Patto di Omar
Il patto di ʿOmar, stipulato nel 637, è un trattato di sottomissione ispirato, sembra, dal secondo califfo ʿOmar ibn al-Khaṭṭāb (634-644) oppure, meno probabilmente, dal califfo omayyade ʿOmar II (682-720), che l'avrebbe fatto redigere nel 717 per regolare i rapporti sociali ed economici con la "Gente del Libro" (segnatamente zoroastriani, ebrei e cristiani), abitante nelle terre conquistate dai musulmani.
StoriaModifica
Le versioni più antiche pervenute datano al XIII secolo ed è dunque tutt'altro che certo attribuire proprio al califfo omayyade la paternità di tale documento. Alcuni studiosi mettono addirittura in forse l'autenticità di tale atto, che sembra più che altro "una compilazione relativa a disposizioni elaborate progressivamente, di cui alcune potrebbero essere datate al tempo del regno del califfo Omar II". Da qui un'incertezza che non ha potuto finora essere definitivamente risolta.[1]. L'origine del cosiddetto Patto - che patto propriamente non sarebbe, quanto piuttosto un'imposizione dei vincitori musulmani sui popoli vinti di altre fedi monoteistiche, i quali non avevano la possibilità di obiettare alcunché - sarebbe stata l'incipiente adozione di una serie di restrizioni, più o meno pesanti e più o meno odiose, sia di carattere militare sia attinenti alla sicurezza interna che, da contingenti, si trasformarono col tempo in divieti legali e sociali veri e propri[2].
I popoli conquistati - ebrei, mazdei o cristiani che fossero - denominati dhimmi, in cambio del pagamento di tasse come la jizya ed eventualmente il kharāj, si videro riconosciuto il diritto di continuare a professare la propria religione ma costretti in contraccambio a subire diverse regole evidentemente discriminatorie (non potevano per esempio fare proselitismo o edificare nuovi luoghi di culto).
Il Patto di ʿOmar enumera le condizioni della sottomissione al potere politico islamico dei popoli vinti. Il documento, a prescindere dalla sua autenticità, divenne fondamentale nell'elaborazione legale dello status dei dhimmi nel periodo classico della giurisprudenza musulmana.
Da questo trattato sono rimasti invece esclusi i politeisti (a quei tempi ancora numericamente consistenti). Il Patto infatti imponeva che chi tra loro non si fosse convertito all'Islam non avrebbe più potuto vivere in quei territori.
PremesseModifica
Dopo aver sconfitto i Bizantini nella battaglia del Yarmuk del 636 conquistando la Palestina, Gerusalemme rimaneva però inafferrabile per i musulmani guidati da ʿAmr ibn al-ʿĀṣ grazie alle sue mura. Mentre era in corso l'assedio, il Patriarca Sofronio annunciò che non avrebbe firmato un trattato di resa se non col califfo stesso, ʿOmar ibn al-Khaṭṭāb, invitandolo a Gerusalemme. ʿOmar accettò per metter fine all'ormai inutile spargimento di sangue.
ʿOmar partì da Medina con un solo servitore che fece viaggiare con lui sopra una dromedaria. Dopo un lungo viaggio, essi giunsero alla periferia di Gerusalemme in un giorno piovoso.
Quando il Patriarca Sofronio vide i due uomini arrivare, chiese ai musulmani quale di loro fosse ʿOmar. Essi gli risposero che il Califfo era quello con le redini dell'animale in mano. Al che Sofronio consegnò le chiavi della città di Gerusalemme, aprendogli le porte, e sottoscrivendo il trattato che avrebbe regolamentato i rapporti fra i conquistatori e i nuovi sudditi della Umma.
CondizioniModifica
Ai dhimmi fu concesso il diritto di praticare privatamente i propri riti religiosi. Fu prevista anche la protezione personale e dei beni, ma la punizione per le infrazioni commesse nei loro confronti era più leggera rispetto a quella prevista nei confronti di un musulmano. In certe epoche i diritti potevano variare o addirittura scomparire.
Per assicurarsi quei diritti, i dhimmi dovettero giurare lealtà ai conquistatori musulmani, pagare una apposita tassa (testatico) per i maschi adulti (la jizya), e in generale mostrare deferenza e umiltà nei contatti sociali.
TestoModifica
Dal Sirāj al-mulūk di Abū Bakr Muḥammad ibn al-Walīd al-Ṭarṭūshī (m. 1126), il più antico autore che abbia riportato il contenuto del cosiddetto Patto:
«ʿAbd al-Raḥmān b. Ghanm (morto nel 78 E./697) ha detto: La gente di Aelia dovrà pagare il tributo come tutti gli abitanti delle altre città e dovrà espellere i Romei e i banditi. Chi di essi decide di partire sarà sicuro e avrà la sicurezza per se stesso e per il suo denaro finché raggiunga la sua destinazione.
Chi di essi rimane avrà la sicurezza e avrà gli obblighi del tributo come tutti i cittadini di Aelia.
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(da Jacob Marcus, The Jews in the Medieval World. A Sourcebook, 315-1791, New York, JPS, 1938, pp. 13-15) |
OggiModifica
Diverse imposizioni previste nel Patto di ʿOmar sono tuttora in vigore in diverse parti del mondo islamico, dove è vietato alle minoranze religiose fare proselitismo ed è piuttosto arduo, se non impossibile (come in Arabia Saudita) ottenere il permesso per la costruzione di nuovi luoghi di culto.
Inoltre vari palestinesi cristiani e musulmani fino ad oggi continuano a vedere il documento come avente forza di legge, anche dopo oltre 14 secoli.
Nell'agosto 2015 i miliziani dello Stato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi hanno conquistato una cittadina siriana popolata da cristiani, al-Kareten. Gli abitanti non sono fuggiti ma hanno chiesto di restare, accettando le condizioni loro imposte dagli occupanti. Lo Stato islamico ha emanato un documento che contiene un elenco di condizioni da rispettare. Reso pubblico, il documento si ispira in molte sue parti al Patto di Omar[4].
NoteModifica
- ^ Libro online di Dominique Perrin.
- ^ Bernard Lewis, '"L'islam et les non-musulmans", in Annales. Histoire, Sciences Sociales, 35 (1980), 3-4, p. 789 Legge online su Persée
- ^ In evidente relazione al già espresso divieto "di assomigliare ai musulmani negli abiti, nei cappelli, turbanti, calzari e acconciatura di capelli".
- ^ L'Islam sta diventando il vostro vicino di casa. State pronti, su informazionecorretta.com. URL consultato il 13/09/2015.
BibliografiaModifica
- Pasachoff Naomi E.; Littman Robert J., A Concise History of the Jewish People, 2005, ISBN 0-7425-4365-X.
- Mariam Shahin, Palestine: A Guide, Interlink Books, 2005, ISBN 1-56656-557-X.
- William Spencer, Islamic Fundamentalism in the Modern World, 1995, ISBN 1-56294-435-5.