Per diritto europeo dell'età contemporanea si intende la storia dell'esperienza giuridica dell'Europa che va dalla fine dell'età moderna, solitamente fatta coincidere con la Rivoluzione francese (1789-1799), ai giorni contemporanei, un periodo che parte della storiografia tradizionale indica come età contemporanea. Oltre che per le guerre, l'età napoleonica è ricordata per l'introduzione nel 1804 del codice civile dei francesi, fortemente voluto dallo stesso imperatore. Esso rappresentò un vero spartiacque nella storia del diritto, proponendosi come una fonte normativa che, di fatto, cancellava l'enorme impianto di diritto comune sedimentatosi nei secoli e modificando anche il ruolo dei giuristi, i quali erano divenuti essenzialmente degli esegeti. L'idea del codice si diffuse un po' in tutta Europa, suscitando approvazioni o reticenze. In particolare, in Germania vi fu un'accesa disputa iniziata da Friedrich Carl von Savigny, le cui tesi addotte contrarie alla codificazione porteranno poi alla nascita della cosiddetta scuola storica del diritto, ricordata anche per la prima concettualizzazione del "negozio giuridico". Nonostante ciò, sia pur soltanto nel 1900, anche l'impero tedesco si doterà di un suo codice (il Bürgerliches Gesetzbuch) grazie all'opera dei giuristi pandettisti.

Le profonde trasformazioni sociali del XIX secolo influirono sullo sviluppo del diritto, portando agli inizi del secolo successivo all'introduzione del diritto del lavoro, mentre il progresso tecnologico risultò alla base della nascita del positivismo giuridico, il quale proponeva di adottare un approccio scientifico alla materia giuridica. La riflessione dei positivisti sulla centralità della norma giuridica dette inizio al movimento del normativismo, di cui il celebre giurista Hans Kelsen ne fu il maggiore interprete. Diverse furono anche le correnti che si opposero al positivismo, in particolare quelle neokantiane e neohegeliane che si rifacevano al giusnaturalismo, l'istituzionalismo di Santi Romano e Maurice Hauriou, la giurisprudenza degli interessi di Rudolf von Jhering. La prima metà del XX secolo fu contraddistinta altresì dall'affermazione di alcuni regimi totalitari, responsabili di aver reso il diritto lo strumento per raggiungere i propri scopi senza alcuna mediazione, con esiti decisamente tragici.

Come risposta all'esperienza passata, il secondo dopoguerra è stato definito da Norberto Bobbio come "l'età dei diritti", in quanto si fece strada l'idea che alcuni principi basilari inerenti ai diritti umani fossero imprescindibili e non sopprimibili nemmeno attraverso le leggi; le nuove costituzioni scritte in quegli anni seguirono proprio questo approccio. Inoltre, accanto ai più tradizionali diritti se ne aggiunsero di nuovi, come quelli della salute, di opinione, di sicurezza sociale, di suffragio universale, di uguaglianza sostanziale, di lavoro; comparvero pure i diritti degli animali e dell'ambiente. A partire dagli anni 1960, il mondo occidentale assistette ad una profonda trasformazione nel diritto di famiglia e, in particolare, a una piena affermazione dello status giuridico della donna. La globalizzazione ha portato a pensare il diritto non più confinato entro i limiti politici di uno Stato. Molti schemi di contratti commerciali di matrice statunitense hanno fatto la loro comparsa in gran parte degli ordinamenti di tutto il globo, mentre organismi sovranazionali e internazionali hanno guadagnato sempre più peso specifico. Il velocissimo progresso tecnologico vissuto a partire dagli ultimi decenni del Novecento nel campo dell'informatica, delle medicina e delle biotecnologie ha aperto questioni etiche a cui il diritto è e sarà sempre più pienamente coinvolto.

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