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Origini: il denaro carolingio modifica

Uno dei primi denari veneziani recanti il nome dell'imperatore Ludovico.

Grazie al suo dinamismo economico Venezia si trovò sin dalle origini in contatto con realtà del tutto differenti anche sul piano della monetazione. Da una parte, il Sacro Romano Impero che adottava la monetazione carolingia basata su moneta d'argento e frazioni di essa; dall'altra, l'Impero Bizantino si basava ancora sul solido d'oro introdotto da Costantino il Grande; infine, gli Arabi con il proprio sistema fondato sul dinaro.

La pace di Aquisgrana conclusa tra Franchi e Bizantini nell'812 confermava il Ducato tra i domini di Costantinopoli, almeno formalmente. Questo avrebbe dovuto inserire Venezia nel sistema monetario bizantino che, peraltro, era il più diffuso nell'ambito dei commerci marittimi. Vero è che i primi conii a riportare l'iscrizione "Venecia" sono monete d'argento e recano anche il nome dell'imperatore d'Occidente Ludovico il Pio. La zecca locale (aperta tra l'819 e l'822) adottò quindi i modelli occidentali e produsse denari del valore di 1/12 di solido d'argento e 1/240 di lira. Di fatto, sia il solido che la libra erano monete "virtuali", usate sulla carta ma non fisicamente, poiché le transizioni avvenivano esclusivamente mediante denari.

In questo modo il governo veneziano non intendeva emanciparsi dall'autorità bizantina, né tanto meno sottomettersi all'imperatore d'Occidente. Si trattò semplicemente di una scelta pratica per facilitare gli scambi con l'entroterra da cui il Ducato traeva sostentamento.

Dopo il Mille modifica

Il sistema monetario carolingio unificò l'economia europea solo sulla carta poiché sia gli imperatori, sia i governi locali, trovavano vantaggioso svalutare arbitrariamente i conii. Sin dai primi tempi anche il soldo veneziano subì una rapida svalutazione e per tutto il X secolo corrispose ai tre quarti della moneta franca per poi passare, sul finire del secolo, a un mezzo della stessa.

Tra l'XI il XII secolo, quando circolavano le cosiddette monete "Enrico" (dal nome dell'imperatore impresso sul recto), il denaro veneziano perse ancora di valore, passando da 250 a 220/1000 d'argento nel titolo e da 0,828 a 0,414 grammi nel peso.

Tra il 1125 e la metà del secolo pare che la zecca veneziana abbia interrotto la sua attività. Attorno al 1150 si cominciò ad abbandonare il denaro veneziano a favore della monetazione di Verona che si stava ormai imponendo in tutto il Veneto. Anche in questa città era in uso il consueto standard carolingio basato su lire, soldi e denari; questi ultimi erano piccole monete di forma concava in lega di rame e argento.

Vero è che nel medioevo acquisti, affitti e prestazioni lavorative venivano pagati non solo in moneta da conto ma soprattutto in natura. I proprietari terrieri ricevevano dagli affittuari sale e vino, ma anche galline, grano, carne di maiale, olio per l'illuminazione, incenso, legname, tela di lino. D'altra parte, gli affitti per case erano preferibilmente fissati in denaro.

Per i pagamenti all'estero si usavano sovente lingotti d'oro e d'argento dal peso misurato in marchi. Sappiamo che nel XIII secolo le verghe venivano analizzate e certificate dai funzionari della zecca prima di essere immesse nel commercio internazionale. Per il resto, i mercanti veneziani utilizzavano il sistema monetario in uso nei territori in cui viaggiavano.

L'abbandono del sistema carolingio modifica

Di fatto, quindi, alla metà del XII secolo Venezia aveva sostanzialmente smesso di battere moneta propria e fece largo uso di valute straniere. Ma negli ultimi trent'anni del secolo le zecche ripresero l'attività e i Veneziani cominciarono lentamente a costituire un proprio sistema monetario.

La prima moneta prettamente veneziana fu l'albulus o blanco del doge Vitale II Michiel. Pesava 0,517 grammi e conteneva solo 70/1000 di argento. Si trattava quindi di un mezzo denaro (o, meglio, di un terzo di denaro) ed era adatta a pagamenti di piccola entità. In ogni caso, imprimendo il nome del proprio governante e non quello dell'imperatore germanico, per la prima volta Venezia si autoproclamava indipendente anche dal punto di vista monetario.

Con la caduta del Michiel e l'ascesa di Sebastiano Ziani si tornò a coniare denari ma, anche in questo caso, recavano sul recto il nome del doge e sul verso quello di San Marco. Analogamente ai denari "Enrico", essi avevano un peso di 0,362 g e 270/1000 di argento.

La cosiddetta libra denariorum venetiarium ebbe un grande successo non solo a Venezia. È attestato tra il 1172 e il 1184 che le lire veneziane e le lire veronesi erano ugualmente accettate nei mercati in cui operavano commercianti veneziani, ma in seguito assunsero valori differenti e dal 1194 non furono più interscambiabili. Dopo il 1172 nel mercato di Rialto non si hanno più notizie di denari veronesi. Questo repentino cambiamento fa pensare all'emissione di un decreto del governo del quale, tuttavia, non resta traccia.

Con il successore Orio Mastropiero venne recuperato il mezzo denaro del Michiel: i commercianti veneziani ebbero quindi a disposizione due monete per i pagamenti.

La riforma di Enrico Dandolo modifica

Recto del grosso di Enrico Dandolo: vi è raffigurato il doge che riceve da san Marco lo stendardo.

La svolta decisiva si ebbe sotto il dogado di Enrico Dandolo, quando venne attuata in quattro tempi una drastica riforma monetaria. Dopo una leggera svalutazione sia del denaro che del mezzo denaro, fu introdotto il grosso, una moneta di grande valore, del peso di 2,2 grammi e del titolo di 965/1000 di argento; essa equivaleva a 2 soldi, ovvero a 24 denari. Il grosso divenne un simbolo della potenza veneziana: sul recto recava l'iscrizione "H. Dandolo, Doge, S. Marco dei Veneziani" con san Marco nell'atto di porgere lo stendardo al doge, e sul verso un Cristo in trono sovrastato dalla scritta "ICXC". Fu una moneta innovativa, imitata in seguito da molti altri comuni italiani.

Terzo stadio della riforma fu la fine dell'emissione del denaro dato che, in realtà, il grosso conteneva l'11% di argento in meno di una lira, quindi non corrispondeva esattamente a 240 denari. Solo sessant'anni dopo, con l'elezione del doge Lorenzo Tiepolo, si procedé al conio di nuove monete di questo tipo; nel frattempo, tuttavia, i vecchi denari non vennero ritirati dalla circolazione e continuarono ad essere impiegati.

Ultima decisione fu il conio del quartarolo, una frazione del denaro. Secondo Martino da Canal questa moneta fu necessaria per pagare gli operai dell'Arsenale impiegati nella costruzione della flotta da destinare alla Quarta Crociata.

All'inizio del Duecento Venezia poteva quindi contare su un efficiente sistema monetario. Continuavano a circolare i vecchi denari e altre monete italiane, mentre gli affitti erano ancora pagati in natura e in denaro.

I commerci con l'Oriente modifica

Hyperpyron coniato dall'imperatore Manuele I Comneno.
Dinari del regno di Gerusalemme.

Una nota è necessaria per i commerci con l'Oriente. Come già detto, i mercanti veneziani all'estero utilizzavano le monete correnti nelle località in cui si trovavano, pertanto fecero largo uso di conii arabi e bizantini.

Sia la monetazione araba che quella bizantina impiegava principalmente pezzi d'oro. Nel XII secolo è attestato l'uso tra i mercanti veneziani dei bisanti, termine con cui indicavano vari conii in uso nel Mediterraneo orientale. Fra tutte, comunque, preferivano l'hyperpyron, la moneta d'oro bizantina introdotta dalla riforma di Alessio Comneno in sostituzione del soldo.

Anche dopo l'instaurazione dell'Impero Latino i Veneziani continuarono a fare largo uso degli hyperpyra d'oro risalenti alla riforma di Alessio Comneno.

Nel sud e nel sudest del Mediterraneo, ovvero nei territori islamici e nei regni crociati, le transizioni avvenivano invece per mezzo del dinaro, una moneta d'oro estremamente buona, del peso di 4,25 grammi. Nel mondo latino questa moneta veniva detta bisante. Esistevano in sostanza tre tipi di bisanti: il tunisino (o massamutino; 1 e poi ½ lira veneziana), l'alessandrino (4 lire) e il bisante del regno latino di Gerusalemme (o d'Acri, o saraceno; assai variabile a causa dei mutamenti politici).

Questa situazione dimostra come nel Duecento i Veneziani all'estero non osassero ancora imporre il proprio sistema monetario, impiegando le monete circolanti nelle località in cui si trovavano. È interessante notare come persino nelle colonie veneziane d'oltremare (Candia, Negroponte, Nauplia, Corone e Modone) non venissero utilizzate monete veneziane.

Le monete modifica

Come già accennato, la prima moneta veneziana di cui si ha notizia reca sul recto la scritta "Venecia" e sul verso il nome dell'imperatore Ludovico il Pio. Tra l'822 e l'855, dopo la morte di Lotario e il declino della dinastia carolingia, Venezia emise altri due denari ("Christe Salva Venecias" sul recto e "Deus conserva Romano imp."[1] sul verso) dei quali restano pochissimi esemplari privi di una documentazione scritta coeva. Nel corso della dinastia Ottoniana venne abbandonata la consuetudine di menzionare l'imperatore e compaiono denari con il nome della città sul verso e l'iscrizione "Christus imperat" sul recto.

Nell'XI secolo, sotto la dinastia Salica, viene nuovamente riportato, rispettivamente sul recto e sul verso, il nome dell'imperatore "Enrico" e "Venezia" (1056-1125). Dopo la svalutazione del denaro Enrico, di cui si è parlato sopra, si riporta la scritta "San Marco di Venezia".

Note modifica

  1. ^ Secondo Roberto Cessi questo non sarebbe un riferimento al Sacro Romano Impero, ma all'Impero Bizantino.