Sonia Orbuch

partigiana polacca, superstite dell'Olocausto

Sonia Orbuch, nata Sarah Shainwald (Ljuboml', 24 maggio 1925Corte Madera, 30 settembre 2018), è stata una partigiana, scrittrice e superstite dell'Olocausto polacca naturalizzata statunitense.

Biografia modifica

Sarah Shainwald nacque nel 1925 e crebbe a Ljuboml', allora territorio della Polonia ma oggi appartenente all'Ucraina,[1][2] Ljuboml', secondo il censimento del 1931, contava oltre 3300 abitanti, di cui ben il 94% era di origine giudaica: una delle città polacche con la più alta percentuale di ebrei.[3]

Nel 1939, quando Sarah aveva 14 anni, scoppiò la seconda guerra mondiale. Secondo quando stabilito dal patto Molotov-Ribbentrop, la sua città natale passò sotto il controllo dei sovietici, ma due anni dopo, con l'operazione Barbarossa, i tedeschi la occuparono, costringendo gli ebrei di Ljuboml' a concentrarsi nel ghetto ebraico. Mentre il fratello di Sarah si unì alla resistenza polacca, quest'ultima, rifiutata dai partigiani perché donna, si nascose nella foresta con i suoi genitori e lo zio durante tutto l'inverno del 1942-1943, spostandosi di continuo e soffrendo la fame, il freddo e i pidocchi.[2][4]

Grazie allo zio, che conosceva bene la zona e si offrì di aiutare i partigiani sovietici, Sarah riuscì finalmente ad entrare nella resistenza, cambiando però il suo nome in Sonia.[5] Assieme partigiani compì diversi atti di sabotaggio e di resistenza, venendo poi anche arruolata nell'Armata Rossa nel 1944.[2] Durante questo periodo, però, la madre di Sonia morì di tifo.[2][6] La ragazza si occupò anche dell'assistenza dei feriti, nonostante non avesse ricevuto alcuna formazione medica.[5]

Nel maggio 1945, dopo la fine della guerra, Sonia fece ritorno a Ljuboml', lavorando nel locale ufficio postale.[2] Nello stesso anno sposò l'ex ufficiale di cavalleria polacco Isaak Orbuch, che aveva conosciuto a Chełm subito dopo la fine del conflitto.[2] Sonia faceva parte di quei pochissimi cittadini di Ljuboml, 50 per l'esattezza, che erano riusciti a sopravvivere all'Olocausto, su una popolazione stimata di quasi 8000 ebrei (di questi, 4500 erano rifugiati provenienti dalla Polonia occidentale).[5] Sonia e il marito soggiornarono per qualche anno presso il campo profughi di Zeilsheim, vicino a Francoforte sul Meno, in Germania, dove la ragazza diede alla luce una bambina. In seguito, nel febbraio 1949, la famiglia si trasferì a New York, dove nacque il secondogenito Paul.[2][5] Infine, andarono ad abitare nel nord della California.[2]

Nel 2009 pubblicò la sua autobiografia Here, There Are No Sarahs: A Woman's Courageous Fight Against the Nazis and Her Bittersweet Fulfillment of the American Dream, della quale fu co-autrice assieme a Fred Rosenbaum.

Prima di morire, la Orbuch rifletté sul fenomeno della resistenza ebraica: "Era possibile per chiunque combattere, fuggire nella foresta e sopravvivere? No, non lo era. Mio fratello non sopravvisse, mio zio neppure" ma nonostante ciò, Sonia era convinta che "ogni persona internata nel ghetto combattesse alla propria maniera".[1]

Sonia Orbuch morì il 30 settembre 2018.[1]

Opere modifica

  • Here, There Are No Sarahs: A Woman's Courageous Fight Against the Nazis and Her Bittersweet Fulfillment of the American Dream. Gatekeeper Press, Columbus, 2009. ISBN 978-1-57143-130-1 (con Fred Rosenbaum)

Note modifica

  1. ^ a b c Sonia Orbuch, su Jewish Partisan Education Foundation.
  2. ^ a b c d e f g h Sonia Orbuch's Biography, su Facing History and Ourselves.
  3. ^ Andrzej Gawryszewski, Distribuzione della popolazione ebraica in Polonia nel 1921 e nel 1931 (PDF), Varsavia, Polish Academy of Sciences, 2005, p. 282 (44/80 in PDF) (archiviato dall'url originale il 22 novembre 2009).
  4. ^ Sonia Orbuch obituary. The Times, 31 ottobre 2018.
  5. ^ a b c d Sonia Orbuch, Bay Area woman who fought Nazis as a girl, dies at 93. Carl Nolte, San Francisco Chronicle, 9 ottobre 2018
  6. ^ Tim Cole, Holocaust Landscapes, Londra, Bloomsbury, 2016, p. 52, ISBN 978-1-4729-0688-5.

Collegamenti esterni modifica

Controllo di autoritàVIAF (EN90586143 · ISNI (EN0000 0000 8454 3643 · LCCN (ENno2009099039 · J9U (ENHE987007312375205171 · WorldCat Identities (ENlccn-no2009099039