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[[File:St. Benedict delivering his rule to the monks of his order.jpg|thumb|[[San Benedetto]] porge la sua [[Regola benedettina|Regola]] a [[Mauro (abate)|san Mauro]] e ad altri monaci; [[manoscritto]] [[miniatura|miniato]] del 1129]]
 
Fin dal IV secolo alcuni cristiani scelsero di ritirarsi a vivere in completa solitudine ([[anacoreti]]) o in piccoli gruppi ([[cenobiti]]) allo scopo di condurre un'esistenza conforme ad una rigida visione dell'ideale cristiano. Fin dal principio, le comunità di cenobiti (detti poi "[[monachesimo cristiano|monaco]]") si dettero delle "[[regola monastica|regole]]" funzionali ad organizzare la loro vita secondo le proprie aspirazioni ascetiche. La [[regola benedettina]], dettata nel 534 da [[Benedetto da Norcia]] monaco fondatore dell'[[abbazia di Montecassino]], fu certamente quella che ebbe maggior diffusione venendo adottata da moltissimi monasteri, soprattutto grazie al sostegno che ricevette da [[papa Gregorio Magno]]. Caratteristica innovativa di questa regola fu l'importanza data al lavoro manuale da parte del monaci che andava a coniugarsi con il tempo dedicato alla preghiera, un aspetto riassumibile dalla massima ''[[ora et labora]]'' (prega e lavora).<ref>{{cita|Ascheri, 2007|p. 38}}.</ref> Con la riforma voluta da [[Ludovico il Pio]], figlio di [[Carlo Magno]], la regola benedettina divenne l'unica a cui dovevano uniformarsi tutte le case religiose dell'[[impero carolingio]]. Della regola benedettina è stato detto che "è un documento straordinario, unico per longevità della sua vigenza e è un concentrato di saggezza giuridico-situazionale che conferma la vocazione occidentale per la scrittura della legge.<ref>{{cita|Ascheri, 2007|p. 41}}.</ref>
 
Le comunità monastiche costituivano delle istituzioni indipendenti, spesso separate nettamente dal mondo secolare fuori da loro;, ltanto che in [[epoca carolingia]] (tra VIII e X secolo) erano al di fuori della giurisdizione laica. L'unica e indiscussa autorità del monasteri risiedeva nell'[[abate]] a cui i monaci facevano voto di totale obbedienza tanto che era previsto che essirinunciando rinunciasserocosì totalmente alla propria volontà. Per coloro che avessero trasgredito alla regola o agli ordini dell'abate erano previste punizioni corporali.<ref name=Ascheri40>{{cita|Ascheri, 2007|p. 40}}.</ref>
 
I monasteri erano, inoltre, spesso autosufficienti sia grazie al lavoro dei monaci che alle donazione, talvolta cospicue, dei fedeli. In taluni casi divennero delle vere e proprie aziende che presero parte attiva nel sistema della [[Corte (storia)|economia curtense]]. Negli ultimi secoli del primo millennio, si diffuse la pratica da parte dei ricchi laici di fondare un monastero conferendogli parte dei suoi possedimenti in cambio della possibilità di apportare modifiche alla regola in uso ed in particolare a quanto concerneva le modalità di elezione dell'abate in modo che potesse essere di suo gradimento. Ciò contribuì al decadimento dell'istituzione monastica almeno per quanto riguarda gli aspetti etici; bisognerà aspettare [[riforma cluniacense|la riforma iniziata]] nel [[X secolo]] nell'[[abbazia di Cluny]] perché riprendesse vigore l'antico modello di ascesi su cui traeva fondamento l'istituzione monastica.<ref>{{cita|Ascheri, name=Ascheri402007|pp. 41-42}}.</ref>
 
=== I Longobardi e l'Editto di Rotari ===