Utente:Hindukusc/Sandbox/Capradosso

Capradosso
frazione
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione Lazio
Provincia Rieti
Comune Petrella Salto
Territorio
Coordinate42°19′44.76″N 13°01′26.76″E / 42.3291°N 13.0241°E42.3291; 13.0241 (Capradosso)
Altitudine650 m s.l.m.
Abitanti252 (anno 2010)
Altre informazioni
Cod. postale02025
Prefisso0746
Fuso orarioUTC+1
Cod. catastaleG513
PatronoSan Mauro Abate[1]
Giorno festivo15 Gennaio[1]
Cartografia
Mappa di localizzazione: Italia
Capradosso
Capradosso

Capradosso è una frazione del comune di Petrella Salto, in provincia di Rieti, nel Lazio.

Geografia fisica modifica

Territorio modifica

ll paese è situato a 650 m s.l.m. nel territorio tra la valle del Salto e quella del Turano, sul versante del fiume Salto, in prossimità del lago del Salto, bacino artificiale creato nel 1940 attraverso la realizzazione dell'omonima diga[2].

Storia modifica

Al pari degli altri paesi della valle del Salto, o di quelli nel territorio tra Salto e Turano, Capradosso potrebbe trarre la sua origine dall'incastellamento di un abitato preesistente.

E' certo che Capradosso sorse a ridosso o forse sul territorio dell'antico municipio romano di Cliternia, come fanno pensare le numerose iscrizioni trovate nei secoli precedenti nei pressi dell'abitato. Il fenomeno dell'incastellamento si sarebbe quindi avviato all'epoca dell'invasione dei saraceni nell'area durante il X secolo o in epoca precedente, già nel V secolo, all'epoca delle guerre gotiche.

Le prime citazioni del castello di Capradosso risalgono al 1150 quando è menzionato nel catalogus baronum ordinato dal re normanno Guglielmo II.

Il castello di Capradosso passò quindi di possesso da Benegnata filius Garsenii al demanio Svevo: nel Quadernum de riparatione all'epoca di Carlo d'Angiò venne definito "Castrum nostrum di Carlo d'Angiò" precisando che il suo impianto risaliva al periodo tra 1240-1245 durante il regno di Federico II: Capradosso faceva infatti parte del sistema creato da Federico II di castelli demaniale schierati alla frontiera settentrionale del Regno di Sicilia (Oderisio da Capradosso "Domini imperatoris Friderico secundi").

Il castello in seguito fu occupato da Filippo Mareri con la complicità del Re Manfredi agli inizi del 1266 in previsione dell'arrivò di Carlo D'Angiò e delle sue truppe, ma Papa Guglielmo IV avviò un azione per sottomettere alla Curia Romana i castelli di confine del regno di Sicilia attraverso un accordo con i Mareri.

Il castello passò all'epoca sotto il controllo dell'abate di San Salvatore. Dopo la battaglia di Tagliacozzo, Corradino di Svevia cercò scampo nel monastero di San Salvatore Maggiore, ingannando le truppe nemiche che lo inseguivano fingendo di nascondersi nel castello di Capradosso proseguendo invece fino a San Salvatore.

La rocca di Capradosso venne quindi distrutta come ci intuisce da un documento del 1309 che ne consentiva la ricostruzione, in seguito alla distruzione ordinata perché Capradosso si era schierata a protezione di Corradino di Svevia (Nel Quadernum de riparatione è scritto anche che il castello di Capradosso, in seguito alla distruzione, doveva essere riparato da tutti gli uomini del territorio).

L'abbazia di San Salvatore occupò quindi il territorio di Capradosso con il pregiudizio della curia: la reazione fu molto pronta tanto che nella primavera del 1271 fu nominato castellano di Capradosso Pietro di Ripacuria. Il 9 maggio del 1272 il castello fu consegnato a Sinibaldo da Vallecupola[3].

Nel 1327 i vassalli di San Salvatore Maggiore, dopo aver occupato le terre e le selve appartenenti al monastero, fecero un patto con Fortebraccio e Giacomo de Romania rappresentanti di una famiglia baronale locale: essi stabilirono sotto giuramento che gli abitanti di Capradoosso avrebbero offerto a quei signori 60 paia di prosciutti l'anno e accettavano di sottoporsi a collette imposte pur di liberarsi della signoria monastiche e di unirsi a Cittaducale (1338). Il conflitto comportò l'invasione di terre, furti e omicidi, con il castello che non riuscì a svincolarsi dal regime feudatario verso l'abbazia di San Salvatore Maggiore: il tentativo degli abitanti di Capradosso di liberarsi dai gravami di origine feudo-vassallistiche fu vanificato, almeno in questa fase storica.

Il governo monastico perdurò per tutto il XIV secolo: il 27 dicembre del 1393 Papa Bonifacio IX assegnò Capradosso a Lippo Mareri e al figlio Niccolò al governo dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore.

Il territorio di Capradosso restò quindi a far parte dei possedimenti dell'abbazia di San Salvatore Maggiore tra i cui castelli era ricordato, ancora nel XVII secolo, come Capradoxum[4].

La Rocca di Capradosso fu definitivamente distrutto dal terremoto del 1703.


L’abitato di Capradosso fu ricostruito al tempo dell’incastellamento sul sito dell’antica Cliternia, centro equicolo di cui il territorio restituisce notevoli testimonianze archeologiche. Scrive Plinio: «Cliternini populi in ora Aequicolanorum…» (Lib. Ili, c. 2, Descriptio Reg. IV Italiae). La fiorente città di Cliternia fu distrutta dai barbari. Durante l’invasione saracena del secolo IX, i superstiti della regione si rifugiarono sui monti in Piscinola (vicino all’attuale paese di Staffoli) e a Rasina (sul lago Racino), paesi abitati fino al secolo XVII (cfr. MAGINI GIOV. ANTONIO, Italia, Abruzzo Citerione et ultra, Bononiae 1620). Scacciati i Saraceni dall’Italia nel 916, parte degli abitanti ridiscese dai monti e si fabbricò le case in luoghi inaccessibili. I Cliternini fecero ritorno dove sorgeva un tempo la loro città, scegliendo un cocuzzolo accessibile solo da est e da ovest che chiamarono Carpedosso (cfr. Bolla di Papa Bonifacio IX del 27 novembre 1393, dove è scritto: «Nobilem et honorificam feudum castrum Capradossi alias Carpadossi…»). L’importanza archeologica del luogo si rileva dal rinvenimento di avanzi di antichissimi monumenti pagani:

  • Entro il cimitero comunale sono visibili enormi parallelepipedi sui quali poggia la millenaria chiesa;
  • Nella facciata del settecentesco campanile del paese, è murato il cippo funerario di Tito Sellucio Certo, lodato dall’epigrafista perché morì all’età di 87 anni;
  • Nella chiesa rurale di S. Mauro, come coperchio di un sepolcro c’è una lastra di pietra con la figura di una vittoria alata; proviene forse da qualche tempio esistente nella zona vicina;
  • Sotto il fornice della porta principale del paese, si trova un leone in pietra di forme rudimentali; forse l’emblema dell’antica città, tanto è vero che, fino a pochi anni addietro, anche il timbro parrocchiale aveva un leone coronato.

Vi sono pure interessanti ricordi cristiani medioevali:

  • La chiesa di San Mauro conserva affreschi trecenteschi;
  • La chiesa di Santa Maria (detta di S. Antonio) è anch’essa abbellita da ben conservati affreschi del secolo XIV.

Nel territorio di Capradosso vi è la grotta di S. Nicola, istoriata da affreschi votivi di scuola abruzzese del tardo Duecento. Nel 1316 fu terra dell’Abbazia di San Salvatore Maggiore, fu unita a Cittaducale nel 1338 e concesso ai Mareri nel 1393 rimanendo nel loro possesso fino alla prima metà del ’500, periodo in cui Capradosso passò ai Colonna e subì la sorte di questo feudo fino a che nel 1810 fece parte del distretto di Cittaducale e nel 1812 del circondario di Mercato, più tardi di Fiamignano. È tradizione che il nome sia deformazione di caprad’oro, nome derivato da una leggendaria capra d’oro che si diceva esistesse sulla cima della rocca. Con Decreto Vescovile del 1986 la parrocchia di San Michele Arcangelo di Staffoli è stata soppressa ed incorporata nella parrocchia di Capradosso.

https://www.chiesadirieti.it/wd-annuario-enti/zona-pastorale-del-salto-cicolano-28876/santandrea-apostolo-in-capradosso-di-petrella-salto-17336/

Sant’Andrea Apostolo in Capradosso di Petrella Salto

https://www.google.it/books/edition/Annali_dell_Instituto_di_corrispondenza/9lc4AAAAMAAJ?hl=it&gbpv=1&dq=capradosso&pg=PA113&printsec=frontcover

https://www.google.it/books/edition/Bullettino_archeologico_Napoletano/cBFBAAAAcAAJ?hl=it&gbpv=1&dq=capradosso&pg=PA156&printsec=frontcover

https://www.google.it/books/edition/Pittura_rupestre_medievale/uiMUCwAAQBAJ?hl=it&gbpv=1&dq=capradosso&pg=PA70&printsec=frontcover

https://www.google.it/books/edition/Pittura_rupestre_medievale/uiMUCwAAQBAJ?hl=it&gbpv=1&dq=capradosso&pg=PA70&printsec=frontcover

https://www.google.it/books/edition/I_percorsi_dell_aldil%C3%A0_nel_Lazio/COJeT64B7TgC?hl=it&gbpv=1&dq=capradosso&pg=PA544&printsec=frontcover


https://www.google.it/books/edition/I_percorsi_dell_aldil%C3%A0_nel_Lazio/COJeT64B7TgC?hl=it&gbpv=1&dq=capradosso&pg=PA544&printsec=frontcover

xxxx

alvino cliternia

https://www.google.it/books/edition/L_ombelico_d_Italia/VvWCCwAAQBAJ?hl=it&gbpv=1&dq=capradosso&pg=PA109&printsec=frontcover


conto i francesi gen lemoine 1799 https://www.google.it/books/edition/Descrizione_topografica_fisica_economica/IhI5AAAAcAAJ?hl=it&gbpv=1&dq=capradosso&pg=PA286&printsec=frontcover

Monumenti e luoghi d'interesse modifica

Tra i luoghi di interesse il borgo mediovale.

La chiesa di Santa Maria

La colleggiata di Sant'Andrea

La grotta di San Nicola

Le GROTTE DI SAN NICOLA E I SUI AFFRESCHI.

Le testimonianze artistiche di Capradosso dimostrano l’importanza del luogo e il senso religioso che lo caratterizza: Ne è esempio la grotta di San Nicola immersa nella sacralità mistica dei boschi. Gli affreschi della grotta rappresentano la più antica testimonianza pittorica del Cicolano, secondo quanto riportato da Cesare Verani, storico dell'arte che ebbe la fortuna di visitare le grotte prima che gli affreschi venissero rimossi per essere conservati al Museo del Monastero di Santa Filippa Mareri dove si trovano tutt'ora tuttora visibili presso il museo.

A circa 3km da Capradosso, sulla strada provinciale, poco prima del Ponte delle Rovara (Ponte di ferro), sulla sinistra parte un sentiero, dapprima pianeggiante e poi sempre più ripido, che conduce alla Grotta di San Nicola.

La grotta aveva le pareti laterali affrescate con le figure di venti Santi e della Madonna seduta con il bambino in ambo i lati.

Nella parete nord, erano dipinti due guerrieri in combattimento; voltata di spalle una giovane donna con le mani giunte protese verso l’alto, in atto di invocare la divinità per far cessare la lotta.

La presenza di queste tre ultime figure fa supporre che la grotta fosse un tempio pagano convertito in seguito al culto Cristiano.

Sembra che al lato ci sia un’altra grotta finora inesplorata.

(Note di Arduino Terzi vescovo di MAssa Carrara nativo di Capradosso).


Storia della campana grande di Capradosso

Dopo la ristrutturazione della chiesa di Sant’Andrea (intorno al 1700) serviva una nuova campana; La leggenda narra che i cittadini di Capradosso andarono a Celano e la rubarono mettendo a ferro e fuoco la cittadina, poiché alcuni abitanti rimasero colpiti dal suono cristallino di quella campana.

Questa famosa campana nel Novembre del 1960 si staccó e cadde nella cappella laterale della chiesa dove era custodita la “Madonna dell’armadio”, quando cadde la campana si gridò al miracolo poiché cadendo ruppe solamente il pomo superiore dell’armadio lasciando illeso il restante.

Questo triste evento fece si che i cittadini si riunissero creando un comitato “Pro Campana” per raccogliere i fondi per la riparazione.

La lettera in foto, fu mandata al vescovo di Massa Carrara, il nostro compaesano Arduino Terzi, cercando un aiuto economico.

Nella seconda foto si vede quando la campana viene tirata su per essere rimessa al suo posto.

Riziero Falasca

Personaggi modifica

Il pittore ASCANIO MANENTI

Nato a Capradosso nel 1573, morto a Cane Morto (oggi Orvinio) nel 1660

Di lui abbiamo molte opere da ammirare, una fra queste è un bellissimo quadro che possiamo ammirare sull’altare della chiesa di Santa Maria (Sant’Antonio), FOTO 1.

Questo quadro, restaurato e riportato all’antica bellezza quando fu riaperta al culto la chiesa.

Un altro pezzo di dipinto rimasto nel muro tra la chiesa e la porta della sagrestia, FOTO 2.

Tra i suoi dipinti più famosi ne possiamo prendere visione nella chiesa di Sant’Agostino a Rieti (dipinto “il battesimo di Sant’Agostino), FOTO 3.

Il quadro presente nella FOTO 4, rappresenta Sant’Andrea apostolo, dipinto dal Manenti e restaurato nel 2002, visibile nel Museo civico di Rieti, una copia realizzata da Maria Pellegrini si trova nella chiesa di Sant’Andrea a Capradosso.

Nella chiesa di San Francesco di Rieti possiamo visionare il dipinto di “Sant’Alessandro Papa fra i due donatori” e “la madonna del rosario”.

Nell’oratorio di San Bernardino si trova il dipinto della storia di San Bernardino.

Altre opere sono visibili nella chiesa di San Pietro Martire a Rieti e nella chiesa di San Biagio a Tivoli.

Cleonice Tomassetti

Penultima di sei fratelli, nasce il 4 Novembre 1911 a Capradosso.

Famiglia contadina che possedeva un piccolo appezzamento, era più pietra che terra, infatti non bastava per tutte le bocche da sfamare.

Molta gente a quei tempi andava a Roma in cerca di fortuna, come il fratello terzo genito Alduino, poi fu la volta di Pierina, la quale poi aiutó Nice;

Cleonice grazie alla sua intelligenza frequenta con profitto le scuole elementari, terminate, svolge con fatica lavori di casa e nei campi.

Tra le mura di casa è oggetto della prima violenza della sua vita e si trova in attesa del bimbo del quale sarà madre e sorella insieme.

Compie il suo primo gesto di ribellione e fugge a Roma, rifugiandosi a casa della sorella Pierina che nel frattempo si era accasata;

Un parto difficile la rende madre per pochi giorni, dopo la morte del figlio trova lavoro come cameriera nei quartieri alti.

Stufa di difendersi e soccombere alla violenza è costretta a lasciare il lavoro;

Nel 1933 emigra a Milano, anche lì trovare un’occupazione stabile è difficile, conosce un uomo separato e decidono di vivere insieme

Non è un grande amore è un affetto placido, almeno si sente persona e donna, il suo uomo è di sentimenti antifascisti; Nice li condivide, sono un approdo naturale per lei che ha accumulato odio e ripugnanza.

Vivendo con lui incontra la sua cerchia di amici con idee antifasciste, e in questo modo inizia a fare la spola tra i partigiani rifugiati in montagna e la città.

Il 20 Giugno del 1944 durante un rastrellamento venne presa insieme ad altri 42 partigiani e lì rinchiusero in una scuola, nell’aula della “classe 3B” (titolo del libro che parla della sua vita);

Cito una testimonianza estratta dal libro: “lo spettacolo che stava per essere ammanito fu subito intuito dalla donna alla quale ho accennato sopra, costei si levó in piedi e con fare spontaneo senza sforzare il tono della voce, direi quasi con amorevolezza, rivolta ai compagni di sciagura, pronunció queste testuali parole “sù coraggio, ragazzi è giunto il plotone di esecuzione niente paura, ricordatevi che è meglio morire da Italiani che vivere da spie, da servitore dei Tedeschi”, aveva appena finito di parlare che infuriato le fu addosso un soldato Germanico che capiva un pochino l’italiano, la donna fu colpita da più di uno schiaffo e uno sputo sul viso, non si scompose, incassó impassibile e poi fiera e con aria ispirata disse parole che per conto mio la rendono degna di essere paragonata ad una donna Spartana o meglio ancora ad un’eroina del nostro risorgimento; Nice continuó il suo parlare “se percuotendomi volete mortificare il mio corpo è superfluo farlo esso è già annientato, se invece volete uccidere il mio spirito vi dico che la vostra è un’opera vana, quello non lo domerete mai” rivolta ai compagni poi esclamó “ragazzi, viva l’Italia, viva la libertà per tutti, gridó con voce squillante”.

Poi furono incolonnati, Nice messa a capofila con accanto due uomini che reggevano un cartello con la scritta “SONO QUESTI I LIBERATORI D’ITALIA OPPURE SONO I BANDITI” e furono fatti sfilare per diversi paesi fino a giungere a Fondotoce dove vennero fucilati tre alla volta.

Ad oggi, a Verbania, le sono state intitolate due scuole ed è ricordata con commozione.

GIACOMO CAPRIOLI

Nacque nel 1885 a Capradosso.

Intorno ai 10 anni fu mandato a studiare in un collegio francescano a Monteleone Sabino e prosegui i suoi studi in altre strutture monastiche, ricevette una formazione culturale tipica dei conventi francescani.

Studió le lingue classiche e la letteratura italiana.

Le sue molteplicità d’interesse, agricoli, sociali, politici del Cicolano e della Sabina, senza smettere di studiare l’archeologia e gli artisti.

Appassionato disegnatore realizzó tantissimi disegni, sia di Capradosso che di paesi limitrofi, della Sabina, dell’Umbria e dell’Abruzzo.

Tanti i suoi studi in agricoltura, uno in particolare fu sulla “coltivazione del guado”, nel 1933 fu assunto come ispettore di campagna alla centrale del latte di Roma, e tornó a vivere nella capitale.

L’ispettore di campagna era un lavoro che lo impegnava molto ma rispondeva al suo gusto di conoscere terre, genti, consuetudini e realtà del passato e del presente tant’è che il suo lavoro invece di ostacolarlo lo facilità a conoscere più a fondo il Lazio e la Sabina continuando a raccogliere report, testimonianze storiche e archeologiche che saranno poi fondamentali per i suoi studi.

Collaboró come corrispondente con il “Giornale d’Italia” e il “Popolo d’Abruzzo”, scrivendo anche saggi per “Latina Gens” e “Sabina Agricola”.

La sua morte arrivó nel 1959 e lo colse nella sua attività preferita, il disegno a cui dedico la sua vita con interesse ininterrotto producendo un corpus documentario estremamente vasto.

Note modifica

  1. ^ a b Antonius Hercules, Giorni di Feste Particolari dei Castelli dell'Abbazia di S.Salvator Maggiore, in Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ord. S. Benedicti, Roma, Tipografia Barberini, 1686, p. 481.
  2. ^ Mappa, su opentopomap.org. URL consultato il 25 settembre 2021.
  3. ^ Nella mostra dei feudatari che si tenne a Sulmona il 25 aprile del 1279 Sinibaldo risultava possessore anche di Capradosso, un feudo del valore di 5 once e 6 tari e fu concesso al castello di Capradosso di tenere un mercato ogni settimana.
  4. ^ Antonius Hercules, Oppida, Castra et Villae sub iurisdictione Abbatiae S.Salvator Maioris, in Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ord. S. Benedicti, Roma, Tipografia Barberini, 1686, p. 1069.

Bibliografia modifica