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Mentre in senato si discuteva senza arrivare ad una soluzione sulla questione dei debitori ridotti in schiavitù, sul fronte militare Roma era minacciata dai [[Volsci]], resi più audaci dalle difficoltà interne alla Repubblica. Nonostante tutto però non riuscirono a convincere le città Latine, appena uscite sconfitte dalla [[battaglia del Lago Regillo]], ad unirsi a loro in funzione anti romana. Anzi, i Latini denunciarono al Senato romano i preparativi di guerra dei Volsci, ottenendo per questo la liberazione di oltre 6.000 soldati fatti prigionieri, e ridotti in schiavitù a seguito della sconfitta dell'anno prima.<ref>[[Tito Livio]], [[Ab Urbe condita libri]], lib. II, par 22</ref>
 
In questa situazione di crisi la plebe rimase compatta nel rifiutarsi di rispondere alla chiamata alle armi, se non fossero state accolte le proprie richieste. Il senato incaricò quindi il console Servilio, considerato più adatto di Appio per trattare con la plebe, di convincere il popolo ad arruolarsi. Servilio da parte sua, riuscì a convincere la plebe a rispondere alla chiamata alle armi,<ref>[[Dionigi di Alicarnasso|Dionigi]], ''[[Antichità romane (Dionigi di Alicarnasso)|Antichità romane]]'', lib. VI, § 2529.</ref> facendo promesse ed emanando un editto in favore dei debitori secondo il quale:
{{citazione |....più nessun cittadino romano poteva essere messo in catene o imprigionato, in modo da impedirgli di iscrivere il proprio nome nella lista di arruolamento dei consoli, nessuno poteva impossessarsi o vendere i beni di un soldato impegnato in guerra, né trattenere i suoi figli e i suoi nipoti.|[[Tito Livio]], ''Ab Urbe Condita'', II, 24.|...ne quis civem Romanum vinctum aut clausum teneret, quo minus ei nominis edendi apud consules potestas fieret, neu quis militis, donec in castris esset, bona possideret aut venderet, liberos nepotesve eius moraretur.
|lingua=la}}