Annapurna
Annapurna | |
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L'Annapurna I, l'ottomila del massiccio, visto da sud | |
Stato | ![]() |
Provincia | Regione di Sviluppo Occidentale |
Altezza | 8 091 m s.l.m. e 7 756 m s.l.m. |
Prominenza | 2 984 m |
Catena | Himalaya |
Coordinate | 28°35′46″N 83°49′13″E / 28.596111°N 83.820278°E |
Altri nomi e significati | Annapurna (sanscrito): "dea dell'abbondanza" Pat't furfà |
Data prima ascensione | 3 giugno, 1950 |
Autore/i prima ascensione | Maurice Herzog e Louis Lachenal |
Mappa di localizzazione | |
L'Annapurna[1] (AFI: /annaˈpurna/[2]; nome femminile[1]; in hindi Annapūrṇa) è un massiccio montuoso himalayano situato in Nepal centrale, comprendente l'Annapurna I, la cima più alta che raggiunge gli 8.091 m s.l.m., il decimo monte più alto della Terra, e altre cime comprese all'interno del cosiddetto Santuario dell'Annapurna, noto anche per il famoso percorso escursionistico dell'Annapurna Circuit.
DescrizioneModifica
ConformazioneModifica
Il massiccio dell'Annapurna comprende 6 cime principali:
- Annapurna I (8.091 m);
- Annapurna II (7.937 m);
- Annapurna III (7.555 m);
- Annapurna IV (7.525 m);
- Gangapurna (7.455 m);
- Annapurna Sud (7.219 m).
AscensioniModifica
Tecnicamente non è l'ottomila più difficile da scalare, ed è stato il primo ad essere conquistato dall'uomo, ma è considerato quello più pericoloso al mondo per le continue valanghe che cadono dai suoi versanti, detenendo con un valore superiore al 40% il più alto rapporto tra numero di morti e numero di alpinisti giunti in vetta.[3]
Prima ascensioneModifica
Nel 1950, malgrado la scarsa esperienza di spedizioni alpinistiche extra-europee, i francesi organizzarono quella che sarebbe diventata la prima spedizione a raggiungere la vetta di un ottomila.
Ne facevano parte Maurice Herzog, in qualità di alpinista e capo-spedizione, gli alpinisti Jean Couzy, Marcel Schatz, Louis Lachenal, Gaston Rébuffat e Lionel Terray, il medico Jacques Oudot, il regista cinematografico Marcel Ichac, gli ufficiali di collegamento Francis de Noyelle e il nepalese Ghan Bikram Rana. Sul posto furono assoldati 8 portatori d'alta quota.
La partenza dalla Francia avvenne il 30 marzo; dopo aver raggiunto Pokhara, capoluogo della regione, la spedizione si assestò nella località di Tukucha, da cui prese ad esplorare la zona per individuare la migliore via di accesso e di salita. Il campo base fu installato solo il 22 maggio, allorché poté iniziare l'ascensione vera e propria. Per superare i 3.478 metri di dislivello tra il campo base e la vetta furono necessari 5 campi intermedi, e la mattina del 3 giugno i due alpinisti Herzog e Lachenal riuscirono ad arrivare in vetta, la prima di un ottomila ad essere scalata. Contrariamente a quanto avvenne nella maggior parte delle prime ascensioni dei restanti ottomila, la spedizione francese non fece uso di ossigeno, e percorse i 680 metri di dislivello tra l'ultimo campo e la vetta in 8 ore, a una media di salita di 85 metri l'ora.
Il prezzo del successo ottenuto fu altissimo: la scarsa esperienza, l'equipaggiamento inadeguato e il peggioramento delle condizioni atmosferiche furono tra le cause per cui Herzog e Lachenal riportarono accecamenti e congelamenti estesi di mani e piedi; Lachenal subì amputazioni ad entrambi i piedi.[4]
Prima ascensione femminileModifica
La prima ascensione femminile fu compiuta nel 1978 da una spedizione statunitense, chiamata American Women's Himalayan Expedition e guidata da Arlene Blum. Il 15 ottobre raggiunsero la vetta Vera Komarkova e Irene Miller, insieme a due portatori d'alta quota. Altre due alpiniste, Alison Chadwick-Onyszkiewicz e Vera Watson, persero la vita durante la salita.[5][6]
Prima ascensione invernaleModifica
La prima ascensione invernale fu realizzata da Jerzy Kukuczka e Artur Hajzer il 3 febbraio 1987. Kukuczka guidava la spedizione polacca di cui facevano parte anche Wanda Rutkiewicz e Krzysztof Wielicki. Per Kukuczka si trattava della terza prima invernale di un ottomila, dopo il Dhaulagiri (1985) e il Kangchenjunga (1986),[7] o della quarta, considerando l'ascesa come secondo team del Cho Oyu (1985).[8]
Galleria d'immaginiModifica
NoteModifica
- ^ a b Bruno Migliorini et al., Scheda sul lemma "Annapurna", in Dizionario d'ortografia e di pronunzia, Rai Eri, 2007, ISBN 978-88-397-1478-7.
- ^ Luciano Canepari, Annapurna, in Il DiPI – Dizionario di pronuncia italiana, Zanichelli, 2009, ISBN 978-88-08-10511-0.
- ^ (EN) Eberhard Jurgalski, Fatalities, 8000ers.com. URL consultato il 22 marzo 2013.
- ^ (EN) Maurice Herzog, Annapurna, himalayanclub.org. URL consultato il 22 marzo 2013.
- ^ (EN) Arlene Blum, Women on Annapurna, himalayanclub.org. URL consultato il 22 marzo 2013.
- ^ (EN) Tom Connor, Notes Asia (PDF), in Alpine Journal, 1979, p. 231. URL consultato il 22 marzo 2013.
- ^ (EN) John Porter, Nepal 1987 (PDF), in Alpine Journal, 1988, p. 242. URL consultato il 22 marzo 2013.
- ^ (EN) Andrzej Zawada, The First Winter Ascent of Cho Oyu (1984-1985) (PDF), in Alpine Journal, 1988. URL consultato il 22 marzo 2013.
BibliografiaModifica
- Reinhold Messner, Annapurna, in Sopravvissuto: i miei 14 ottomila, Novara, De Agostini, 1987, pp. 176-191, ISBN 978-88-402-4322-1.
- Reinhold Messner, Annapurna. Cinquant'anni di un ottomila, CDA & Vivalda, 2000, ISBN 978-88-7808-147-5.
- Maurice Herzog, Annapurna. Il primo 8000, Corbaccio, 2000, ISBN 978-88-7972-424-1.
- (EN) Kev Reynolds, Annapurna: A Trekker's Guide, Cicerone Press Limited, 2003, ISBN 978-1-84965-058-8.
- Simone Moro, Cometa sull'Annapurna, Corbaccio, 2003, ISBN 978-88-6380-089-0.
- Jean-Christophe Lafaille, Prigioniero dell'Annapurna, CDA & Vivalda, 2007, ISBN 978-88-7480-112-1.
Voci correlateModifica
Altri progettiModifica
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Annapurna
- Wikivoyage contiene informazioni turistiche su Annapurna
Collegamenti esterniModifica
- (EN) Annapurna, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- (EN) Annapurna, su SummitPost.org.
- (EN) Annapurna, su Peakware.com.
- (EN) Annapurna, su 8000ers.com.
- (EN) Annapurna Massif Guide. su annapurnamountain.com.
Controllo di autorità | VIAF (EN) 315526271 · WorldCat Identities (EN) viaf-315526271 |
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