre 1998). Études arabes chrétiennes, Parole de l'Orient 28 (2003), pp. 551-598. Una traduzione inglese del passaggio in cui l'autore parla della biblioteca, opera di Emily Cottrell dell'Università di Leida, è leggibile qui.
  14. ^ Edward Pococke, Bar Hebraeus: Historia Compendiosa Dynastiarum, Oxford, 1663. Testo arabo, traduzione in latino. Questa è l'unica edizione e traduzione mai stampata dell'opera. Nel 1650 Pococke aveva tradotto precedentemente il passaggio concernente la fine della Biblioteca nel suo Specimen Historiae Arabvm; sive, Gregorii Abul Farajii Malatiensis De origine & moribus Arabum succincta narratio, in linguam latinam conversa, notisque è probatissimis apud ipsos authoribus, fusiùs illus., operâ & studio Edvardi Pocockii. Oxoniae: 1650: excudebat H. Hall. Quest'ultima opera era una raccolta di estratti di testi arabi inediti a quel tempo, pubblicata per verificare se vi fosse un interesse verso la materia da parte dei potenziali lettori.
  15. ^ Ed. Pococke, p. 181, traduzione a p. 114. Testo in inglese e latino qui. Passo in latino: “Quod ad libros quorum mentionem fecisti: si in illis contineatur, quod cum libro Dei conveniat, in libro Dei [est] quod sufficiat absque illo; quod si in illis fuerit quod libro Dei repugnet, neutiquam est eo [nobis] opus, jube igitur e medio tolli.” Jussit ergo Amrus Ebno'lAs dispergi eos per balnea Alexandriae, atque illis calefaciendis comburi; ita spatio semestri consumpti sunt. Audi quid factum fuerit et mirare."
  16. ^ Alfred J. Butler, The Arab Conquest of Egypt and the Last Thirty Years of the Roman Dominion, Oxford, 1902, Chapter 25, p. 401 e segg.: (testo in inglese) "Thus speaking of the Serapeum he says, ‘Some think that these columns upheld the Porch of Aristotle, who taught philosophy here: that it was a school of learning: and that it contained the library which was burnt by `Amr on the advice of the Caliph Omar' (Khiṭaṭ, vol. I, p. 159)."
  17. ^ Citato da Wahid Akhtar (tr), Murtada Mutahhari-quddisa sirruh, Alleged Book Burnings in Iran and Egypt: A Study of Related Facts and Fiction Archiviato il 5 giugno 2013 in Internet Archive., in al Tawhid vol 14, No. 1 Spring 1997. Ibn Khaldum scrisse (testo in inglese): "It is said that these sciences reached Greece from the Persians, when Alexander killed Darius and conquered Persia, getting access to innumerable books and sciences developed by them. And when Iran was conquered (by Muslims) and books were found there in abundance, Sa'd ibn Abi al-Waqqas wrote to `Umar ibn al-Khattab asking his permission to have them translated for Muslims. ‘Umar wrote to him in reply that he should cast them into water, “for if what is written in those books is guidance, God has given us a better guide; and if that which is in those books is misleading, God has saved us from their evil.” Accordingly those books were cast into water or fire, and the sciences of the Iranians that were contained in them were destroyed and did not reach us."
  18. ^ a b "The Arab Destruction of the Library of Alexandria: Anatomy of a Myth", di Bernard Lewis.
  19. ^ al-Mawāʿiẓ wa-l-iʿtibār fī dhikr al-khiṭaṭ wa-l-athār ed. Ayman Fuʾād Sayyid, 6 voll., Londra, al-Furqān Islamic Heritage Foundation, 2002-2004.
  20. ^ Claudio Lo Jacono, Storia del mondo islamico (VII-XVI secolo) - Il Vicino Oriente, Torino, Einaudi, 2003, p. 292.
  21. ^ Trumble & MacIntyre Marshall 2003, p. 51. "Today most scholars have discredited the story of the destruction of the Library by the Muslims."
  22. ^ E. Gibbon, Decline and Fall, chapter 51: "It would be endless to enumerate the moderns who have wondered and believed, but I may distinguish with honour the rational scepticism of Renaudot, (Hist. Alex. Patriarch, p. 170): historia ... habet aliquid ut απιστον ut Arabibus familiare est." However Butler says: "Renaudot thinks the story has an element of untrustworthiness: Gibbon discusses it rather briefly and disbelieves it." (ch.25, p.401)
  23. ^ The civilisation of Arabs, Book no III, 1884, reedition of 1980, page 468
  24. ^ "The Vanished Library by Bernard Lewis". nybooks.com.
  25. ^ MacLeod 2000, p. 74. "The story first appears more than 500 years after the Arab conquest of Alexandria. John the Grammarian appears to be the Alexandrian philosopher John Philoponus, who must have been dead by the time of the conquest. It seems, as shown above, that both the Alexandrian libraries were destroyed by the end of the fourth century, and there is no mention of any library surviving at Alexandria in the Christian literature of the centuries following this date. It is also suspicious that the caliph Omar is recorded to have made the same remark about books found by the Arabs during their conquest of Iran."
  26. ^ Federico Bucci, La biblioteca di Alessandria d'Egitto, su UnDonet, novembre 2013. URL consultato il 21 maggio 15.

Bibliografia modifica

  • Monica Berti e Virgilio Costa, La Biblioteca di Alessandria. Storia di un paradiso perduto, Edizioni Tored, Tivoli, 2010, ISBN 978-88-88617-34-3
  • Luciano Canfora, La biblioteca scomparsa, Sellerio editore, Palermo, 1986
  • (EN) Lionel Casson, Libraries in the Ancient World, Yale University Press, 2001, ISBN 978-0-300-09721-4
  • Guglielmo Cavallo (a cura di), Le biblioteche nel mondo antico e medievale, Editori Laterza, Roma-Bari, 1988, ISBN 88-420-3256-5
  • Roy MacLeod (a cura di), The Library of Alexandria. Centre of Learning in the Ancient World, Londra-New York, I.B.Tauris & Co, 2000.

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