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Il Monte Sacro (in latino: Mons Sacer) è una collina di Roma che sorge sulla riva destra del fiume Aniene, qualche chilometro a nord-est del Campidoglio, per un'altezza s.l.m. di circa 50 m. Dà il nome all'omonimo quartiere della città che si è sviluppato nei pressi nel XX secolo.

Monte Sacro
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione  Lazio
Provincia  Roma
Altezza50 m s.l.m.
Coordinate41°52′38.77″N 12°28′33.22″E / 41.877437°N 12.475895°E41.877437; 12.475895
Mappa di localizzazione
Mappa di localizzazione: Italia
Monte Sacro
Monte Sacro
Posizione del Mons Sacer fra la via Nomentana (in rosso) e la riva destra dell'Aniene, presso la confluenza con l'Ulmano

Posizione modifica

La posizione del Mons Sacer è stata individuata attraverso i molti scritti di epoca romana che diversi autori ci hanno lasciato, fra cui Asconio[1], Cicerone[2], Dionisio di Alicarnasso[3], Tito Livio[4] e Valerio Massimo[5].

Da queste indicazioni risulta che il luogo si trovava a 3 miglia fuori città, tra la riva destra dell'Aniene (Anio) e l'antica via Nomentana, cioè tra l'attuale ponte Nomentano e la confluenza dell'Aniene con il fosso della Cecchina (antico rio Ulmano).

Storia modifica

 
Ponte Nomentano con il Monte Sacro sullo sfondo (dipinto di Giuseppe Vasi)

Vuole la leggenda che vi si recassero gli àuguri per effettuarvi i loro vaticini osservando il volo degli uccelli, donde il nome;[senza fonte] una leggenda più popolare vuole, inoltre, che anche gli aruspici vi eseguissero pratiche magiche poiché, data la ventosità del sito, era facile per questi perdere il copricapo durante le funzioni, ciò che avrebbe costituito grave segno di una presunta collera degli dei, dalla quale le "miracolose" preghiere dei sacerdoti avrebbero "protetto" i fedeli.

Nella Roma antica il Monte Sacro era molto al di fuori della cinta muraria, a metà strada fra l'Urbe ed il borghetto di Ficulea, lungo il percorso della via Nomentana, che conduceva a Nomentum. Lungo la strada, alcuni tratti della quale conservano il basolato originale (ad esempio presso il Grande Raccordo Anulare) sorsero diversi monumenti funebri, due dei quali sono ancora visibili nei pressi del monte, in corrispondenza del quale la strada superava l'Aniene con il ponte Nomentano.

Oltre che luogo per funzioni religiose, era anche punto di riferimento geografico, immerso in età repubblicana in un vasto latifondo agricolo. Nel tempo avrebbe cominciato ad essere abitato, inizialmente come zona residenziale; uno dei più importanti ritrovamenti ha portato alla luce la villa di Faonte (un liberto di Nerone citato da Svetonio come assai prossimo e devoto alla famiglia dell'imperatore). La villa è posta lungo un antico diverticolo della via Salaria.

Dopo l'età romana, presumibilmente per la difficoltà di difenderlo militarmente, la zona del monte divenne disabitata e tale restò sino a tempi ben più recenti. L'espansione della città avvenne in altre direzioni. In zona, l'unico punto frequentato rimase il ponte Nomentano sull'Aniene, che divenne nel tempo posto di controllo e presidio di dazio.

La rivolta della plebe del 494 a.C. modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Apologo di Menenio Agrippa.

Il monte è di grande notorietà per esservisi rifugiati i plebei romani in rivolta, che furono ricondotti all'ordine dal senatore di rango consolare Menenio Agrippa con il famoso apologo pronunciato nel 494 a.C.: con una metafora come in Esopo, il convincente Agrippa paragonò l'ordinamento sociale romano a un corpo umano, nel quale tutte le parti sono essenziali; e, brevemente, ammise che se le braccia smettessero di lavorare lo stomaco non si nutrirebbe e proseguì dicendo che ove lo stomaco languisse, le braccia non riceverebbero la loro parte di nutrimento. La situazione fu velocemente ricomposta ed i plebei fecero solerte ritorno alle loro occupazioni.

La plebe, rimanendo sulla collina per alcuni giorni e rifiutandosi di dare il solito contributo alla vita della città, ottenne l'istituzione dei tribuni della plebe e degli edili della plebe e l'istituzione di una propria assemblea, il concilium plebis, che eleggeva i tribuni e gli edili plebei. Le delibere dei concilia plebis (plebisciti) avevano valore di legge per i plebei. Sia i tribuni che gli edili della plebe erano inviolabili.

In ricordo dell'evento e a monito per il mantenimento degli accordi pattuiti i plebei eressero sulla cima del monte un'ara dedicata a Giove Terrifico.[6] Forse anche da questo deriva il titolo di "sacro" assegnato al monte.

Note modifica

  1. ^ Asconio, Orationum Ciceronis Quinque Enarratio, IV. Pro Cornelio.
  2. ^ Cicerone, Brutus, 54
  3. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VI. 45
  4. ^ Tito Livio, Ab urbe condita, Lib II. 32, Lib III. 52
  5. ^ Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri IX, VIII. 8.9.1
  6. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VI. 90

Voci correlate modifica

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