L'assedio di Melfi, noto pure come Pasqua di sangue o sacco di Melfi (anche per metterlo in relazione con il sacco di Roma, del quale fu indiretta conseguenza), avvenne quando l'esercito francese, al comando di Odet de Foix, Maresciallo di Francia e conte di Lautrec e Comminges, fu inviato in Italia proprio sull'onda dello sgomento causato in tutta Europa dalla brutale espugnazione della Città Eterna e dall'imprigionamento dello stesso Pontefice ad opera delle truppe di Carlo V. L'assedio di Melfi fu probabilmente la strage più sanguinaria della storia della città.

Assedio di Melfi (o Pasqua di sangue)
parte della Guerra della Lega di Cognac
Ronca Battista
Data22-23 marzo 1528
LuogoMelfi
CausaConquista della città in mano agli Aragonesi
EsitoVittoria francese
Schieramenti
Comandanti
Voci di guerre presenti su Wikipedia

Storia modifica

Il Contesto modifica

Francia e Spagna si contendono da qualche decennio sia il Ducato di Milano che il Regno di Napoli. Questo conflitto fa di larga parte d'Italia un campo di battaglia, cui prendono parte anche gli stati italiani, con alleanze oscillanti, appoggiando ora uno ora l'altro dei due grandi contendenti. In questo torno di eventi gli Spagnoli infliggono a Pavia, nel 1525, una cocente sconfitta ai Francesi. Tolti di mezzo, almeno temporaneamente, i Francesi, Carlo V pensa sia giunto il momento di punire il papa, Clemente VII, per la sua politica filo-francese, che ha portato alla formazione della Lega di Cognac. I mercenari luterani al soldo dell'imperatore cattolico – i famigerati Lanzichenecchi – non chiedono di meglio. È il sacco di Roma (maggio 1527). L'orrore per le atrocità dei Lanzi (ma le soldatesche spagnole, per quanto cattoliche, non furono da meno) e per il sacrilegio inflitto all'Urbe scuote l'intera Europa. Carlo – re della cattolicissima Spagna, oltre che imperatore - cui forse gli eventi sono sfuggiti di mano, è costretto, politicamente, sulla difensiva. I Francesi pensano sia una buona occasione per giustificare una nuova calata in Italia, alla ricerca di una rivincita, e per denunciare definitivamente le dure condizioni (trattato di Madrid) che hanno dovuto accettare dopo la debacle di Pavia. Forti anche dell'appoggio economico inglese inviano in Italia un forte esercito al comando del Lautrec.

Il sacco di Melfi modifica

Dopo alcuni vittoriosi scontri a nord e in Emilia, il maresciallo francese punta a sud, lasciando Roma a se stessa in balia degli imperiali, con buona pace della propaganda iniziale.

In Puglia, nei pressi di Lucera, le truppe di Carlo - guidate da Filiberto di Chalon, principe d'Orange - vengono a contatto con il Lautrec: sembra la vigilia di un grande scontro. Gli Spagnoli però desistono dal dar battaglia. Ripiegano su Napoli, ma lasciano a Melfi una forte guarnigione, agli ordini del principe Giovanni Caracciolo.

I Francesi, forti anche dell'ausilio di Orazio Baglioni e delle sue Bande Nere che si sono nel frattempo aggregate alle schiere del maresciallo, non vogliono lasciarsi alle spalle, sulla via per Napoli, questa piazzaforte. Fu soprattutto Pietro Navarro - condottiero spagnolo che da tempo ha messo la sua spada al servizio del re di Francia - a suggerire di espugnare Melfi, prima di puntare su Napoli.

Ha luogo quindi l'assalto: è il 22 marzo 1528. I Francesi (biscaglini, guasconi e mercenari delle Bande Nere, per lo più italiani) attaccano la città. Per le fonti prevalenti il comando delle operazioni fu proprio del Navarro.

La resistenza melfitana è accesa, ma breve. Le artiglierie francesi fanno strage dei difensori e scatenano incendi lungo le mura. Un primo assalto è respinto, ma infine gli assedianti passano. Benché rapida, la battaglia è cruenta: le fonti riferiscono di ingenti perdite - si parla di cinquecento uomini - anche dalla parte francese (sessanta sarebbero stati i caduti tra i militi delle Bande Nere), alcuni periti per fuoco amico[1] sotto il violento tiro di artiglieria ordinato dal Navarro.

Forse anche per queste inattese e gravi perdite, i Francesi metteranno duramente a sacco la città. Narra infatti il cronista veneziano Martin Sanudo, nei suoi Diari, che i Francesi conclusero l'assedio "amazzando tutti che trovorono, fanti, homeni et done, fin i putti et fatti predoni et sachizzato la terra". Oltre al diarista veneziano, tutta la storiografia dell'epoca - mai messa in dubbio dalle fonti successive - è concorde nel descrivere l'evento in termini di estrema violenza ai danni della popolazione civile. In questo senso si esprime infatti il Guicciardini nella sua Storia d'Italia (1537/1540) - che dedica un lungo passaggio alla presa di Melfi - e pienamente concorde è Benedetto Varchi nella sua Storia Fiorentina (iniziata nel 1543). Secondo queste fonti, i morti stimati oscillano tra i tremila e i quattromila.

Cadute le mura, il Caracciolo si asserragliò nel celebre castello della città, ma infine si arrese in cambio della sua vita. I suoi invece vennero passati per le armi.

Conseguenze modifica

Carlo V, sconfitti infine, anche questa volta, i Francesi, il cui tentativo di espugnare Napoli, messa sotto assedio dopo il Sacco Melfi, fallisce anche a causa di una pestilenza che si diffonde tra le truppe e che miete la vita dello stesso Odet de Foix, punirà i Caracciolo per questo tradimento dando Melfi in feudo ai genovesi Doria, decisivi ed inattesi alleati dell'imperatore in quest'ultima battaglia. Le fonti, tuttavia, concordano nel dire che il Caracciolo, nella battaglia sulla mura, combatté eroicamente.

Anche il Navarro troverà la fine nell'assedio di Napoli. Quando le schiere del Lautrec sono ormai in rotta, sarà fatto prigioniero dai suoi connazionali, rinchiuso a Castel dell'Ovo e impiccato poco dopo. Ugualmente inghiottito dalla disfatta napoletana sarà il terzo protagonista della strage di Melfi, il Baglioni. Durante l'assedio cade in un'imboscata tesagli nei pressi del fiume Sebeto da un drappello di Lanzichenecchi in sortita e viene ammazzato a colpi di picca.

Nella sua Storia delle Repubbliche Italiane (1807), lo storico svizzero Simondo Sismondi considera che la decisione di attaccare Melfi influì decisivamente sull'esito finale della guerra. Infatti, secondo lo storico, in tal modo l'Orange ebbe modo di raggiungere ordinatamente Napoli e di organizzare un'efficace difesa, tanto che l'assedio della città si trasformò (in verità per molteplici concause) in un disastro per l'armata francese.

L'evento ebbe gravi conseguenze sull'economia della città tanto che negli anni immediatamente successivi si dovette procedere all'emanazione di provvedimenti speciali per favorirne il ripopolamento. In particolare, la cittadinanza di Melfi, città dichiarata “fedelissima” con editto imperiale, venne per un lungo periodo esentata dal pagamento delle tasse.

Il Sacco nella cultura popolare melfitana modifica

La leggenda di Ronca Battista modifica

Fu in questo periodo che nacque la leggenda di un giovane boscaiolo melfitano chiamato Giovanni Battista Cerone (detto Ronca Battista), che si distinse eroicamente durante lo scontro. La leggenda vuole che Ronca Battista, mentre si trovava nel bosco in una giornata d'inverno a fare legna, incontrò una vecchia donna che raccoglieva legna secca per darla ad un fornaio in cambio di pane. Battista la aiutò, donandole il suo mantello per proteggerla dal freddo e un pezzo di pane per sfamarsi. La donna, toccata dal suo gesto, gli diede un bacio sulla fronte e conferì un tocco magico alla sua roncola.[2]

Si narra poi che Ronca Battista, durante il sacco del Lautrec, attese in una strada stretta del centro cittadino l'arrivo degli invasori e con la propria roncola "benedetta" affrontò da solo i soldati francesi introdottisi in città per saccheggiare e trucidare la popolazione.[3]

Anche se in nettissima maggioranza, gli assalitori ebbero difficoltà contro il boscaiolo melfitano che, nonostante le ferite sempre più gravi, resistette con incredibile tenacia riuscendo da solo ad uccidere molti soldati francesi.[4] Infine, Battista soverchiato dal numero dei nemici e ferito gravemente perì nello scontro. Per vendicare le gravi perdite subite, gli invasori fecero uno sterminio di enormi proporzioni, ove non vennero risparmiati neanche donne, anziani e bambini.[2]

Melfi, a imperitura memoria del coraggio e dell'amor patrio di Giovanni Battista Cerone culminati con il sacrificio della propria vita, ha inteso dedicargli una delle strade principali del centro storico, denominata "Via Ronca Battista".

Celebrazione dello Spirito Santo a Melfi modifica

La celebrazione della Pentecoste, localmente denominata Festa dello Spirito Santo, è occasione in città anche per la rievocazione della tragedia del 1528, ancora viva nella memoria collettiva melfitana. Infatti alla processione propriamente religiosa per la Pentecoste, si affianca una grande rievocazione dell'evento con un corteo in costumi dell'epoca e con la rappresentazione degli eventi cruciali di quei tristi giorni (assalto alle mura, espugnazione del castello e così via). Il corteo storico è aperto da due paggi che portano le pergamene dell'imperatore Carlo V, che ricordano il conferimento a Melfi del titolo di “fedelissima”; esso parte dalla piccola chiesa dello Spirito Santo, nei boschi del Vulture, presso la quale si rifugiarono alcuni melfitani scampati al massacro.

Note modifica

  1. ^ Leonardo Santoro, 1858
  2. ^ a b Tommaso Pedio, 1994, p. 84.
  3. ^ Tommaso Pedio, 1994, p. 82.
  4. ^ Storia di Ronca Battista [collegamento interrotto], su cittadimelfi.it. URL consultato il 6 dicembre 2008.

Bibliografia modifica

  Portale Storia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di storia