Nazionalismo indù

Il nazionalismo indù è un'ideologia politica che promuove le consuetudini spirituali e culturali native del subcontinente indiano. Differisce dal nazionalismo indiano in quanto quest'ultimo esalta l'unione di tutte le etnie e i gruppi religiosi che compongono l'India, mentre la versione indù si focalizza sulla difesa della tradizione e dei valori tipici dell'induismo, rigettando l'integrazione delle minoranze e affermando l'egemonia del gruppo etnoreligioso dominante.[1]

Una marcia dei nazionalisti indù con la loro bandiera color zafferano

L'odierno movimento nazionalista indù nasce a cavallo tra il XIX e il XX secolo, con l'intento di liberare la Patria dall'oppressione del Raj Britannico e realizzare la fondazione della Nazione Indù (Hindu Rashtra). Questa ideologia è ritenuta il fondamento principale dell'hindutva, la scuola di pensiero fondata negli anni '20 dall'attivista politico Vinayak Damodar Savarkar e che ancora oggi è la forma di nazionalismo indù prevalente nel panorama politico nazionale. Fu proprio in quegli anni tumultuosi che i moti sciovinisti si fecero strada facendo sempre più consistenti in tutta l'India. Gli aderenti a questa forma di etnonazionalismo non sono mai stati un gruppo politico e sociale omogeneo, ma tutti loro hanno sempre condiviso la convinzione che l'identità nazionale e la cultura indiana siano inseparabili dalla religione induista, sostenendo che l'India debba istituirsi come Stato indù piuttosto che incoraggiare il secolarismo.[2] Dopo l'indipendenza dall'Impero britannico, suddetta ideologia ha svolto a fasi alterne un ruolo di primo ordine nella vita politica del gigante asiatico. Già a partire dalla partizione del subcontinente in India e Pakistan (Terra dei puri), i nazionalisti indù tentarono di opporsi al provvedimento preso dal governo britannico ed attuato da Sir Cyril Radcliffe, le cui nozioni riguardo l'India erano insufficienti per eseguire una suddivisione efficace dell'ex colonia. egli divise le province indiane in base alla loro composizione religiosa. Gli stati a maggioranza indù al centro sarebbero diventati la Repubblica dell'India, mentre le due province a maggioranza musulmana non contigue su ciascun lato del paese sarebbero diventate il Pakistan orientale (attuale Bangladesh) e occidentale (attuale Repubblica islamica del Pakistan). Le crescenti tensioni religiose e l'inefficiente supervisione da parte delle autorità, portarono a un'aggressività diffusa tra i migranti durante la partizione. Si stima perciò che da uno a due milioni di persone morirono per violenza o malattia durante il processo di separazione. In India al potere salì il Congresso Nazionale Indiano, che sancì il laicismo e il socialismo come principi cardine del nuovo Stato indiano. Tali prese di posizione suscitarono la ferrea contrarietà da parte dei nazionalisti indù, i quali si opponevano ai valori della nuova classe politica moderata. Con l'insediamento al governo a più riprese da parte del Partito del Popolo Indiano, gli ideali nazionalisti indù sono tornati in voga e tutt'ora costituiscono una componente assai influente del panorama politico.[3]

Attualità

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Con i nazionalisti indù al potere gli ultimi anni sono stati caratterizzati da atti di repressione nei confronti delle minoranze sia religiose che etniche, soprattutto musulmani, cristiani e dalit. Infatti dopo decenni in cui a governare è stato principalmente il Partito del Congresso, ispirato dagli ideali pacifisti e gandhiani, il partito confessionale filo-induista attualmente in carica propone l'ideale di una società per soli indù, lasciando alle altre comunità religiose la scelta tra discriminazione ed esilio qualora decidano di non convertirsi alla fede maggioritaria (Ghar Wapsi). Basti pensare che un ex membro del governo ha affermato che il popolo indù è da considerarsi discendente del dio Rāma, mentre al contrario gli aderenti alle altre religioni sarebbero dei "meticci". Altra affermazione sopra le righe riguarda il matrimonio tra uomini islamici e donne induiste, pratica considerata inaccettabile dalla maggioranza dei nazionalisti indù ma assolutamente consentita dalla legislazione indiana.[4] Il primo ministro in carica Narendra Modi il cui slogan elettorale è: "Prima gli indù", afferma di promuovere semplicemente un ritorno alle origini, ma i suoi oppositori lo accusano di attaccare la laicità dello stato e di alimentare l'islamofobia. Al potere dopo aver vinto le elezioni del 2014 Modi sta plasmando l'India sulla base del nazionalismo indù e più in particolare sull'hindutva. Ulteriore movente che alimenta il risentimento degli islamici verso il suo governo, è dovuto al fatto che nello stato settentrionale dell'Uttar Pradesh, Modi ha fatto costruire un grande tempio dedicato a Rāma proprio presso il luogo in cui nel 1992 era stata abbattuta una moschea risalente al XVI secolo. Pur avendo vinto le elezioni nella tarda primavera del 2024, il Partito del Popolo Indiano di Narendra Modi perde oltre sessanta seggi rispetto alle votazioni precedenti, ritrovandosi costretto a scovare alleati per formare una maggioranza. Indicativo è tra l'altro il fatto che Modi abbia perso il seggio di Faizabad, luogo in cui si trova il tempio dedicato a Rāma che egli stesso ha fatto edificare pochi mesi prima. Ciò testimonia quanto la carta del nazionalismo indù, pur essendo tutt'oggi importante non si sia rivelata abbastanza incisiva per garantire un'ampia maggioranza al suo partito.[5]

  1. ^ Nazionalisti a difesa della tradizione indù, su populismstudies.org.
  2. ^ Il nazionalismo indù e l'hindutva, su theguardian.com.
  3. ^ L'ascesa dei nazionalisti indù, su asianstudies.org.
  4. ^ Persecuzione delle minoranze, su rivistamissioniconsolata.it.
  5. ^ Le elezioni del 2024, su affarinternazionali.it.

Voci correlate

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