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La riforma della Chiesa dell'XI secolo fu un rinnovamento della Chiesa cattolica o, più precisamente, della Chiesa latina, attuato in Europa nel corso dell'XI secolo la cui eco si propagò nei secoli successivi. I diversi protagonisti del movimento riformatore tentarono di affrontare problemi della Chiesa ritenuti tra i più gravi, soprattutto nell'ambito dei rapporti del clero con le autorità politiche e con il resto della società. L'esito principale di questa riforma fu l'affermazione dell'autonomia ecclesiastica sul potere temporale, l'accrescimento del potere e del prestigio del papato e l'imposizione di una struttura teocratica alla cristianità medievale.
Fin dall'epoca carolingia i vescovi e gli abati erano stati impiegati nella gestione del potere pubblico, un coinvolgimento cresciuto a seguito della disgregazione dell'autorità centrale avvenuta nel corso della prima metà del X secolo. Tale situazione aveva inciso profondamente sulla moralità degli ecclesiastici, mentre il papato appariva pesantemente indebolito e succube della nobiltà romana, con fenomeni quali la simonia o il nicolaismo erano divenuti oramai consuetudinari. Come risposta, nacquero alcuni movimenti che miravano al ripristino del prestigio e dell'autonomia della Chiesa: le prime avvisaglie si ebbero nel mondo monastico con la fondazione, intorno al 909, dell'abbazia di Cluny che dette vita alla cosiddetta "riforma cluniacense".
Fondamentale per la riforma fu il sostegno dell'imperatore Enrico III il Nero. Intervenuto al concilio di Sutri del 1045, convocato in una situazione di forte crisi del papato, fece nominare come nuovo pontefice il tedesco Suidgero a cui seguirono altri papi provenienti d'Oltralpe. Con tale politica venne sottratta l'elezione papale al controllo dell'aristocrazia romana preferendo la nomina di personalità di alto valore morale appartenenti alla Reichskirche che permisero il propagarsi degli ideali riformistici. Con la morte di Enrico, l'influenza della corte tedesca sul papato venne messa in crisi, malgrado negli anni successivi si assistette a un'intensificazione del processo di riforma: venne affermato il primato della Santa Sede sui vescovi e sul clero, rivendicate le prerogative della Chiesa nei confronti delle autorità civili, combattute la simonia e il nicolaismo. Il pontificato di papa Gregorio VII, fervente sostenitore della riforma e del primato papale fu caratterizzato da uno scontro, conosciuto come "lotta per le investiture", contro il giovane Enrico IV. Per il ruolo di primo piano giocato da Gregorio VII nella riforma, questa venne conosciuta anche come riforma gregoriana, un termine spesso utilizzato, con una specie di sineddoche, per designare tutti gli interventi di questa azione riformatrice dell'XI secolo.
A seguito di tutto ciò, la Chiesa cattolica mutò sostanzialmente assumendo un modello monarchico gerarchicamente strutturato in modo verticistico. Dalla riforma derivò anche una nuova organizzazione del clero ancora in vigore agli inizi del XXI secolo, basata sul celibato e sulla netta separazione tra laici ed ecclesiastici. Oltre ai papi e agli imperatori, la riforma dell'XI secolo ebbe come protagonisti anche diversi teologi che fornirono le giustificazioni dottrinali al movimento e al rafforzamento della figura del pontefice.