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Carme 13
Titolo originaleCarmen XIII
Altri titoliInvito a cena a Fabullo
Raccolta dei carmi di Catullo in un'edizione del 1889.
AutoreGaio Valerio Catullo
1ª ed. originaleI secolo a.C.
Generepoesia
Lingua originalelatino

Il Carme 13 di Catullo è il tredicesimo del Liber, ovvero la raccolta delle opere dell'autore, compilata probabilmente dopo la sua morte in maniera arbitraria, secondo un ordine legato alla metrica dei singoli componimenti, piuttosto che cronologico o tematico.

Il Carme 13, intitolato poi genericamente Invito a cena a Fabullo o semplicemente Invito a cena fa parte delle cosiddette nugae ("bazzecole"), ovvero i carmi dall'1 al 60, e consiste appunto in un bizzarro invito rivolto all'amico Fabullo (personaggio non altrimenti noto, ricordato in diversi componimenti come uno dei suoi più cari e intimi amici)[1], forse dopo il ritorno di quest'ultimo dalla Spagna Terragonese, dove sappiamo era stato con Veranio, altro amico di Catullo, come si dice nei carmi 12 e 15 del Liber[2]. La lirica, individuando come punto di rifermento cronologico il v. 11 in cui si accenna all'amore per Lesbia che sembra ancora vivo e profondo, dovrebbe porsi temporalmente non oltre il 60 a.C.[3]

Analisi modifica

Il componimento è in endecasillabi faleci[4] e riprende un topos della poesia ellenistica, quale il bigliettino di invito a cena rivolto a un amico, rielaborandolo però in un personale stile giocoso e parodistico[5]. L'amico Fabullo è atteso fra pochi giorni a casa di Catullo, tuttavia egli dovrà procurarsi personalmente e portare una cena e, per allietare la serata, una bella ragazza, vino ed arguzie.[6][7].La lunga enumerazione di ciò che Catullo richiede viene enfatizzata attraverso l'artificio retorico del polisindeto (et...et...et..., v. 5)[8]. Tutte queste richieste vengono spiegate solo successivamente al verso 8 con la vivace immagine delle ragnatele nel borsellino: Catullo si dichiara "al verde"[9]. Se però Fabullo porterà tutto ciò che gli è stato richiesto, riceverà in cambio un prezioso profumo, dono degli Amori a Lesbia, tanto buono che, una volta odorato, pregherà gli dei di farlo divenire "tutto naso" (totum...nasum, v. 14), immagine grottesca con cui si chiude a sorpresa il carme.[10][11]

Paralleli con altre liriche modifica

Tenendo come punto fisso di riferimento il tredicesimo carme catulliano, è possibile stabilire alcuni paralleli con altre liriche della poesia antica.[12] In primis si possono analizzare due delle odi simposiache di Orazio, le quali presentano a loro volta il tema dell'invito: nella prima (Hor. Od. I, 20) l'autore si rivolge a Mecenate presentando quello che sarà un simposio modesto, ma caratterizzato da sincera amicizia, nel secondo (Hor. Od. IV, 12), più ricercato, l'invito è rivolto all'amico Virgilio, e dopo un dotto ricordo mitologico e la descrizione del ritorno della primavera, per il cui nuovo caldo è d'obbligo bere, l'amico è pregato, in cambio dell'invito, di recare con sé un vasetto di nardo. Dalla lettura di questi due esempi appare chiaro come Catullo e Orazio affrontino temi assai simili con approcci alquanto differenti: scapigliato, spontaneo, dalla pungente ironia e con un linguaggio quasi parlato il primo, quanto raffinato e ricco di particolari narrativi e descrittivi il secondo.[13] Più simili stilisticamente a Catullo sono invece alcuni epigrammi alessandrini ed in particolare sono individuabili tre epigrammisti che offrono dei precedenti letterari al poeta latino:Edilo, Niceneto e Filodemo[14]. Di Edilo sono sopratutto interessanti a tal proposito tre epigrammi (conservatici da Ateneo in Deipnosoph. 8, p. 344 k): nel primo[nota 1] si accenna ad un certo Fedone la cui unica qualifica è quella di ghiottone (ὀψοφάγος in greco), nel secondo[nota 2] si presenta un altro goloso, tal Agide, capace di tutto pur di ottenere le agognate vivande, nel terzo[nota 3] infine appare una donna, Clio, amante della buona tavola, che per mangiare tutto dovrà però dare in cambio un pegno, come la cintura o un orecchino. Lo studioso Lafaye trova in tutti e tre questi epigrammi contatti con Catullo per concisione e tratto pittoresco e scherzoso, anche se non tutti concordano e si tende a riscontrare una situazione piuttosto simile a quella del carme 13 solo nel terzo epigramma, in cui Clio, proprio come Fabullo in Catullo e Virgilio in Orazio, per accedere al banchetto dovrà dare qualcosa in cambio[15]. Per quanto riguarda Niceneto, invece, è bene citare un suo epigramma[nota 4] (conservatici da Ateneo in Deipnosoph. 15, p. 673 k), in cui il poeta, similmente a Catullo, invita ad un banchetto rustico l'amico Filotèro: il breve componimento procede con stile disinvolto e simpatico in modo analogo al poeta latino, ma rispetto a quest'ultimo sembra mancare l'accento malizioso che contraddistingue il carme del veronese[16]. Parlando poi di Filodemo, contemporaneo di Catullo, è opportuno prendere in esame il suo epigramma[nota 5] in cui invita il suo protettore Lucio Calpurnio Pisone Cesonino a partecipare ad un banchetto che non sarà ricco di lusso e vivande, ma vengono assicurati la compagnia di veri amici e dolci discorsi: tale componimento si allontana dallo stile catulliano per il tono ossequioso (ricordando più gli inviti oraziani sopraccitati), ma per genere di epigramma e tema trattato, può benissimo essere accostato al carme 13 del Liber[17]. Dopo questi confronti effettuati con gli scrittori alessandrini, è importante però evidenziare che Catullo li supera per qualità e innovazione[18].


Testo modifica

(LA)

«Cenabis bene, mi Fabulle, apud me
paucis, si tibi di favent, diebus,
si tecum attuleris bonam atque magnam
cenam, non sine candida puella
et vino et sale et omnibus cachinnis.
Haec si, inquam,attuleris, venuste noster,
cenabis bene; nam tui Catulli
plenus sacculus est aranearum.
Sed contra accipies meros amores
seu quid suavius elegantiusve est;
nam unguentum dabo, quod meae puellae
donarunt Veneres Cupidinesque,
quod tu cum olfacies, deos rogabis,
totum ut te faciant, Fabulle, nasum.»

(IT)

«Che cena, Fabullo mio, da me,
tra pochi giorni se gli Dei vorranno,
e se porti una cena buona e ricca
non senza una bellissima ragazza
vino spirito e risa in quantità.
Con questo contributo, bello mio,
dico, che cena. Sì, perché la borsa
di Catullo contiene ragnatele.
Ricambierò con sentimento vero
e con una finezza deliziosa,
cioè un profumo, che alla mia ragazza
hanno donato Amore e Bramosia,
che se lo fiuti pregherai gli Dei
di farti diventare tutto naso.»

Note modifica

Note
  1. ^ Testo della lirica:
    Ἡδύλος δ᾽ ἐν ἐπιγράμμασιν ὀψοφάγους καταλέγων
    Φαίδωνος μὲν τινος ἐν τούτοις μέμνηται·
    Φαίδων δὲ ... φύσκι᾽ ἐνείκαι
    χορδὰς <θ᾽> ὁ ψάλτης· ἐστὶ γὰρ ὀψοφάγος
  2. ^ Testo della lirica:
    Ἐφθὸς ὁ κάλλιχθυς· νῦν ἔμβαλε τὴν βαλανάγραν,
    ἔλθῃ μὴ Πρωτεὺς Ἆγις ὁ τῶν λοπάδων·
    γίνεθ᾽ ὕδωρ καὶ πῦρ καὶ ὃ βούλεται, ἀλλ᾽ ἀπόκλειε ...
    ἥξει γὰρ τοιαῦτα μεταπλασθεὶς τυχὸν ὡς Ζεὺς
    χρυσορόης ἐπὶ τήνδ᾽ Ἀκρισίου λοπάδα.
  3. ^ Testo della lirica:
    Ὀψοφάγει, Κλειοῖ· καταμύομεν· ἢν δὲ θελήσῃς,
    ἔσθε μόνη. Δραχμῆς ἐστιν ὁ γόγγρος ἅπας.
    Θὲς μόνον ἢ ζώνην <ἢ> ἐνώτιον ἤ τι τοιοῦτον
    σύσσημον. Τὸ δ᾽ ὁρᾶν μαινομένου λέγομεν.
    Ἠμετέρη σὺ Μέδουσα· λιθούμεθα πάντες ἀπλάτου
    οὐ Γοργοῦς, γόγγρου δ᾽ οἱ μέλεοι λοπάδι.
  4. ^ Testo della lirica:
    Οὐκ ἐθέλω, Φιλόθηρε, κατὰ πτόλιν, ἀλλὰ παρ᾽ Ἥρῃ
    δαίνυσθαι ζεφύρου πνεύμασι τερπόμενος.
    Ἀρκεῖ μοι λιτὴ μὲν ὑπὸ πλευροῖσι χαμευνάς,
    ἐγγύθι πὰρ ὁ προμάλου δέμνιον ἐνδαπίης,
    καὶ λύγος, ἀρχαῖον Καρῶν στέφος. Ἀλλὰ φερέσθω
    οἶνος καὶ Μουσῶν ἡ χαρίεσσα λύρη,
    θυμῆρες πίνοντες ὅπως Διὸς εὐκλέα νύμφην
    μέλπωμεν, νήσου δεσπότιν ἡμετέρης.
  5. ^ Testo della lirica:
    Αὔριον εἰς λιτήν σε καλιάδα, φίλτατε Πείσων,
    ἐξ ἐνάτης ἔλκει μουσοφιλὴς ἕταρος,
    εἰκάδα δειπνίζων ἐνιαύσιον· εἰ δ'ἀπολείψεις
    οὔθατα καἱ Βρομίου χιογενῆ πρόποσιν,
    ἀλλ'ἑτάρους ὄψει παναληθέας, ἀλλ'ἐπακούσῃ
    Φκιήκων γαίης πουλὺ μελιχρότερα·
    ἢν δέ ποτε στρέψῃς καἰ ἐ. ἡμέας ὄμματα, Πείσων,
    ἄξομεν ἐκ λιτῆς εἰκάδα ποιτέρην.
Fonti
  1. ^ Pontiggia e Grandi, p. 233.
  2. ^ Bongi, p. 234.
  3. ^ Bongi, p. 236.
  4. ^ Pontiggia e Grandi, p. 233.
  5. ^ Pontiggia e Grandi, p. 233.
  6. ^ Pontiggia e Grandi, p. 233.
  7. ^ Bongi, p. 228.
  8. ^ Pontiggia e Grandi, p. 233.
  9. ^ Pontiggia e Grandi, p. 233.
  10. ^ Pontiggia e Grandi, p. 233.
  11. ^ Bongi, p. 228.
  12. ^ Bongi, p. 228.
  13. ^ Bongi, pp. 228-229.
  14. ^ Bongi, p. 229.
  15. ^ Bongi, pp. 229-230.
  16. ^ Bongi, p. 232.
  17. ^ Bongi, p. 233.
  18. ^ Bongi, p. 234.

Bibliografia modifica

  • Vincenzo Bongi, Note critiche sul carme XIII d Catullo, in Aevum, Luglio-dicembre 1943, pp. 228-236.
  • Catullo, I Canti, a cura di Alfonso Traina e Enzo Mandruzzato, BUR, 1982 (Prima edizione), ISBN 88-17-12398-6.
  • Giancarlo Pontiggia e Maria Cristina Grandi, Letteratura Latina Storia e Testi, Principato, 2005 (Prima edizione), ISBN 88-416-2193-1.

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Collegamenti esterni modifica

Categoria:Opere di Catullo Categoria:Opere letterarie del I secolo a.C.