Discussione:Dubrovnik/Archivio01

Ultimo commento: 14 anni fa, lasciato da Aldrasto in merito all'argomento Comunità italiana di Ragusa alla fine della Seconda guerra mondiale

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Sto pasticciando su Ragusa (inserendo dati). Ho trovato un rimando alla Ragusa dalmata alla parola Dubrovnik. Visto che chiamiamo Parigi cosi' e non Paris, Pechino non lo scriviamo con ideogrammi, come si e' deciso di usare il nome croato per una citta' italianissima, o meglio veneziana, di storia e in cui una piccola minoranza e' ancora di lingua italiana? E lo stesso succede per Zadar, Rovinj, Pula Rijeka e Koper? e Foscolo non e' piu' nato a Zante? Sen2fi 19:44, Nov 6, 2004 (UTC)

Foscolo è nato a Zacinto, e Ragusa è un nome latino, non italiano... tanto che la res publica ragusina è praticamente sempre stata indipendente da Venezia. Su Zara, Pola, Fiume nulla da eccepire, ma per me Dubrovnik resta la prima scelta. --.mau. (ca m' disa...) 20:28, Nov 6, 2004 (UTC)

Se usi la lingua croata e scrivi su wiki croata sono d'accordo con te. Se 150 anni di dominio diretto veneziano e la presenza del leone di San Marco sulle monete ragusane fino alla fine della libera repubblica e la presenza di una popolazione di lingua italiana per secoli ti porta ad usare Dubrovnik sono d'accordo con te. Il nome della citta' e' italiano, forse di derivazione latina, anzi tardo latina vista la nascita della citta' nel medio evo. Sul poeta italo greco Ugo hai ragione tu ed ho ragione io contemporaneamente, sul resto penso proprio di no. libero di usare Dubrovnik, ma nella wikipedia in lingua croata. Sen2fi 22:46, Nov 6, 2004 (UTC)

Per quanto sia un sostenitore dell'uso dei nomi italiani delle città, adesso ci sono gli articoli Dubrovnik e Ragusa, altrimenti bisogna avere Ragusa (Croazia) e Ragusa (RG), più Ragusa come disambigua e Dubrovnik come redirect. In oltre adesso sotto ragusa c'è scritto "Per l'omonima città dalmata si veda Dubrovnik", mentre l'inizio dell'articolo Dubrovnik recita "Dubrovnik è il nome in serbocroato della città di Ragusa in Dalmazia" (e non "Ragusa è il nome italiano della città croata di Dubrovnik"). Ma se c'è disogno di evidenziare ulteriormente che si chiama Ragusa....

--Snowdog 22:08, Nov 7, 2004 (UTC)

Per me non e' un bisogno di evidenziare, ma rispettare le regole di wiki (linguistiche) e le esigenze di chi consulta. Se uno ricerca un posto turistico cerca di sicuro Dubrovnik, se è un giovinetto che cerca le repubbliche marinare italiane cerca Ragusa..... Ragusa fa parte della storia, lingua e letteratura italiana. Fino a pochi anni fa in Yugoslavia era vietato usare il toponimo Ragusa, ora molti Croati ricominciano ad usarlo se parlano di Storia. Con la logica di Dubrovnik dovremmo chiamare Istambulese il periodo bizantino? o no? Sen2fi 23:12, Nov 7, 2004 (UTC)

La soluzione te l'ho data sopra. Se uno cerca Ragusa adesso finisce su quella in Sicilia è li scopre che se cercava quella dalmata deve guardare sotto Dubrovnik. Se la ragusa dalmata fosse stata l'unica del mondo non ci sarebbero problemi. Le regole linguistiche vanno bene ma in questo caso sono state violate per risolvere un problema di omonimia. Non c'è niente di "politico" in questa scelta, quindi lascia perdere divieti jugoslavi e periodi istanbulesi.

--Snowdog 23:46, Nov 7, 2004 (UTC)

ok, argomento chiuso, dissento ma accetto la spiegazione che dai, ne avrete discusso e deciso. Da parte mia nessuna posizione politica, ma solo storica. La tentazione di chiamare Istanbulesi amici ravennati non la reprimo :)) ciao Sen2fi 07:36, Nov 8, 2004 (UTC)

Foscolo è nato a Zante o a Zacinto, sone due nomi della stessa isola (http://www.italialibri.net/autori/foscolou.html) --Paolopk2 16:07, ott 4, 2005 (CEST)

Inserimento di anonimo modifica

Oggetto: *La Voce 17.12.04 - ( *** ) Giovanni Modrich, scrittore zaratino di lingua italiana - Ville, parchi e sentieri della costa ragusea ( 1º parte ) Giovanni Modrich, scrittore zaratino di lingua italiana - Ville, parchi e sentieri della costa ragusea


Giovanni Modrich, scrittore zaratino di lingua italiana che però si professava croato in ogni suo libro (Gli inglesi a Suaskim, 1885; "Nella Bulgaria unita", "Repubblica Argentina", 1890; "Abbazia", 1891; "La Dalmazia", 1892; "I Conti di Bribir", romanzo storico,1894 ed altre opere) ci ha lasciato una dettagliata descrizione di Ragusa e dei suoi territori da lui attraversati in veste di turista all'inizio degli anni Novanta dell'Ottocento.

Lasciando da parte la città entro le mura, seguiamo l'itinerario percorso dallo scrittore più di un secolo addietro lungo le coste ragusee, cominciando dal Canale di Calamotta attraverso il quale il piroscafo entra nel porto di Gravosa. Qui "vi si presenta un panorama incantevole. Quel porto, uno dei più antichi acquisti della piccola repubblica, distante dalla città un paio di chilometri, porge un aspetto così ameno e contorni così deliziosi, da sembrare una baia romantica. Chiuso all'ingresso dallo scoglio Daxa, fiancheggiato a sinistra da alti monti alpestri e a destra dai colli verdeggianti del promontorio Lapad, il porto di Gravosa è un paesaggio ridente".

I giardini dell'area ragusea

Alzando gli occhi al di sopra di "villine e casine e parchi e giardini" sparpagliati sulle colline, il viaggiatore scorge e ammira "le colossali fortificazioni sulle cime dei monti circostanti"costruite nei punti strategici a difesa degli accessi alla città capitale della piccola repubblica marinara.

Da Gravosa, prendendo un calessino, il viaggiatore si porta nella "fioritissima vallata dell'Ombla" vantandone la pace celestiale, il panorama grazioso e le "superbe rose" della valle di Gionchetto (oggi Sumet) odorosissime. Con una barchetta, poi, costeggia estasiato, quelle "rive freschissime". A questo punto il Modrich cede la penna Antonio Kaznacich, "uno degli scrittori più poetici che abbia onorato i fasti letterari di Ragusa moderna". Il quale, dopo aver accennato all'Ombla, il maggiore fiume sul territorio dell'antica repubblica, con un corso di soli cinque chilometri, sfociando quasi ririmpetto all'isoletta di Daxa, descrive i villaggi di San Stefano e Mokoscizza posti sulle sponde del fiume presso lo sbocco, aprendo "la deliziosa scena del paesaggio che si spiega con intonazione sempre più aggradevole fino alla sorgente".

Questa scaturisce da "cavernose montagne" che, "declinando con dolce pendìo, cangiano l'arida nudità delle loro vette in rigogliosa vegetazione presso le falde, coperte da fittissimi boschi d'olivi, tra cui biancheggiano vari gruppi di rustici casolari frammezzo a ridenti giardini, e s'elevano lungo le sponde eleganti casini di campagna, prediletta villeggiatura delle famiglie patrizie di Ragusa"; che imitavano anche in questo i costumi della nobilità veneziana; "le rive dell'Ombla tennero luogo delle delizie estive sul "Brenta".

La rumorosa sorgente dell'ombla

Avanzando verso la sorgente dell'Ombla, la scena cambia all'improvviso: l'alveo del fiume si spande "in vasto e amenissimo seno, da cui crescono palustri canneti". Sulla riva sinistra sta il villaggio di Rozato con un convento e chiesa dei francescani del XIV secolo; sulla destra una magnifica scalinata porta alla villa dei conti Sorgo e, più oltre verso Gionchetto, a quella della famiglia Bizzano fra boschetti di querce e cipressi. "Nel fondo di questo panorama incantevole, a picco di un arido e scosceso burrone, spumeggia la sorgente rumorosa dell'Ombla" formando un bacino vasto e profondo, le cui acque fanno girare le ruote di sei mulini. Con le loro casupole e le rovine di un'antichissima cappella, essi accrescono le bellezze della natura. In realtà l'Ombla è la continuazione del fiume Trebisnizza che, scorrendo dall'Erzegovina, si perde nei sotterranei carsici per riapparire nella copiosa e grandiosa sorgente dell'Ombla. Un fiume che i greci chiamarono Arione, i romani Umbla.


Il Modrich si sofferma a lungo sulla vallata dell'Ombla, che percorre estasiato, dice, ritrovando "la voluttà e la poesia della vita". Tornato poi in calesse a Gravosa, il viaggiatore di fine Ottocento raggiunge successivamente Ragusa, costeggiando il santuario della Madonna delle Grazie e attraversando il sobborgo Pile che dà il nome alla Porta di Città. Saltiamo a piè pari la decrizione della città nella quale il viaggiatore si trattiene a lungo, spostandosi dallo Stradone alle torri e bastioni, dai palazzi alle chiese, dall'una all'altra Fontana di Onofrio, da Palazzo Ducale alla cattedrale fino alla Porta Plocce ed all'omonimo sobborgo fuori le mura.


All'ammirazione per i monumenti e le opere d'arte si mescolano i lamenti dello scrittore per la decadenza economica della città sopraggiunta con l'occupazione austriaca di Ragusa: "Con lo splendore politico di Ragusa ne decadde pure lo splendore economico e commerciale. La nostra marina a vela ebbe le stesse sorti de' nostri commerci: è in completa rovina (.) I nostri cantieri sono muti come tombe". Soltanto cinque piroscafi navigano, per tenere le linee con Trieste, Spalato, Bari, Brindisi e Molfetta e la locale Ragusa-Stagno. Due di questi bastimenti portano ancora nomi italiani: Arrigo ed Epidauro, gli altri tre si chiamano Dubrovnik, Cavtat e Bojana. Fuori Porta Ploce, sulla destra, c'è il mandracchio della Città, il Porto Casson. La strada porta alla vallata di Breno, a Ragusavecchia, alla riviera dei Canali. In mezzo al mare sorge la storica e verdeggiante isoletta di Lacroma, dalle forme di un vermicello. Giacomo Scotti (1. e continua)

sospetta violazione di Copyright ed errata titolazione (la voce si chiamava Ragusa/Dubrovnik) - Gac 14:10, Gen 5, 2005 (UTC)

May I add, that in the second hald of the XI century, Dubrovnik was a part of the Kingdom of Doclea (a Serbian state) and that it was besieged by the Serbian King Stephen Nemanja in 1181-1184 in an attempt to reclaim it. 147.91.1.45 20:08, ott 24, 2005 (CEST)

Per primo, Ragusa non era il parte di Doclea. Secondo, Doclea era un stato montenegrino, non "stato serbo". Kubura 08:15, 4 ott 2007 (CEST)Rispondi

Italiani di Ragusa modifica

Salve.
Qualcuno ha scritto qui "Nel 1900, tuttavia, poco meno della metà popolazione si dichiarava italiana.".
Si dichiarava italiana, ma il partito croato ("Narodna stranka" era cosi chiamata dall partito pro-italiano dell' Bajamonti) ha vinto le elezioni in Dubrovnik?
Ma Dubrovnik ha dato i famosi representanti in parliamento di Dalmazia nell 19. secolo, come Miho Klaić).
Le famiglie di origine italiana esistevano e esistono anche oggi in Dubrovnik, ma loro numero non `e signicante. In somma, un gran parte di quelli italiani si ha croatizzato. Piú famoso caso `e il pittore Vlaho Bukovac (suo padre era di origine italiana). Kubura 08:29, 4 ott 2007 (CEST)Rispondi

La frase si riferisce ai famosi censimenti austro-ungarici che molto spesso vengono liberamente interpretati per ricavarne affermazioni sulla composizione etnica dell'epoca. In realtà tali censimenti non si fondano sull'appartenenza etnica, bensì sulla lingua d'uso, ossia quella che veniva maggiormente utilizzata negli scambi commerciali, nei rapporti con la pubblica amministrazione, insomma in tutte le occasioni pubbliche, e che non necessariamente coincideva con la lingua materna, cioè quella parlata abitualmente in famiglia e nelle occasioni private. A questo punto, premesso che la coscienza linguistica è un fenomeno spesso mutevole, bisogna comunque considerare che nel caso specifico delle città dalmate il secolare prestigio della lingua italiana ha comportato che il numero di "locutori d'uso" di italiano comprendesse non solo gli italiani, ma anche una certa fetta di croati, e che quindi non si può sostenere sic et simpliciter l'equivalenza "lingua d'uso=lingua materna". In generale poi, se ci si riferisce ai censimenti, andrebbero sempre riportati i numeri precisi, con tutte le "chiavi di lettura" del caso. --Wiskandar 12:13, 4 ott 2007 (CEST)Rispondi

Qualcuno ha dei dati certi riguardanti la composizione linguistica della città? Finora ho trovato solo questa pagina in cui si legge che

«A Ragusa citta' nel 1910 c'erano 8.958 abitanti: 6.466 serbo-croati, 409 italiani e 1.586 stranieri. 548 italiani erano risultati al censimento del 1900 (6.100 serbo-croati).»

Se questo è vero la frase inserita dall'anonimo è, come credo, assolutamente falsa. Wiskandar 09:30, 5 ott 2007 (CEST)Rispondi

Sono passati cinque mesi ma non sono ancora reperibili dati oggettivi dei censimenti di cui si fa menzione. Per quanto riguarda la spinosa questione degli italiani di Ragusa, i paragrafi relativi non raggiungono purtroppo standard enciclopedici in termini di neutralità e citazione delle fonti, che a questo punto debbono essere urgentemente inserite. --Wiskandar 21:06, 29 feb 2008 (CET)Rispondi

Paragrafo eliminato modifica

La città è stata per secoli facente parte della Repubblica di Venezia... ma quando mai! Il resto sono considerazioni generiche che riguardano tutta la Dalmazia, con la particolarità che di sloveni dalle parti di Ragusa non c'erano nemmeno le ombre. --Crisarco (msg) 18:08, 11 mar 2008 (CET)Rispondi

Comunità italiana di Ragusa alla fine della Seconda guerra mondiale modifica

Non è esatto quanto si afferma in voce che con la Seconda guerra mondiale l'elemento italiano finì con l'integrarsi con quello croato fino a scomparire. Fino al 1943 l'elemento italiano costituiva il 10% della popolazione. Con la sconfitta dell'Italia gli italiani di Ragusa furono perseguitati dagli jugoslavi, alcuni uccisi, costretti a lasciare la città. Il Circolo e le altre associazioni sciolte. Rimase un piccolissimo gruppo che fino a pochi anni fa era costretto a dissimulare la sua presenza, negato dalle stesse autorità comunali. Invito a leggere di Giulio Vignoli, Gli Italiani dimenticati. Minoranze italiane in Europa, Giuffrè, Milano, 2000, nella parte in cui tratta di Ragusa (pag. 205, con interviste ai ragusei italiani rimasti) e, sempre dello stesso autore, Grisko Mascioni, la Vicesindaco di Ragusa ed i ragusei, in "Rivista della Cooperazione giuridica internazionale", gennaio-aprile 2005, n. 19, pag.243, in cui si riferisce l'episodio in cui la Vice sindaco nega al noto scrittore Mascioni la presenza di italiani a Dubrovnik, mentre il candidato alla presidenza della costituenda comunità, Gaetano Povia, le aveva chiesto l'autorizzazione pochi giorni prima per l'atto di fondazione. Mi pare sarebbe bene correggere o precisare in voce.--Hammon Min (msg) 21:15, 11 ott 2009 (CEST)Rispondi

Io ho il libro di Vignoli. Effettivamente egli parla di 1.000/1.200 italiani nel 1943, e dice che al tempo erano il 10% sul totale, ma non si sa da dove tragga questo numero. Nel censimento austroungarico del 1910 risultano 486 in tutto il comune. Fra l'altro, Vignoli parla della scuola elementare italiana di Ragusa come "Giovanni Abescani", mentre in realtà questa scuola era intitolata ad un noto italiano della città, erede di una ricca famiglia. Peccato però si chiamasse "Avoscani". Ancora: Vignoli afferma che "i superstiti discendenti delle antiche famiglie nobili ragusee fuggirono in Italia e qui morirono". Questo è semplicemente falso. Alcuni discendenti di vari rami delle antiche famiglie ragusee vivevano già in Italia, in qualche caso da secoli (per esempio, un ramo dei Bosdari). Quelli che esodarono furono a mia conoscenza pochissimi. Certo è che attualmente gli italiani di Ragusa sono poche decine e non sono riusciti a costituire una comunità degli Italiani, cosa che invece sono riusciti a fare gli sparuti spalatini e pure i lesignani. Da qualche mese esiste un console onorario d'Italia, di nome Franco (Franjo) Bongi, che spiccica mediamente bene l'italiano. Devo anche dire - ma questa è una voce dal sen sfuggita, della quale non posso rilevare la fonte - che il Vignoli non gode di buonissima stampa presso i dalmati italiani.--Presbite (msg) 22:59, 11 ott 2009 (CEST)Rispondi

Caro Presbite, segnalatomi il tuo intervento, rispondo personalmente. Circa le notizie, le ho avute dagli Italiani che intervistai a Ragusa/Dubrovnik. Se vuoi, farò i nomi, anche se non credo che li gradiranno. Mi si parlò di mafia erzegovinese e di gomme di auto tagliate.... Mi parve ch'essi potessero fornirmi notizie esatte. Mi sembra di essere stato il solo, o comunque il primo, professore universitario a recarsi sul posto per scrivere un libro sulla minoranza, dal dopoguerra. Innumerevoli libri scritti da Esuli o no, non hanno presupposto una ricerca sul terreno. Sul nome della scuola avrò capito male, o avrò scritto male o si tratterà di un errore tipografico non corretto. Nei primi due casi faccio ammenda. Sempre i Rimasti mi riferirono durante le mie visite (ne feci diverse)che un solo nobile raguseo risiedeva in città, che gli altri erano fuggiti in Italia. Non mi pare che quanto affermi in merito ti autorizzi a dare del falso, se mai sarà impreciso. Naturalmente se le tue fonti ignote sono esatte. In realtà tutta la stampa degli Esuli (e dei Rimasti) ha recensito positivamente il mio libro. Non so in base a quali notizie affermi il contrario. Certo non si può, come fai tu, lanciare il sasso e nascondere il braccio. Non è corretto. I miei libri sono sempre stati presentati alle Comunità di Fiume, Zara e Spalato e i rapporti con quelli della Rivista dalmatica e de Il Dalmata sono ottimi. Ho sempre detto e ridetto agli Esuli che la devono smettere di piangere sul latte versato e rimpiangere e scrivere sui vecchi tempi. Devono prendere atto della situazione mutata e cercare di operare in essa, ad esempio andando spesso nelle località da cui sono originari, loro e i loro figli e fare là i vari raduni (ora è possibile caduto il comunismo) e non in Italia. E soprattutto andare d'accordo coi Rimasti. Il buono e il cattivo c'è in tutti i due gruppi. Forse questa posizione ha suscitato malumori. Io sono stato il primo professore universitario a spendere il mio (piccolo o grande, non importa) prestigio accademico, per trattare ex cathedra e con editore scientifico (la maggior casa editrice giuridica italiana) di Istria, Fiume e Dalmazia con riferimento ad esodo, eccidi e soprattutto Rimasti. I quali costituiscono il futuro di domani, essendo molti Esuli chiusi nel loro rancore e, purtroppo, data la natura umana mortale, in via di estinzione. E che il comportamento opposto fa il gioco dei Croati. Tengo a ben precisare che quando iniziai le mie ricerche (avrai sicuramente letto anche "I territori italofoni" e ti invito a leggere l'articolo pubblicato dalla Rivista del prof. Sinagra, Ordinario di diritto dell'Unione europea alla Luiss), in Jugoslavia c'era ancora il comunismo e non sono nè parente neppure alla lontana, di Esuli o Rimasti, nè all'epoca avevo alcun legame di amicizia con nessuno di essi. Andai da solo, senza conoscere nessuno, spinto da spirito di verità e giustizia. Tu ti esprimi im modo astioso che mi sembra in verità sconveniente. Giulio Vignoli

Professor Vignoli buon giorno. Da tutto ciò che ha scritto, non mi risulta ancora chiaro qual è la fonte della notizia da lei riportata, per cui nel 1943 gli italiani a Ragusa fossero 1.000/1.200, pari al 10% del totale. E' per caso il racconto di qualche italiano raguseo? I nomi degli italiani di Ragusa non servono: sono talmente pochi che quelli che già conosco mi bastano. Dei nobili ragusei, in città vivono ancora i Bona (o de Bona), ma anche i Gozze, i Bassegli Gozze e i Gozze-Gucetic (sono tre rami dell'antica famiglia proprietaria dell'arboretum di Cannosa, come lei sa). Un Bozidarevic (mi scuso, ma qui per velocità non uso i segni diacritici: in italiano il cognome è Bosdari) vive tuttora a Bjelovar; vari rami dei Pozza (col cognome Pucic) vivono in diversi luoghi della Croazia; anche dei rami dei Sorgo vivono in varie parti della Croazia, compreso un ramo a Ragusa. Oltre a questi, vivono ancora in Croazia o in altre parti del mondo altri rami delle famiglie nobili che dopo vari matrimoni hanno cambiato il proprio cognome. La storia per cui i nobili ragusei si sarebbero autoimposti l'estinzione per non dover generare figli sotto il dominio straniero, come lei sicuramente saprà è una leggenda, anche se il de Vidovich la riporta paro paro nel suo studio sulle famiglie nobili della Dalmazia. Sempre garantendo l'anonimato, le dirò che alcuni degli esuli dalmati hanno considerato le sue posizioni e le polemiche che l'hanno riguardata assolutamente inconcepibili con quanto lei stesso si propone, e cioè col tentativo di instaurare dei proficui rapporti con i rimasti e con le attuali autorità croate. Resto però perfettamente d'accordo con lei sul fatto che si debbano instaurare dei buoni rapporti con chi adesso vive in quella realtà, troppo spesso mal conosciuta o addirittura ampiamente deformata dagli stessi esuli. Mi stia bene e mi creda: da parte mia non ho nessunissimo astio.--Presbite (msg) 15:46, 12 ott 2009 (CEST)Rispondi

Buon pomeriggio anche a Lei. Mi pare di essere stato chiaro. Sì, le notizie sull'entità degli italiani fino alla guerra e la questione dei nobili le ebbi dai pochi rimasti, talmente pochi che un giorno li invitai tutti a pranzo, o meglio a una pizza, in quanto i prof. Univ. non sono molto locupletati. La mia intenzione era stimolarli alla costituzione di una Comunità, ma avevano paura. Io pensai e penso ancora che essendo nati e cresciuti in loco, mi dicevano il vero, più che tanti censimenti e libri, spesso scritti stando a molte, ma molte miglia di distanza. Nè vedo perchè mi dovessero ingannare. Ma Lei da dove ha desunto le Sue informazioni? Fa l'interrogatorio a me, ma Lei non cita le sue fonti e poi chi si nasconde dietro il "difetto fisico agli occhi". Non mi pare leale...!!!. Ha incontrato a Dubrovnik i nobili, l'hanno invitata a pranzo?. Osservo che il mio libro è del 2000 e quindi le notizie e i viaggi risalgono a prima. Incontrai anche la Direttrice della sezione estiva dell'università di Zagabria (Signora Burdelez, o qualcosa di simile, non mi sento di tirar fuori il dossier in onor suo), dove d'estate vengono ospitati i giovani croati provenienti dai paesi esteri ed adeguatamente catechizzati sulla cultura solo croata della Dalmazia e sulla Repubblica di Dubrovnik. Ho incontrato anche la Preside o Rettora dell'Università di Dubrovnik, nonchè Vicesindaco della città (Signora Eva, e non mi ricordo il cognome e non vado a controllare). Naturalmente ora la situazione sarà cambiata. Come vede ho cercato anche i Croati. Ho parlato a lungo con Mascioni, ora deceduto, che dopo anni che stava a Dubrovnik (si era fatto una nicchia all'Univ.) mi giurava e spergiurava che non ce ne era più nessun d'italiano, e lo feci incontrare con G.P. Dovette darci di naso. Quanto al resto non avendo nessun rapporto di parentela con gli esuli, mi spiace come italiano per il loro atteggiamento suicida, ma in fondo cuociano nel loro brodo. Concludo però ribadendo che Lei è gravemente scorretto nel dar voce a veri o falsi pettegolezzi di cui me ne batto ampiamente il b..in (termine genovese). (g.v.)

Egregio professore, come avrà notato l'unico "interrogatorio" che le ho fatto - se così può chiamarsi - è la domanda relativa alla fonte della sua informazione sui 1.000/1.200 italiani a Ragusa nel 1943. Onestamente, credevo che la fonte fosse un po' più fondata, piuttosto che non le mere informazioni orali ricevute da un gruppo di persone in conversazioni private. Io non ho analizzato la fonte che adesso le citerò, ma mi pare strano che lei non sappia che nel 1927 il Ministero degli Affari Esteri svolse un censimento degli italiani all'estero (MAE, Censimento degli italiani all'estero alla metà dell'anno 1927, Roma 1929), i cui dati relativamente a Spalato e dintorni vedo commentati da Luciano Monzali (Antonio Tacconi e la Comunità degli Italiani di Spalato, Venezia 2007, p. 167). Credo sarebbe quindi il caso di sottoporre quanto da lei scritto ad una verifica documentale. Riguardo agli aristocratici, sto creando qui in Wikipedia una serie di voci dedicate alle famiglie nobili ragusee, per cui già in queste voci troverà qualche citazione bibliografica. Oltre a ciò, per le mie ricerche ho seguito una fonte talmente "sciocca" che quasi me ne vergogno, eppure ha dato dei risultati sorprendenti: ho consultato l'elenco del telefono croato e poi ho chiamato nelle case di chi a Ragusa portava un cognome nobile. Le faccio un solo esempio delle mie "scoperte: la nobile famiglia "Bona", il cui cognome i croati nei loro studi attualmente traducono in "Bunic", non solo è residente a Ragusa (in realtà la nobildonna Mercy de Bona vive tra Ragusa, Zagabria e New York), ma ha pure un'agenzia immobiliare con un sito che qui lei potrà vedere. Altra cosa interessante è che i "Bona" non sono registrati all'anagrafe come "Bunic", ma come "de Bona". Per il resto, lei continui pure allegramente a battersi il belin: potrebbe darsi che questa simpatica pratica le permetta una migliore irrorazione sanguigna di tutto il corpo. Poi mi faccia sapere com'è andata.--Presbite (msg) 20:02, 12 ott 2009 (CEST)Rispondi

Bene, fa un buon lavoro e me ne compiaccio. Non capisco cosa c'entri Spalato con Ragusa, ma pazienza. Mi pare che anche le sue fonti siano orali. Mi fa piacere che ci sia chi si occupa di Ragusa di Dalmazia. Però non scusarsi, guardi, non è prova di forza, ma di debolezza. "Devo anche dire -ma questa è una voce dal sen sfuggita (o fuggita?), della quale non posso rivelare la fonte- che Presbite non gode di buonissima fama presso i dalmati italiani". Che ne dice? Pettegolo e maldicente! Dobra vecer! Quanto all'irrorazione: si neodgojen i dosta. Sufficit (g.v.)

Mi inserisco per ricordare a lor signori come pretesi qualifiche e titoli accademici non valgono nulla su Wikipedia, vale piuttosto quel che si dice e come si argomenta. Nel merito, l'informazione circa la presenza del 10% di popolazione italiana alla metà del XX secolo, in netto contrasto con l'andamento demografico delle etnie nell'Adriatico orientale, appare un'informazione straordinaria che per essere accolta dovrebbe avere fonti altrettanto straordinarie. --Crisarco (msg) 22:04, 12 ott 2009 (CEST)Rispondi

Ma cosa c'entrano le qualifiche e i titoli accademici (che poi non sono pretesi)? C'entra non far pettegolezzi. Quanto al 10% di popolazione italiana a Ragusa o si crede a quel che dicono i nativi, che per l'età erano già nati all'epoca indicata, o essi non sanno quel che si dicono o raccontano frottole. Mi pare che la questione vada chiusa qui.--Hammon Min (msg) 22:15, 12 ott 2009 (CEST)Rispondi

Invero mi pare che si tratti di problemi inerenti il metodo di indagine storiografica, e questo esula l'oggetto della voce. Meglio chiudere. --Crisarco (msg) 22:21, 12 ott 2009 (CEST)Rispondi
Rispondo per l'ultima volta all'affermazione del prof. Vignoli, per cui "o si crede a quel che dicono i nativi, che per l'età erano già nati all'epoca indicata, o essi non sanno quel che si dicono o raccontano frottole". Lei li ha visti negli anni '90, per cui posso immaginare che i più anziani avessero venti o trent'anni nel 1943. Lei è nato a Genova nel 1938, ed io per mia curiosità voglio sapere quanti erano i genovesi nel 1970. Le telefono e andiamo a mangiare una pizza insieme oppure è meglio che io vada a spulciare qualche coeva fonte scritta sull'argomento?--Presbite (msg) 10:08, 13 ott 2009 (CEST)Rispondi

Sarà bene andare a Ragusa a intervistare i nobili o è meglio telefonargli? Mir i dobro. (uffa!)

Scusi, ma il mio intervento parlava in termini leggeri di ermeneutica, ed in particolare di un approccio scientifico alle fonti: una cosa che lei dovrebbe insegnare a me, e non viceversa. Le faccio notare poi che l'elenco del telefono - in materia di "famiglie" e "cognomi" - può tranquillamente essere considerato una fonte primaria. Ad ogni modo, a questo punto mi dico perfettamente d'accordo con Crisarco: o lei trova una fonte "decente" o l'informazione sul 10% degli italiani a Ragusa nel 1943 nella voce - per quanto mi riguarda - non entra. Mir i dobro e pure bratstvo i jedinstvo.--Presbite (msg) 11:04, 13 ott 2009 (CEST)Rispondi

Guardi,lei si esprime in modo poco educato (per usare un eufemismo). Dall'inizio. Vuole avere ragione? Io gliela do. Purtroppo esiste il detto "Ai bambini, ai vecchi e ai matti bisogna dare sempre ragione". Io non pretendo di insegnare niente a nessuno e sono un seguace della teoria del dubbio di Blanqui, e tanto meno accetto insegnamenti da uno sconosciuto, che si nasconde dietro uno pseudonimo. A me che il 10% non entri nella voce di Wikipedia (enciclopedia nota per la sua scientificità!) non interessa un fico secco. Nè questo era il mio intento. Il mio intervento è nato dal suo modo di esprimersi "indecente" (e che mi era stato riferito, mi sembra che lei creda che il mio computer venga usato solo da me). Comunque la colpa è mia che mi sono messo a chiacchierare con una persona che non so neanche chi sia. Vada a Ragusa/Dubronik e cerchi di aiutare gli Italiani di là, alcuni vivono nella miseria e nell'isolamento più nero (e alcuni sono morti nel più completo abbandono ed estrema miseria, come quello che viveva sulle mura), invece di fare polemiche sterili e discettare a migliaia di chilometri di distanza e telefonare seduto da casa. Ed ora dica pure tutto quello che vuole, così rimane contento. Veramente chi apre, non dovrebbe avere l'ultima parola, ma si tratta dell'educazione ricevuta o assimilata.(g.v.)

 
 
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--Crisarco (msg) 12:58, 13 ott 2009 (CEST)Rispondi

Ho seguito con interesse la discussione tra il prof. Vignoli e Presbite e mi rammarica il loro diverbio. Mi permetto di ricordare in merito la presenza a Ragusa di molti discendenti di emigrati pugliesi, che forse sono alla base della dichiazazione di esserci un migliaio di italiani a Ragusa fatta al professore. Questi discendenti di emigrati pugliesi a fine ottocento/primi novecento spesso avevano un nonno (o più) di lingua italiana (o meglio: dialetto pugliese), e durante l'occupazione militare italiana di Ragusa nel 1941-1943 si dichiararono italiani principalmente per avere sussidi alimentari ed altro. Non ricordo esattamente dove ho letto questo fatto, ma mi propongo di effettuare una ricerca in merito. Posso comunque precisare di avere un parente che fu sottufficiale a Ragusa in quegli anni e che me ne ha parlato. Concludo citando il Luigi Federzoni: A Ragusa, a Curzola, a Cattaro i regnicoli si slavizzano in blocco, senza avvedersene, per ignoranza e per incoscienza. Sono quasi tutti pugliesi, fruttivendoli, scalpellini, muratori, provenienti per lo più da Bisceglie, da Monopoli o da Mola di Bari. A Ragusa, come già detto, sono press'a poco un migliaio; a Curzola, che conta duemila abitanti scarsi, oltrepassano il centinaio; a Cattaro, ove la popolazio­ne, presidio militare compreso, supera appena tremila anime, la loro colonia ascende a circa trecento persone. Analfabeti nella grande maggioranza, privi di un qualsiasi sentimento nazionale, questi poveretti vengono a cercare un pane in una terra ove i lavoratori indigeni difettano, generalmente, d'abilità e resistono assai poco alla fatica. Ma per trovare più presto un collocamento e non essere perseguitati dagli oltraggi non solamente verbali della plebe slava, essi sono istintivamente indotti a dissimulare, per quanto è possibile, la loro qualità d'italiani, di cui realmente non hanno coscienza né, tanto meno, orgoglio. L'unico vincolo che ancora li legherebbe alla patria, il dialetto nativo, non serve se non d'impac­cio, poiché non permette loro di intender bene e di farsi bene intendere neppure dai connazionali del luogo, i quali parlano veneto. I loro figli, almeno a Ragusa e a Cattaro, ove mancano scuole italiane, devono frequentare le slave, e ivi apprendono a parlare e scrivere una lingua che offre a questa nuova gene­razione il modo di partecipare a tutte le manifestazioni della vita civile nel paese di adozione. Nelle scuole croate poi, i figli degli immigrati odono predi­care sentimenti di nazionalità che non possono esser respinti dalle loro anime ignare: giunti alla pubertà, si mettono a fare all'amore con ragazze, per lo più, slave. A vent'anni, automaticamente, scelgono di prestare il servizio militare in Austria anziché in Italia... La metamorfosi è compiuta. Cordiali saluti ed un invito alla "reciproca ed amichevole comprensione" tra di noi.--LittleTony (msg) 16:32, 13 ott 2009 (CEST)Rispondi
Grazie per l'intervento e l'approfondimento. Conosco il libro di Federzoni La Dalmazia che aspetta (1915), da cui hai tratto la citazione. Per essere soft, diciamo che la visione del Federzoni era pesantemente influenzata dalle aspettative dell'irredentismo italiano, il quale si aspettava dalla vittoria nella Grande Guerra di portare a casa la gran parte della costa dell'Adriatico orientale. Anzi: il libro stesso doveva costituire un tassello del mosaico di iniziative propagandistiche utili a convincere gli italiani del nostro diritto storico sulla Dalmazia. PEr essere meno soft e più pratico, basti leggere i resoconti dei comandanti delle navi italiane che nel 1918 andarono a prendere possesso delle località dalmate: molti di essi si stupirono alquanto di trovare una Dalmazia in massima parte slava: sulla scorta dei vari Federzoni essi credevano di arrivare nei porti fra due ali di folla plaudente al tricolore italiano, e invece in grandissima parte trovarono le bandiere jugoslave, gente ostile e scarso numero di italiani. E a legger bene il Federzoni, anch'egli non parla di "mille italiani", ma di "mille regnicoli" che si slavizzano in brevissimo tempo, "in blocco, senza avvedersene". Ben altro clima c'era per esempio a Spalato, e mi permetto di segnalare in merito la voce Incidenti di Spalato, da me curata e portata in vetrina. In conclusione, voglio però esser molto chiaro: io non escludo che ci possano esser stati 1.000 italiani a Ragusa nel 1943 (bisognerebbe vedere quanti poi sarebbero stati i ragusei autoctoni e quanti i recenti immigrati, in realtà cittadini italiani): ciò che io dico molto semplicemente è che qualsiasi affermazione su questi temi sui quali possono nascere polemiche a non finire va supportata da fonti più che adeguate. E ripeto per l'ennesima volta un mio chiodo fisso: per scrivere una bella storia degli italiani dell'Adriatico Orientale non è necessario calcare la mano schiacciando l'occhiolino all'irredentismo morto e sepolto: è sufficiente raccontare in modo piano e documentato quanto è capitato, e meriti e torti vengono fuori in automatico. Come esempio di tutto ciò mi permetto di rinviare ai meravigliosi studi del prof. Luciano Monzali: un giovane storico con i fiocchi, che fortunatamente per gli appassionati come me qualche anno fa ha iniziato a studiare queste tematiche.--Presbite (msg) 17:18, 13 ott 2009 (CEST)Rispondi
Il dibattito è molto interessante e su un punto vorrei intervenire per allacciarmi ad un punto segnalato da Presbite: fermo restando che la fonte deve essere verificabile, ai fini del contesto (l'evoluzione numerica dei ragusei di lingua italiana) la menzione dei 1.000/1.200 italiani in questione è di utilità relativa se non è dato sapere quanti di questi erano ragusei autoctoni e quanti erano cittadini italiani di recente immigrazione. Ben vengano in appoggio i dati dei censimenti, ma anche questi ultimi vanno presi con molta cautela (vedasi anche sopra).--Wiskandar (msg) 21:49, 13 ott 2009 (CEST)Rispondi

Riallacciandomi a ciò che scrivevi a suo tempo, ti segnalo che io sono in possesso di tutti i dati dei censimenti A/U, sia per Ragusa città (comprendente la Città di Ragusa vera e propria, Borgo Pille e Borgo Ploce) che per il comune di Ragusa (la città più le frazioni di Bergatto Inferiore, Bergatto Superiore, Brasina, Buici, Celopeci, Cibaca, Gravosa, Grbavac, Lapad, Makose, Martinovic, Petraca, Plat, Soline e Zavrelje). Mi permetto anche di aggiungere che è vero che all'epoca nella Cisleitania si censiva la lingua d'uso (in Transleitania invece la lingua materna), ma gli statistici ritenevano - sulla scorta degli studi più avanzati del tempo e pure delle determinazioni del congresso di statistica di San Pietroburgo del 1876 - che il metodo migliore per identificare la nazionalità di una persona fosse proprio quello di registrarne la lingua d'uso. Tornando ai dati: nella città di Ragusa nel 1910 risultavano 8.958 censiti: 6.466 serbo-croati (gli austriaci non distinguevano la lingua serba da quella croata), 409 italiani, 322 tedeschi, 175 altre lingue, 1.586 stranieri. E' probabile che fra i 1.586 stranieri ci fossero almeno 500 italiani, e quindi il totale potrebbe arrivare realmente a 1.000, ma questa è una deduzione che non possiamo ricavare con certezza. Soccorrerebbe il censimento degli italiani all'estero del 1927, che rilevò quanti avevano la cittadinanza italiana e vivevano stabilmente al di fuori dei confini del Regno. Bisogna tener conto che dagli accordi di Rapallo e successivi accordi fra l'Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, gli italiani della Dalmazia poterono chiedere la cittadinanza italiana (non acquisendo quella jugoslava), senza l'obbligo di trasferimento in Italia. Quindi il dato del censimento del 1927 potrebbe essere già indicativo, ma non completamente esaustivo, giacché una certa aliquota di italiani in Dalmazia non scelse di chiedere la cittadinanza italiana, per vari motivi non escluso il timore (fondato, se guardiamo agli anni '20 e '30) di essere discriminato in mille modi. Bettiza ricorda per esempio che suo padre diventò italiano, mentre suo zio no. Il sindaco di Spalato mangiaitaliani si chiamava Ivo Tartaglia: suo fratello non solo chiese la cittadinanza italiana, ma addirittura si trasferì a Trieste. Pertanto bisognerebbe integrare il dato del censimento con un'analisi dei registri delle istituzioni/associazioni/scuole italiane di Ragusa, per avere un quadro completo. Visto però che nessuno - a mia conoscenza - ha ancora fatto un lavoro del genere, cadremmo mani e piedi nella ricerca originale, qui dentro vietata.--Presbite (msg) 10:19, 14 ott 2009 (CEST)Rispondi

Molto interessante quello che scrivi. Mi pare di capire che, al di là della questione sulla preferenza al criterio della lingua materna o lingua d'uso (che soprattutto nella Dalmazia austriaca poteva comportare esiti sostanzialmente diversi fra loro), siamo d'accordo sul fatto che i dati nudi e crudi dei censimenti costituiscono un importante dato di partenza, che necessita tuttavia opportune integrazioni o chiavi interpretative per non essere oggetto di facili strumentalizzazioni. Il problema è che, se riportiamo i censimenti e basta, rispettiamo la regola delle fonti certe ma di fatto diamo un'informazione parziale, avulsa dal suo contesto; se invece cerchiamo di contestualizzare i dati per mezzo di analisi integrative, di fatto diamo un'informazione completa ma in assenza di studi dettagliati in merito cadiamo formalmente nella ricerca originale. Un bel dilemma. --Wiskandar (msg) 00:30, 15 ott 2009 (CEST)Rispondi
Ho trovato delle cose interessanti in Luciano Monzali, Italiani di Dalmazia. 1914-1924, Le Lettere, Firenze 2007, pp. 438-439. Premetto che Monzali scrive utilizzando quasi esclusivamente fonti primarie: fonti d'archivio italiane e locali. Egli racconta per sommi capi la storia della piccola comunità italiana di Ragusa nel primo dopoguerra. La scuola elementare italiana fu aperta negli anni '20. Negli anni '30 esistevano nella Dalmazia jugoslava scuole elementari italiane a Veglia, Traù, Spalato, Sebenico, Lesina, Curzola e Ragusa. Monzali afferma che il radicato particolarismo municipale di Ragusa rese la situazione degli italiani locali più facile rispetto alle altre località della Dalmazia, anche perché il numero era esiguo e non era considerato pericoloso per i croati. La scuola di Ragusa, con annesso giardino infantile, nel 1933 era frequentata da circa 130 scolari. Un numero sicuramente notevole, se consideriamo che nel 1910 gli austriaci avevano conteggiato 409 italiani in città. Detta scuola "venne aperta per mantenere viva l'identità e la cultura nazionale degli italiani autoctoni e di quelli provenienti dalla Puglia". Quindi i pugliesi rimpolpavano notevolmente la locale comunità autoctona. La comunità italiana ragusea riuscì ad aprire la scuola "grazie alla donazione immobiliare ricevuta da Giovanni Avoscani, capo del partito autonomo-italiano fra la fine dell'Ottocento e la prima guerra mondiale, e ai finanziamenti dell'Italia". A Ragusa gli italiani erano organizzati in due associazioni: l' "Unione Italiana" e la "Società Operaia Italiana". Fra i principali esponenti italiani ragusei si ricordano Giovanni Jelich ed Edmondo Weiss, mentre Arnaldo Vladovich e Natale Bongi erano a capo della Società Operaia Italiana (NB L'attuale console onorario italiano a Ragusa è nipote di Natale Bongi). Non mi ricordavo assolutamente invece ciò che riporto adesso, e cioè che i fascisti da Roma nel tentativo di fascistizzare anche le associazioni all'estero imposero la chiusura della Società Operaia, l'azzeramento di tutti i dirigenti locali e la loro sostituzione con personaggi graditi al regime, non per elezione ma per acclamazione imposta dal console italiano Carlo Staffetti. Non c'è che dire: un'illuminatissima visione delle cose, che dimostra vieppiù come il fascismo non aveva proprio gli strumenti culturali per confrontarsi con una realtà variegata come quella dalmata: nemmeno se costituita da connazionali.--Presbite (msg) 01:20, 15 ott 2009 (CEST)Rispondi


Ho trovato per caso una citazione dei dati del censimento degli Italiani all'estero del 1927. Si trova nella tesi di laurea di Marco Scaglione (link fornito dall'utente Giove nella discussione della voce Zara). Il dato per Ragusa e' 1008.Aldrasto (msg) 04:58, 13 dic 2009 (CET)Rispondi

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