Ceramica a vernice nera

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La ceramica a vernice nera o ceramica nera è una classe ceramica caratterizzata da un rivestimento di colore nero brillante, impiegata in particolare per la ceramica fine da mensa del mondo classico e diffusa tra IV e I secolo a.C. in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo.

Vaso di «terra nera» romana levigata. Museo di Düsseldorf

Fu prodotta dapprima in Grecia a partire dal V secolo a.C. (ceramica attica a vernice nera) e poi in Italia dalla fine del IV secolo a.C. fino alla metà del I secolo a.C.

Il rivestimento esterno di colore nero o bruno scuro, più o meno lucido, è presente su tutta la superficie del vaso ed era ottenuto tramite pennellatura o tramite immersione del vaso in una miscela argillosa particolarmente ricca di ossidi e idrossidi di ferro, che in fase di cottura in atmosfera riducente (assenza di ossigeno) assumeva la peculiare colorazione nera. Il raffreddamento del vaso doveva invece avvenire in ambiente ossidante, per far sì che il rivestimento rimanesse di colore nero e mantenesse un buon grado di impermeabilità.

Oltre al cambio del colore, le variazioni chimiche nel materiale gli danno una consistenza e una durezza più simile alla pietra, il che ne aumenta la durata. Tecnica primitiva, la ceramica nera compare in Asia, Europa, America e Africa con esemplari datati da prima del 1000 a. C. La ceramica a vernice nera fu soppianta nel corso del I secolo a.C. dalla terra sigillata.

Processo di lavorazione

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Prendendo come esempio di lavorazione la ceramica nera delle Asturie, fabbricata dal secolo X,[1] una descrizione elementare permette di differenziare le fasi di preparazione dei forni, cottura dei pezzi e in questa fase, il processo di carbonatazione che produce il tipico colore nero nei pezzi. Colorazione che si ottiene quando, una volta raggiunti i 1000 °C, si introduce nella zona di combustione del forno qualcosa che brucia male, legno bagnato, per esempio. Il «molto affumicato» si ottiene chiudendo tutte le aperture del forno ed evitando così l'ingresso di ossigeno.

Il procedimento primitivo di deossigenare la cottura era quello di coprire il forno con un misto di erba e terra, che mantenevano il calore per due o tre giorni, a seconda delle dimensioni del forno.[2] L'illuminista spagnolo Gaspar Melchor de Jovellanos lo descrisse cosí nel suo Diario IV Itinerario VIII del 1792:

(ES)

«...el barro es rojo y después de cocido conserva el mismo color, aunque más claro tirando algo a blanco. Para darle el negro brillante y fino de los botijos, basta cerrar muy cuidadosamente el horno después de la cochura, y sin duda el humo ahogado en él penetra por todos los poros del barro y se vuelve negro.»

(IT)

«…l’argilla è rossa e dopo la cottura mantiene il medesimo colore, anche se più chiaro, tendendo al bianco. Per conferirgli il nero brillante e fine degli orcioli, basta chiudere molto accuratamente il forno dopo la cottura, e senza dubbio il fumo ivi soffocato penetra in tutti i pori dell'argilla e diventa nero.»

Età del ferro

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Una delle più studiate è la cosiddetta cultura della ceramica nera lucidata settentrionale dell'Impero Maurya, nell'Asia meridionale (tra il 700 e il 200 a. C.), che successe alla Cultura della ceramica grigia dipinta (1200-600 a. C.).[3] Insieme a quella si può citare la cultura della ceramica nera e rossa del Subcontinente indiano, datata tra il 1200 e il 900 a. C.[4]

Già alla fine del Neolitico sono datati esempi di ceramica di manto fine e levigate in nero della cultura di Longshan,[5] estesa nel nord della Cina e nella valle del fiume Yangtsé.[6]

Antichità classica

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(da non confondere con la ceramica a figure nere)

 
"Terra nera" romana nel Museo delle Ardenne (Francia)

Non entrano in questa classificazione –determinata dal processo di cottura–, gruppi della ceramica greca come la citata "ceramica a figure nere" (con decorazioni di figure in nero) o la ceramica policroma minoica della Kamares su fondo dipinto di nero. Non si deve neanche comprendervi la produzione ceramica verniciata o smaltata in nero (black-glaze pottery).

Tuttavia sono stati conservati esempi di lavorazione ceramica nera, grigia o mista. Un esempio di quest'ultima è la ceramica badarese di quella cultura dell'Alto Egitto, con un uso parziale del ricorso all'"asfissia" di determinate zone dell'opera di argilla. Di toni nerastri o grigi è la ceramica caratteristica dell'Etruria (la menziona Marco Terenzio Varrone in De re rustica),[7] nello speciale dei buccheri etruschi.

Nell'ambito più ampio del mondo ellenico e romano, si può qui catalogare la cosiddetta terra nigra (black-slipped).[8][9]

Distribuzione geografica

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Nel complesso della geografia spagnola si catalogano diversi esempi di ceramica nera, tra i quali si dovrebbero differenziare la produzione nell'antichità e il risultato della produzione ceramica tradizionale di diverse regioni e località.

Già all'inizio dell'Età del bronzo (tra il 1970 e il 1470 a.C.), si devono citare gli esempi del complesso della cultura del vaso campaniforme, con abbondante vasellame, come la precedente del sito di Ciempozuelos, conservato nel Museo archeologico nazionale di Spagna. Si distingue il vasellame realizzato in argilla nera levigata con uno strato fine e decorata con motivi geometrici incisi.[10] Parimenti, tra la produzione di vasellame nero primitivo, si trova la ceramica auarita, di origine berbera, conservata nell'isola di La Palma. Di origine preistorica, fiorì nell'antico periodo precolombiano auarita (500 a 1500) e si conservò durante il periodo coloniale delle isole Canarie fino all'inizio del secolo XX.[11]

Nel complesso della produzione ceramica si conservano interessanti esempi come la ceramica rifinita grigia tagliente, caratteristica della ceramica nera asturiana di Llamas del Mouro, Faro y Miranda e nel comprensorio di Avilés.[12][13][14]

Non meno interesante è la produzione di Naval, con una chiara origine morisca dall'inizio del secolo XVII e documentato nel 1849.[15] Inoltre nel nordest della penisola iberica si devono citare i classici della produzione ceramica nera catalana, come i sellons od orcioli di Verdú,[16] o la ceramica nera popolare di Quart,[17] documentata già nel 1484 (la stessa fonte inoltre menziona documenti simili per la produzione di altre due località gerundensi, La Bisbal, nel 1511, e Breda, nel 1583).[18]

Dall'altro lato della Cornice Cantabrica emerge la produzione ceramica tradizionale di Gundivós, parrocchia del comune di Sober, nella provincia di Lugo.[19][20]

Portogallo

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In Portogallo si può citare la ceramica nera di Bisalhães (nel complesso di Vila Real), iscritta dall'UNESCO nella lista del Patrimonio culturale immateriale.[21]

Messico

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La produzione vascolare messicana è ricca di esempi di ceramica nera o argilla nera, come quella prodotta nello stato di Oaxaca,[22] o quella di Estilo Porvenir di Mata Ortiz.[23]

Cono Sud

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Altra zona con abbondanti e svariati esempi di produzione di ceramica nera e grigia è il Cono Sud del continente sudamericano, con significative manifestazioni di eredità calchaquí,[24] e i suoi reperti con la produzione vascolare coroplastica della provincia di Córdoba e della provincia di Tucumán, in Argentina.[25][26]

Tra i ceramologi e gli etnografi specialisti nello studio delle ceramiche nere, delle sue elaborazioni, dei suoi processi e della sua diffusione, si possono citare i tedeschi Wulf Köpke e Ilse Schütz,[27] e lo studioso spagnolo José Manuel Feito, fondatore del Museo della ceramica nera di Avilés (Spagna).[28]

  1. ^ (ES) La alfarería negra de Miranda, su mrbit.es. URL consultato il 9 gennaio 2017 (archiviato dall'url originale il 26 settembre 2010).
  2. ^ (ES) Elma Vega e Ricardo Fernández, Alfarería Negra de Miranda, in página e blog. URL consultato il 9 gennaio 2017.
  3. ^ (EN) Jim Shaffer (1993): «Reurbanization: the eastern Punjab and beyond». En H. Spodek y D. M. Srinivasan: Urban Form and Meaning in South Asia: The Shaping of Cities from Prehistoric to Precolonial Times, 1993.
  4. ^ (EN) Creative earthenware & pottery, in indiaheritage.org. URL consultato il 28 febbraio 2019.
  5. ^ Li Feng, 2013, p. 35
  6. ^ (EN) Feng Li, Early China: A Social and Cultural History, Cambridge University Press, 2013, p. 35, ISBN 978-0-521-89552-1.
  7. ^ (LA) Marco Terenzio Varrone, De re rustica, 1992ª ed., Domingo Tirado Bendi. URL consultato il 1º marzo 2019.
    «...ut in Etruria, licet uidere et segetes fructuosas ac restibilis et ... si sit terra alba, si nigra, si leuis, quae cum fodiatur, facile frietur, natura quae non sit...»
  8. ^ (EN) P.A. Tyers, Terra nigra, su potsherd.net, 1996. URL consultato il 1º marzo 2019.
  9. ^ (EN) Karen E. Cumple, "Terra nigra" SFECAG, Actes du Congrès de Tournai, in SFECAG, 1992. URL consultato il 1º marzo 2019.
  10. ^ (ES) Concha Blasco Bosqued e Corina Liesau, Conjunto campaniforme de Ciempozuelos, in Real Academia de la Historia, 1º ottobre 2016. URL consultato il 28 febbraio 2019.
  11. ^ (ES) Ernesto Martín Rodríguez, La Palma y los auaritas, Centro de la Cultura Popular Canaria, 1992, ISBN 978-84-7926-086-6.
  12. ^ (ES) Cerámica Negra de Llamas del Mouro, in artesaniadeasturias. URL consultato il 5 luglio 2018 (archiviato dall'url originale il 5 luglio 2018).
  13. ^ Seseña, 1997, pp. 100-104
  14. ^ (ES) José Manuel Feito, Cerámica tradicional asturiana, Madrid, Itto. de la Juventud y Promoción Comunitaria - Editorea Nacional, 1985, p. 295, ISBN 84-276-0716-4.
  15. ^ Seseña, 1997, p. 133
  16. ^ González-Hontoria, 2004, p. 24
  17. ^ González-Hontoria, 2004, p. 39
  18. ^ (ES) La alfarería tradicional de Quart (PDF), in revistaceramica.com. URL consultato il 28 febbraio 2019.
    «Primer congreso de cerámica negra de Quart: En este congreso se invitó a muchos artistas de diferentes países: Carme Riu y Mercè Tiana (España); Arja Martikainen, Catharina Kajander y Maarit Mäkelä (Finlandia); Martin McWilliam (Alemania); Linda Lighton (Estados Unidos); Inese Brants, Eugenia Loginova Dainis Lesins, Anatoli Borodkin (Lettonia) y los ceramistas turcos Sibel Sevim, Sevim Çizer, Cemalettin Sevim, Buket Acartürk, Ezgi Hakan Verdu Martinez.»
  19. ^ (ES) Luciano García Alén, La estimación de la olería tradicional:formas y usos (PDF), in La Cerámica en Galicia: de los Castros a Sargadelos, Asociación de Ceramología, 2011, ISBN 978-84-693-9525-7.
  20. ^ (ES) Cerámica negra, in Aquí la tierra (RTVE), 26 gennaio 2016. URL consultato il 28 febbraio 2019.
  21. ^ (ES) Paulo Araújo, El procedimiento de fabricación de la cerámica negra de Bisalhães, in ich.unesco.org, 2015. URL consultato il febbraio 2019.
    «Inscrito en 2016 (11.COM) en la Lista del Patrimonio Cultural Inmaterial»
  22. ^ (ES) Primer Feria Artesanal de Barro Negro 2009, su sanbartolocoyotepec.ieaip.org, Oaxaca, Instituto Estatal de Acceso a la Información Pública de Oaxaca. URL consultato il 28 febbraio 2019.
  23. ^ (ES) Turok, M. (coord.) (1999). Cerámica de Mata Ortiz. Artes de México, no. 45. México: Artes de México y el Mundo
  24. ^ (ES) Lidia Baldini e Marina Sprovieri, Vasijas negras pulidas: una variedad de la cerámica tardía del valle Calchaquí, in Estudios Atacameños: No. 38 (2009), pp. 21-38. URL consultato il 1º marzo 2019.
  25. ^ (ES) Cerámica negra, estrella en Traslasierra, in La Voz, 9 febbraio 2016. URL consultato il 1º marzo 2019.
  26. ^ (ES) La alfarería en Argentina, in feriadelasartesanias.com. URL consultato il 1º febbraio 2019 (archiviato dall'url originale il 2 marzo 2019).
  27. ^ Ilse Schütz, "Sistemas tradicionales de cocción cerámica en el norte de África", en VV.AA. Tecnología de la cocción cerámica desde la Antigüedad a nuestros días. Agost. Ed. Asociación de Ceramología, Alicante, 1992, pp. 155-156
  28. ^ (ES) Museo de cerámica negra, su vivirasturias.com. URL consultato il 13 novembre 2015 (archiviato dall'url originale il 17 novembre 2015).

Bibliografia

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  • (ES) José Manuel Feito, Cerámica tradicional asturiana, Madrid, Editora Nacional, 1985, p. 295, ISBN 84-276-0716-4.
  • (ES) Natacha Seseña, Cacharrería popular, 1997ª ed., Madrid, Alianza Editorial, ISBN 84-206-4255-X.
  • (FR) Morel J.-P. 1981, Céramique campanienne: Les formes, Roma 1981
  • Lamboglia N. 1952, "Per una classificazione preliminare della ceramica romana", in Atti del I Convegno Internazionale di Studi Liguri (1950).

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