Gaio Cestio Gallo (console 35)

Gaio Cestio Gallo (in latino: Gaius Cestius Gallus; 20 a.C. circa – dopo il 35) è stato un magistrato romano, console dell'Impero romano.

Gaio Cestio Gallo
Console dell'Impero romano
Nome originaleGaius Cestius Gallus
Nascita20 a.C. circa
Mortedopo il 35
FigliGaio Cestio Gallo
GensCestia
Consolatogennaio-giugno 35 (ordinario)

Biografia modifica

La gens Cestia cui apparteneva Gallo non ha origini chiare: poiché essa è attestata diffusamente a Praeneste, ma anche in molte altre regiones, in Sicilia e in Africa, è possibile forse ridurre l'ambito al solo Lazio, o forse anche alla Campania[1][2][3][4].

Della carriera di Gallo ben poco è noto: è altamente improbabile[5][6] che sia da correggere ad indicare lui il vecchio libidinoso Sestio Gallo[6] citato da Svetonio[7]. Tacito fa un bel ritratto di Gallo come un senatore che, nei primi mesi del 21, seppe destreggiarsi tra l'ossequio per i principes e il buon senso comune, citando un suo discorso contro coloro, come Annia Rufilla, che compivano misfatti e offese senza temere ripercussioni solo perché portavano con sé ritratti del princeps da poter usare come catalizzatori di accuse di maiestas contro chi li accusasse dei loro reati:

(LA)

«Exim promptum quod multorum intimis questibus tegebatur. Incedebat enim deterrimo cuique licentia impune probra et invidiam in bonos excitandi arrepta imagine Caesaris: libertique etiam ac servi, patrono vel domino cum voces, cum manus intentarent, ultro metuebantur. Igitur C. Cestius senator disseruit principes quidem instar deorum esse, sed neque a diis nisi iustas supplicum preces audiri neque quemquam in Capitolium aliave urbis templa perfugere ut eo subsidio ad flagitia utatur. Abolitas leges et funditus versas, ubi in foro, in limine curiae ab Annia Rufilla, quam fraudis sub iudice damnavisset, probra sibi et minae intendantur, neque ipse audeat ius experiri ob effigiem imperatoris oppositam.»

(IT)

«Fu data poi pubblicità ad un fatto, che era tenuto nascosto sebbene molti se ne lagnassero in segreto. Si propagava, infatti, tra i peggiori elementi, l'abuso di suscitare impunemente l'odio e l'infamia contro gente onesta, solo tenendo stretta in mano un'immagine di Cesare; liberti e schiavi, alzando la voce o protendendo le mani verso il patrono o il padrone, erano essi a suscitare paura. Pertanto, il senatore C. Cestio prese la parola per dichiarare che, pur ammettendo che i principi fossero pari agli dei, si doveva, tuttavia, riconoscere che neppure gli dei accoglievano dai supplicanti preghiere che non fossero giuste, in modo che nessuno fosse autorizzato a rifugiarsi in Campidoglio o in altri templi della città, per valersi di quella protezione a commettere delitti. Le leggi, evidentemente, erano abolite e distrutte fin dalle radici, se nel foro, proprio sulla soglia della Curia, egli stesso poteva essere oggetto di minacce e di ingiurie da parte di Annia Rufilla, che egli aveva fatto condannare dal giudice per frode e contro la quale non osava domandare giustizia, perché gli veniva protesa dinanzi l'immagine dell'imperatore.»

La denuncia di Gallo spinse altri senatori a denunciare fatti simili e peggiori, e il console Druso a far chiamare Rufilla, constatarne la colpevolezza e farla rinchiudere nella prigione comune[8].

Tuttavia, Tacito depreca che i tempi, peggiorando, possono trascinare nel fango anche grandi uomini, proprio come Gallo[9]: nel 32, questi infatti, su istigazione di Tiberio, fu spinto a denunciare per complicità con il decaduto prefetto del pretorio Seiano Quinto Serveo, ex-pretore e compagno in Oriente di Germanico, per il quale aveva assunto l'accusa contro Gneo Calpurnio Pisone nel 20[10], e il cavaliere Minucio Termo, ricoprendo il ruolo di loro accusatore e facendoli condannare, dando il via ad una ridda di altre denunce[11]. La denominazione che Tacito usa per riferirsi a Gallo in questa occasione, ossia C. Cestium patrem (in alcune edizioni emendato erroneamente in praetorem[5][12][13]) implica che il figlio fosse già presente in senato nel 32[4][5].

A parte queste comparse nella narrazione tacitiana, l'unico incarico noto di Gallo è il suo consolato, ricoperto come homo novus ad un'età piuttosto avanzata[13][14][15][16]: Gallo assunse la carica come console ordinario del 35 accanto a Marco Servilio Noniano[17][18][19][20][21][22][23][24], mantenendo l'incarico fino a giugno e venendo sostituito a luglio dalla coppia di suffetti composta da Decimo Valerio Asiatico e Aulo Gabinio Secondo[17]. Il consolato di Gallo e Serviano assistette alle trame dei nobili parti contro il re Artabano e importanti azioni militari in Siria[25]; il suicidio di Lucio Fulcinio Trione e di Marco Granio Marciano e la condanna a morte di Tario Graziano[26]; le morti di Tito Trebellieno Rufo e di Sestio Paconiano[27].

Dopo il suo consolato, Gallo scompare dalla storia, ma è sicuramente noto suo figlio[4][13][14][15][16], l'omonimo Gaio Cestio Gallo[28], che, già in senato nel 32, dovette sfruttare la nuova nobiltà della famiglia ottenuta con il consolato del padre e raggiungere la massima carica romana, ricoperta come suffetto nel 42, ad un'età piuttosto precoce per una famiglia plebea[13][14][15][16].

Note modifica

  1. ^ R. Syme, Roman Papers, I, Oxford 1979, p. 592.
  2. ^ R. Syme, Roman Papers, IV, Oxford 1988, p. 387 nota 90.
  3. ^ L. Bivona, Appunti di onomastica termitana (i Cestii, i Granii e i Vecilii), in L. Gasperi (ed.), Scritti sul mondo antico in memoria di Fulvio Grosso, Roma 1981, pp. 39-53; Ancora sui Cestii d'Africa e di Sicilia, in A. Mastino (ed.), L'Africa romana, III, Sassari 1986, pp. 96-100; La gens Cassia tra Africa e Sicilia, in A. Mastino (ed.), L'Africa romana, IV, Sassari 1987, pp. 489-492.
  4. ^ a b c A. Tortoriello, I fasti consolari degli anni di Claudio, Roma 2004, p. 487.
  5. ^ a b c PIR2 C 690 (Groag).
  6. ^ a b PIR2 S 612 (Wachtel).
  7. ^ Svetonio, Vita di Tiberio, XLII, 2.
  8. ^ Tacito, Annales, III, 36, 4.
  9. ^ Tacito, Annales, VI, 7, 3.
  10. ^ Tacito, Annales, III, 13, 2.
  11. ^ Tacito, Annales, VI, 7, 2 e 4.
  12. ^ R. Syme, Roman Papers, I, Oxford 1979, p. 263, 280-281.
  13. ^ a b c d R. Syme, Roman Papers, II, Oxford 1979, p. 808.
  14. ^ a b c R. Syme, Roman Papers, I, Oxford 1979, p. 342.
  15. ^ a b c R. Syme, Roman Papers, III, Oxford 1984, p. 1434.
  16. ^ a b c R. Syme, Roman Papers, IV, Oxford 1988, p. 374.
  17. ^ a b Fasti Ostienses, frgm. Cg (Vidman).
  18. ^ Tacito, Annales, VI, 31, 1.
  19. ^ CIL VI, 33950.
  20. ^ AE 1972, 85.
  21. ^ AE 1978, 124.
  22. ^ AE 1978, 129.
  23. ^ Corpus Prosopographicum religionis isiacae, Leiden-New York-København-Köln 1990, p. 406, nr. 122.
  24. ^ IGR I 495.
  25. ^ Tacito, Annales, VI, 31-37.
  26. ^ Tacito, Annales, VI, 38.
  27. ^ Tacito, Annales, VI, 39.
  28. ^ PIR2 C 691 (Groag).

Bibliografia modifica