Dalle carte di uno ancora in vita
Dalle carte di uno ancora in vita (in danese: Af en endnu Levendes Papirer) è un'opera del filosofo danese Søren Kierkegaard uscita presso C.A. Reitzel il 7 settembre 1838 in 525 copie[1]. Tema del breve scritto è una critica ad Hans Christian Andersen (in particolare sul romanzo Kun en Spillemand - Soltanto un violinista ambulante, 1837). In italiano è uscita una traduzione, a cura di Dario Borso, presso Morcelliana nel 1999.
Dalle carte di uno ancora in vita edite contro il suo volere da Søren Kierkegaard | |
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Titolo originale | Af en endnu Levendes Papirer udgivet mod hans Villie af S. Kjerkegaard |
Autore | Søren Kierkegaard |
1ª ed. originale | 1838 |
1ª ed. italiana | 1999 |
Genere | saggio |
Sottogenere | filosofia |
Lingua originale | danese |
Struttura
modifica- Chiarimento (a firma "l'editore")
- Poscritto
- Su Andersen romanziere
Riassunto
modifica«Per i lettori cui dovesse far male leggere il chiarimento: possono ben saltarlo, e saltassero così lungo da saltare insieme il saggio, sarebbe ancora uguale»
Kierkegaard si lamenta per il fatto che i lettori e in genere la gente è stabilmente pronta a travisare ogni parola, così come esalta l'esuberanza giovanile per eccessiva fiducia in forze non provate nella vita e non si accorge del degradamento in "attacchi isterici di arguzia" e "petulanza". Scrive quindi di Steen Steensen Blicher, le cui novelle raccolte con il titolo Una storia di tutti i giorni sembrano provenire da «uno stato d'animo profondamente poetico avvolto nella coltre di nebbia dell'immediatezza»[2]. Passa quindi ad analizzare l'opera di Andersen che considera prosaica, appesantita dalla realtà, e tuttavia mancante di una "visione di vita"[3], ridotta a semplice "idea" spacciata però per tale.
Scrive quindi che «una visione di vita è propriamente la provvidenza del romanzo, è la sua unità più profonda che gli fa avere il baricentro in sé; essa gli evita di divenire arbitrario o senza scopo, dacché lo scopo è presente immanentemente ovunque nell'opera d'arte. Quando invece una tale visione di vita manca, il romanzo o cerca d'insinuare a spese della poesia una qualche teoria (novelle dogmatiche, dottrinarie), o entra in rapporto finito e casuale con l'autore in carne e ossa»[4]. Entrambe le vie sono falsanti, non si tratta d'essere imparziali, né parziali, ma collegati con lo «spirito immortale che sopravvive al tutto»[5].
A questo punto Kierkegaard si mette a notare, in tono ancora ironico e parodico come le descrizioni siano macchie o chiacchiere sulla carta, i particolari scritti «giusto per allungare il tempo»[6] e come il tono generale del libro di Andersen sia legato alla sua "scontentezza del mondo", al fatto che l'autore è in pieno disaccordo tra la sua persona e il suo mestiere di romanziere. Almeno, conclude, pur nel suo sbandare, non è ancora «finito sotto l'aliseo dannatamente invasivo della politica»[7].
Edizioni
modifica- Dalle carte di uno ancora in vita, trad. e introduzione di Dario Borso, Brescia, Morcelliana, 1999, ISBN 978-88-372-1752-5.
Note
modifica- ^ Cfr. l'introduzione di Dario Borso all'ed. Morcelliana, p. 32.
- ^ Dalle carte di uno ancora in vita, ed. italiana cit., p. 72.
- ^ «Una visione di vita infatti è più che un compendio o una somma di tesi tenute ferme nella loro astratta limbalità; è più dell'esperienza, che come tale è sempre atomistica, è infatti la transustanziazione dell'esperienza, è una raggiunta sicurezza in se stessi inattaccablie da ogni empiria», scrive alle pp. 82-83.
- ^ ed. cit., pp. 89-90.
- ^ ed. cit., p. 92.
- ^ ed. cit., p. 100.
- ^ ed. cit., p. 118.