Il fenachistoscopio, anche conosciuto come fenachistiscopio, phenakistiscopio, fantasmascopio (phantasmascope) o fantascopio (phantascope)[1] è un antico strumento ottico che consente di visualizzare immagini animate, inventato nel 1833 da Joseph Plateau.

Disco di fenachistoscopio di Eadweard Muybridge (1893)
Veduta simulata allo specchio del disco inferiore

Origine del nome modifica

La prima parte del termine "fenachistoscopio" deriva dalla radice greca φενακίζειν (phenakizein), che significa "ingannare" o "imbrogliare", poiché si "inganna" l'occhio, dal momento che gli oggetti nei disegni sembrano muoversi.

Principio di funzionamento modifica

Il dispositivo è costituito da due dischi, uno dei quali con finestre radiali equidistanti attraverso le quali l'osservatore può guardare il secondo disco che contiene una sequenza di immagini. Quando i due dischi ruotano alla velocità corretta l'osservatore può osservare un'animazione. La proiezione di fotografie stroboscopiche, che creano l'illusione del movimento o persistenza della visione, avrebbe successivamente portato allo sviluppo della tecnica cinematografica.

Storia modifica

Il principio che sta alla base del fenachistiscopio era stato già studiato dal matematico greco Euclide e, molto più tardi, da Newton nei suoi esperimenti. Ma solamente nel 1829 il principio venne descritto dal belga Joseph Plateau, che progettò e creò il dispositivo nel dicembre del 1832. Lo stesso anno, l'austriaco Simon von Stampfer inventò il disco stroboscopico, un dispositivo similare. Una edizione coeva dell'Enciclopedia Britannica riportava: «Il fenachistoscopio, o disco magico, in origine fu inventato dal Dr. Roget, e migliorato da M. Plafteau, a Bruxelles, e dal Dr. Faraday.»[2]

Il termine fantascopio, venne dato successivamente anche a due differenti dispositivi di proiezione di immagini in movimento di John Arthur Roebuck Rudge.

Note modifica

  1. ^ (EN) Phantascopes nel sito del Dipartimento di Fisica del Kenyon College
  2. ^ (EN) Encyclopaedia Britannica, ottava edizione, Edinburgh, 1857, volume XVI, p. 697.

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