Battaglia di Mentana: differenze tra le versioni

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==L'invasione del Lazio==
L'invasione degli Stati Pontifici era imminente. Il 21 settembre 1867 il presidente del consiglio [[Rattazzi]] fece pubblicare sulla «[[Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia|Gazzetta Ufficiale]]» un monito con cui si esortavano gli italiani a rispettare l'integrità territoriale pontificia e non violare la frontiera. Ogni tentativo di sconfinamento sarebbe stato impedito. In visita ad [[Arezzo]], Garibaldi reagì chiamando all'appello i volontari per la conquista di Roma. Due giorni dopo, il generale nizzardo programmò di lasciare [[Sinalunga]] e spostarsi verso il confine, ma il prefetto di [[Perugia]] ne ordinò l'arresto. Il tenente Pizzuti, della luogotenenza d'[[Orvieto]], si presentò alle ore 6 del 23 settembre presso l'abitazione di Garibaldi. Il generale, che stava ancora dormendo, non oppose resistenza. Salì sul treno e fu scortato fino ad Alessandria. Alla notizia dell'arresto, si verificarono tumulti in alcune città d'Italia. Garibaldi espresse il desiderio di essere trasferito a Caprera, il governo acconsentì.
 
La detenzione del generale tuttavia non eliminò la minaccia dell'invasione dello Stato Pontificio, infatti il 5 ottobre alcuni volontari raggiunsero [[Bagnoregio|Bagnorea]] barricandosi nel convento di San Francesco. La settimana successiva ci furono ulteriori sconfinamenti a [[Viterbo]] e [[Montelibretti]]. Non riuscendo le truppe italiane ad arginare il fenomeno, [[Napoleone III]] annunciò l'imminente invio di un corpo di spedizione francese. Ma il governo italiano, nell'estremo tentativo di evitare questa eventualità, promise di prodigarsi ulteriormente contro i volontari. La situazione precipitò il 16 ottobre quando Garibaldi evase da Caprera presentandosi qualche giorno dopo a [[Firenze]], in [[piazza Santa Maria Novella]] arringando la folla. La situazione era sfuggita di mano alle autorità italiane<ref>{{cita| A. Battaglia|pp.97-99}}.</ref>.