Filosofia del disastro

«Il terremoto del 1° novembre 1755 colpì allora il mondo occidentale come un colpo di fulmine e trasformò per sempre la filosofia degli esseri pensanti.[1]»

Nell'ambito dei dibattiti filosofici sviluppatisi nell'Illuminismo, assume particolare rilievo la cosiddetta filosofia del disastro o della catastrofe.[2]

Il disastro nel pensiero antico modifica

La tendenza della filosofia a trattare il tema del disastro si ritrova molto prima dell'Illuminismo scosso dalla sua fiducia ottimistica dal terremoto di Lisbona del 1755.

Nel Timeo di Platone un vecchio sacerdote egizio così racconta il ciclo delle catastrofi sulla Terra:

«...molti e per molti modi sono stati e saranno gli stermini degli uomini: i più grandi per il fuoco e per l'acqua, altri minori per moltissime altre cagioni. Perché quello che anche presso di voi si racconta, che una volta Fetonte, figlio del Sole, avendo aggiogato il carro del padre, per non essere capace di condurlo per la via del padre, bruciò tutto sulla terra ed egli stesso perì fulminato, questo ha l'apparenza di una favola, ma la verità è la deviazione dei corpi celesti, che si muovono intorno alla terra e nel cielo, e la distruzione per molto fuoco e a lunghi intervalli di tempo di tutto quello che è sulla terra.[3]»

In questa concezione, che sarà propria anche dell'ecpirosi degli stoici che riprendono la teoria eraclitea del fuoco forza produttiva e ragione ordinatrice del mondo, non manca un elemento consolatorio rappresentato dalla ciclicità della catastrofe dalla quale il mondo si rigenera ad opera della natura benigna. La ciclicità assicura una palingenesi su cui si fonderà la fiducia ottimistica degli illuministi nel progresso dell'umanità.

L'ottimismo illuministico prima del 1755 modifica

 
Leibniz

La fede nell'ottimismo e nel progresso dell'umanità garantito da Dio era stata espressa da Leibniz nella suoi Saggi di teodicea del 1710:

«Ora questa suprema saggezza [di Dio], congiunta a una bontà che non è meno infinita di quella, non poteva mancare di scegliere il meglio. Infatti, come un male minore è una specie di bene, così un bene minore è una specie di male, se agisce come un ostacolo per un bene maggiore, e nelle azioni di Dio vi sarebbe qualche cosa da correggere, se Egli aveva la possibilità di far meglio. [...] Io intendo per Mondo la serie e la connessione di tutte le cose esistenti, affinché non si dica che parecchi mondi potevano esistere in tempi e in luoghi differenti. Infatti bisogna contarli tutti insieme come un mondo o, se si preferisce, come un Universo. E quando si riempissero tutti i tempi e tutti i luoghi rimarrebbe sempre vero che si sarebbe potuto riempirli in una infinità di modi e che vi sarebbe una infinità di mondi possibili fra i quali bisogna che Dio abbia scelto il migliore, perché egli non fa nulla senza agire secondo la ragione suprema.

Qualche avversario, non potendo rispondere a questo argomento, risponderà forse alla conclusione con un argomento contrario, sostenendo che il mondo sarebbe potuto essere senza il peccato e senza il dolore; ma io nego che allora sarebbe stato il migliore. Perché bisogna riflettere che tutto è connesso in ciascuno dei mondi possibili: l’Universo, qualunque fosse per essere, è tutto d’un pezzo, come un Oceano; il minimo movimento estende il suo effetto a qualunque distanza, di modo che Dio ha tutto regolato in anticipo e una volta per tutte, avendo previsto le preghiere, le buone e le cattive azioni e tutto il resto, e ciascuna cosa ha contribuito idealmente, prima della sua esistenza, alla decisione che fu presa sull’esistenza di tutte le cose. Di modo che nulla può essere cambiato nell’Universo (come accade in un numero) tranne la sua esistenza o, se si preferisce, la sua individualità numerica. Così se il più piccolo male che accade nel mondo, non accadesse, non sarebbe piú questo mondo, che tutto sommato e soppesato, è apparso il migliore al Creatore che l’ha scelto.[4]»

Concezione ribadita nel 1714 con i Principi della natura e della grazia fondati sulla ragione:

«Dalla perfezione suprema di Dio deriva che creando l'universo, ha scelto il miglior piano possibile, nel quale la più grande varietà possibile è congiunta col massimo ordine possibile... e ciò perché nell'intelletto divino, in proporzione alle loro perfezioni, tutti i possibili pretendono all'esistenza; il risultato di questa pretesa dev'essere il mondo attuale, il più perfetto possibile.[5]

 
Alexander Pope

Un'esaltazione dell'ottimismo cosmico si ritrova successivamente in Alexander Pope con la sua opera del 1734 Saggio sull'uomo che diventa il punto di riferimento di coloro che sostengono essere quello presente il migliore dei mondi possibile anche se questa convinzione comincia ad essere incrinata, ancor prima del sisma di Lisbona del 1755, dalle stragi causate dalla Guerra di successione austriaca (1740-1748) e da quella deiSette anni (1756-1763). Si comincia a chiedersi se davvero l'ottimismo storico sia sostenibile quando nel 1753 l'Accademia delle scienze di Berlino bandisce un concorso sul tema: Si richiede l'analisi del pensiero di Pope, contenuto nella proposizione «Tutto è bene». Vinse Adolf Friedrich Reinhard con una Dissertazione dove contestava l'ottimismo di Leibniz e Pope originando negli ambienti illuministi tedeschi una vivace polemica dove intervennero anche Moses Mendelssohn e Gotthold Ephraim Lessing, coautori dell'opera Pope, Ein Metaphisyker! (1753) dove i due più che sostenere Pope e il suo motto «Whatever is, is right» (Qualsiasi cosa è giusta)[6][7] polemizzavano con l'Accademia delle scienze di Berlino che aveva bandito il concorso per screditare la teodicea di Leibniz che pure era stato il fondatore dell'Accademia. Nella polemica nel 1759 s'inserirà anche Kant nell'opera Saggio su alcune considerazioni a proposito dell'ottimismo[8] poiché quanto affermato dagli oppositori di Leibniz che «la Somma Saggezza abbia potuto ritenere una cosa peggiore migliore di una cosa ottima» contrasta con i principi del buon senso.[9]

Voltaire e Rousseau modifica

Voltaire ritratto da Maurice Quentin de La Tour (1737-1740 circa)

Ancora sostenitore in un primo momento dell'ottimismo leibniziano è Voltaire che durante il suo soggiorno forzato a Londra dal 1726 al 1728 aveva conosciuto personalmente Pope che ricorda con stima nelle sue Lettere filosofiche redatte al suo ritorno in Francia quando condivide l'ottimismo dei pensatori inglesi e critica invece il pessimismo di Pascal. Nel poema Le mondain del 1736 contesta ogni pratica ascetica o solo ispirata alla frugalità e alla semplicità sostenuta da puritani e cattolici ed esalta invece il materiale gusto di vivere e la non rinuncia a godere sino in fondo quanto la vita può offrire.

La sua opinione cambia radicalmente dopo l'evento del terremoto di Lisbona quando comincia a dubitare dell'esistenza del male come scelta provvidenziale di Dio. Per ricevere sostegno alla sua tesi, che presume gli attirerà le critiche dei cattolici, manda una copia dell'opera Poema sul disastro di Lisbona a Rousseau, a D'Alembert e a Diderot esponenti del partito dei philosophes. Ma a lui che nella prefazione scrive riferendosi a se stesso:

«L’ autore si erge contro gli abusi che si sono potuti fare dell’ antico assioma tutto è bene. Egli adotta questa triste e più antica verità, riconosciuta da tutti, che c’ è del male sulla terra e confessa che l’ espressione tutto è bene, presa in un senso assoluto e senza la speranza di un futuro, non è che un insulto ai dolori della nostra vita.[10]»

e che aggiunge che i filosofi che teorizzano il bene di fronte al disastro sono più crudeli dello stesso terremoto:

«Tutto è bene: gli eredi dei morti accresceranno così le loro fortune, i falegnami avranno il loro bel guadagno ricostruendo le case; mentre gli animali s nutriranno dei cadaveri sepolti tra le rovine; è l'effetto necessario delle cause necessarie; il vostro male individuale non è nulla, voi, anzi, contribuirete al bene generale.[11]»

Jean-Jacques Rousseau ritratto da Maurice Quentin de La Tour intorno al 1750-1753

Rousseau, inaspettatamente, risponde schierandosi con Leibniz e Pope:

«Quell'ottimismo che trovate tanto crudele mi consola, tuttavia, di quegli stessi dolori che descrivete come insopportabili. Il poema di Pope addolcisce i miei dolori e mi infonde pazienza, il vostro acuisce le mie pene e mi spinge a mormorare contro la Provvidenza; e privandomi di tutto, mi induce alla disperazione.[12]»

Ma soprattutto il filosofo francese rigetta l'idea che il male sia voluto da Dio e ritiene che dell'esistenza del male gli artefici primi siano gli uomini:

«Restando al tema del disastro di Lisbona, converrete che, per esempio, la natura non aveva affatto riunito in quel luogo ventimila case di sei o sette piani, e che se gli abitanti di quella città fossero stati distribuiti più equamente sul territorio e alloggiati in edifici di minor imponenza, il disastro sarebbe stato meno violento o, forse, non ci sarebbe stato affatto[13]»

Gli abitanti di Lisbona, secondo Rousseau, hanno offeso la semplicità della natura volendo orgogliosamente costruire una prospera capitale dove si sono ammassate migliaia di persone che se fossero rimaste nell'ambiente contadino non avrebbero perso la vita.

«[...] Si può dubitare che accadano sismi anche nei deserti? Soltanto non se ne parla perché non provocano alcun danno ai Signori delle città, gli unici uomini di cui si tenga conto.[14]»

L'avidità della ricchezza può essere smorzata dunque dalle catastrofi naturali che con i loro terribili effetti livellano equamente la società, che ha abbandonato lo stato naturale, e le danno una nuova morale:

«terremoti, eruzioni vulcaniche, incendi, inondazioni, diluvi, mutando di colpo, con la faccia della terra, il corso delle società umane, le hanno combinate in modo nuovo, e queste combinazioni, le cui cause prime erano fisiche e naturali, sono divenute, col tempo, la cause morali che mutano lo stato delle cose; hanno prodotto, guerre, migrazioni, conquiste e infine rivoluzioni che riempiono la storia e che sono considerate opera degli uomini, senza risalire a ciò che li ha fatti agire così.[15]»

La polemica tra i due filosofi si chiude con le amare considerazioni di Rousseau su Voltaire a cui egli non risparmia lodi ma in realtà critica duramente rimproverando la facilità del suo pessimismo a lui che «vive libero in seno all'abbondanza. Sicuro dell'immortalità ormai raggiunta, [voi Voltaire[16]] filosofeggiate tranquillamente...E tuttavia non vedete altro che il male sulla terra. Ed io invece, uomo oscuro, povero, solo, tormentato da un male senza rimedio, medito con piacere nel mio eremo e trovo che tutto è bene»[17] Rousseau riconosce che la sua fede nell'ottimismo non è fondata sulle logica filosofica ma nonostante tutto egli sente con tutto il suo essere che non può rinunciare a crederci senza negare se stesso:

«Tutte le sottigliezze della metafisica non mi faranno dubitare un momento dell'immortalità dell'anima, e di una Provvidenza benefattrice. Io la sento, credo in essa, la voglio e spero in essa e la difenderei fino al mio ultimo respiro.[18]»

Kant modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Scritti sui terremoti.
 
Immanuel Kant

Dopo le sue iniziali considerazioni esposte nella fase giovanile e precritica nelle tre opere dedicate al terremoto di Lisbona, nella fase più matura del suo pensiero, quando ha già elaborato le tre critiche, Kant in un saggio del 1791 scrive che tutti i sistemi filosofici hanno fallito sulla teodicea[19] perché quando la ragione non si limita a dominare il terreno dell'esperienza, dove pure genera errori e illusioni, ma tende ad agire nell'orizzonte della metafisica, si scontra con problemi irrisolvibili:

«La ragione umana, anche senza il pungolo della semplice vanità dell'onniscienza, è perpetuamente sospinta da un proprio bisogno verso quei problemi che non possono in nessun modo esser risolti da un uso empirico della ragione... e così in tutti gli uomini una qualche metafisica è sempre esistita e sempre esisterà, appena che la ragione s'innalzi alla speculazione[20]»

Nella metafisica, che pretende di conoscere la totalità e di porsi come scienza manca in realtà un oggetto definito empiricamente e da essa si generano quelle idee dell'anima, del mondo e di Dio del tutto prive di contenuto che non può essere rappresentato dalla totalità dei fatti empirici.

Senza fare l'avvocato difensore di Voltaire o di Rousseau nella polemica che li divide, Kant allora imposta diversamente la questione dell'ottimismo chiedendosi quale valore abbia per noi la vita: se si afferma che essa debba essere improntata al piacere egli risponde che in effetti non è questo che deve caratterizzare la vita dell'uomo: la cessazione del godimento o della felicità non fa scadere pessimisticamente la vita che si qualifica invece per ciò che l'uomo fa, nel senso, cioè, che la vita è degna di essere vissuta se ci si conforma alla legge del dovere. L'uomo non deve sfuggire al dolore perché è questo che lo spinge all'azione. Se l'uomo insiste pigramente nel volere la tranquillità del godimento sarà la natura con le sue forze discordanti a farlo agire.

Il crepuscolo della ragione modifica

In seguito agli immani disastri, ben più rilevanti del terremoto di Lisbona, che hanno caratterizzato il mondo occidentale nel corso del XX secolo, ci si è chiesto come quegli avvenimenti prodotti dall'uomo siano potuti avvenire in un'Europa erede della ragione illuministica. I filosofi testimoni della catastrofe europea come Walter Benjamin, Theodor Adorno, Max Horkheimer, e Emmanuel Lévinas si sono domandati quale possa essere il senso di una filosofia che ancora si illuda di definire razionalmente l'animo e l'agire dell'uomo. Tuttavia il filosofo non può chiudere gli occhi di fronte agli eventi e ancora una volta sente il dovere di tentare di illuminare razionalmente il buio della storia.[21]

La negazione che eventi catastrofici possano interrompere il corso della storia e segnare la sua fine è propria dello storicismo di Benedetto Croce per cui è errato credere ad una presenza del negativo, del male nella storia dove è invece sempre un progresso inarrestabile che fa della negatività un gradino su cui si esercita la forza del positivo. Se così non è stato nella visione di alcuni storici questo è accaduto per l'insufficienza dell'analisi storica che ha portato a condanne arbitrarie come quella nei riguardi del Medioevo, condannato nel Rinascimento ed apprezzato invece nel Romanticismo. Una storia solo negativa è una non storia, una pseudo storia poetica dove prevalgono i sentimenti e i giudizi morali. Certo periodi critici esistono nella storia ma questi vanno considerati non in sé ma come momenti di passaggio da un periodo, per certi aspetti positivo, ad un altro ancora migliore.[22]

Note modifica

  1. ^ Theodore Besterman, Voltaire et le désastre de Lisbonne ou La mort de l’optimisme, in: Studies on Voltaire and the Eighteenth Century, Les Délices 1956, vol.II, pp.7-24.
  2. ^ Ove non indicato diversamente, le informazioni contenute in questa voce hanno come fonte: Voltaire, Rousseau, Kant, Sulla catastrofe. L'Illuminismo e la filosofia del disastro, Introduzione e cura di Andrea Tagliapietra, Traduzioni di Silvia Manzoni e Elisa Tetamo, con un saggio di Paola Giacomoni, ed. Bruno Mondadori (collana Sintesi) 2004
  3. ^ Platone, Timeo, 22 c-d (in Platone, Opere complete 9 voll. a cura di Gabriele Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 1970, vol.VI p.360
  4. ^ G.W. Leibniz, Saggi di Teodicea, I, 8-9
  5. ^ G.W. Leibniz, Principi della natura e della grazia, 10
  6. ^ A. Pope, Saggio sull'uomo, a cura di A. Zanini, Liberlibri, Macerata 1994, pp.30-31
  7. ^ Il motto di Pope sarà ripreso da Voltaire nella forma «Tout est bien» (Patrick Riley, The Cambridge Companion to Rousseau, Cambridge University Press, 2001, p.221)
  8. ^ In seguito Kant rinnegherà l'opera come sua. (Voltaire, Rousseau, Kant, Sulla catastrofe. L'Illuminismo e la filosofia del disastro, Introduzione e cura di Andrea Tagliapietra; op.cit. p.XXIII)
  9. ^ I. Kant, Saggio su alcune considerazioni ... in Scritti precritici, trad. it. . Laterza Roma-Bari 2000, p. 97
  10. ^ Voltaire, Poema sul disastro di Lisbona, prefazione, p.2
  11. ^ Voltaire, op.cit. ibidem
  12. ^ J. J. Rousseau, Lettera a Voltaire, (in Voltaire, Rousseau, Kant, Sulla catastrofe.... op.cit. p.23)
  13. ^ J.- J. Rousseau, Lettera a Voltaire sul disastro di Lisbona, p.25
  14. ^ J.- J. Rousseau, op.cit. ibidem
  15. ^ J.-J. Rousseau, Frammenti politici in Scritti politici, 3 voll., a cura di M.Garin, Laterza, Roma-Bari 1997, vol.2, p.285
  16. ^ Il corsivo è dello scrivente
  17. ^ J.-J. Rousseau,Lettera a Voltaire sul disastro di Lisbona, p.34
  18. ^ J.-J. Rousseau, op,cit. ibidem
  19. ^ Sull'insuccesso di ogni tentativo filosofico in teodicea, in Kant, Questione di confine, a cura di F.Desideri, Genova 1990, pp.30-31
  20. ^ Immanuel Kant, Critica della ragion pura, 1781
  21. ^ Orietta Ombrosi, Il crepuscolo della ragione. Benjamin, Adorno, Horkeimer, e Levinas di fronte alla Catastrofe, introd. di Catherine Chalier, Giuntina, 2014
  22. ^ B. Croce, Teoria e storia della storiografia, a cura di G. Galasso, Editore Adelphi, 2001

Voci correlate modifica