Utente:Alfonso Capriolo/Sandbox

Questa è la proposta di una nuova voce dedicata ad Amato Vittorio Tiraboschi, vice-comandante e poi comandante della V° Brigata Garibaldi delle Marche con il nome di battaglia "Primo", azionista e poi socialista, oggetto di scontro, per il ruolo rivestito, tra comunisti ed azionisti alla vigilia della liberazione delle Marche, destituito dal suo ruolo di comandante da Alessandro Vaia, inviato dalla Direzione nazionale delle Brigate Garibaldi a "commissariare" l'organizzazione resistenziale delle Marche, coadiuvato da tutta la struttura dirigenziale del PCdI marchigiano, sulla base di accuse calunniose poi rivelatesi inconsistenti, a seguito del giudizio di una commissione d'inchiesta voluta e pretesa proprio da Tiraboschi, nominata dal CLN marchigiano subito dopo la liberazione.

Pur "riabilitato", Tiraboschi è comunque rimasto ignorato dalla storiografia resistenziale marchigiana, anche a causa della sua prematura scomparsa.

Avevo pubblicato il testo provvisorio della nuova voce, che è stata cancellata in quanto ritenuta in violazione del copyright di tre siti internet.

Le note biografiche su Amato Vittorio Tiraboschi mi sono state fornite da uno dei suoi due figli, Franco Tiraboschi, il quale le ha fornite anche a Roberto Lucioli, curatore degli archivi dell'Istituto per la storia del movimento di liberazione nelle Marche, ora Istituto di Storia Marche, al quale Tiraboschi ha pure donato gli archivi del padre e della madre, Fernanda Paci, anch'essa partigiana ed esponente di spicco del socialismo anconetano.

Dallo studio di detti documenti Roberto Lucioli e Simone Massacesi, altro ricercatore del predetto Istituto, hanno recentemente dato alle stampe il volume "Il caso Tiraboschi. Politica e guerra di liberazione nella Resistenza marchigiana", Ancona, Affinità elettive, 2015, da me citato, nel quale, pur ricostruendo il contesto della vicenda della destituzione di Amato Tiraboschi, gli autori focalizzano l'attenzione appunto sul "caso", senza illustrare il ruolo svolto, pur nel breve periodo di durata della lotta partigiana nelle Marche (settembre 1943 - agosto/settembre 1944), dal comandante "Primo" nella direzione della Brigata Garibaldi.

Pertanto, le predette note biografiche sono identiche a quelle pubblicate dal suddetto Roberto Lucioli nel sito http://www.metarchivi.it/biografie/p_bio_vis.asp?id=848.

Provvederò a parafrasarle, ma, se ho ben capito le regole di Wikipedia, ciò non sarebbe sufficiente, a meno che, come io ritengo, in questo caso non sussiste un diritto di copyright da parte del Lucioli, ma semmai di Franco Tiraboschi, dal quale, se necessario, posso farmi rilasciare una piena liberatoria.

Quanto al contenuto dei siti http://www.partitocomunista.marche.it/una-storia-di-guerra/ e http://www.lorenzopaciaroni.com/sanseverino-1943-1944-una-storia-di-guerra/, di cui è autore il prof. Raoul Paciaroni, essi costituiscono un breve riassunto del suo più corposo saggio "Una lunga scia di sangue. La guerra e le sue vittime nel Sanseverinate (1943-1944)", Hexagon Edizioni, Sanseverino Marche, 2014, pagg.83-85. Il contenuto del volume è stato rilasciato dall'autore in Creative Commons (CC BY-NC-ND 4.0 - condizioni di utilizzo) ed è scaricabile gratuitamente in formato pdf dal link http://www.unalungasciadisangue.it/unalungasciadisangue.pdf

Ritengo pertanto di poter citare liberamente brani del predetto volume, anche quando coincidono con il contenuto dei blog, essendo di provenienza dallo stesso autore e dallo stesso saggio.

Ecco il testo, ancora non defenitivo, sul quale chiedo agli utenti registrati di dare il proprio contributo, anche prima della pubblicazione.

Grazie

Alfonso Maria Capriolo

Amato Vittorio Tiraboschi (Torino di Sangro, 4 febbraio 1889Ancona, 4 gennaio 1948) è stato un ingegnere, partigiano e politico italiano.

Cenni biografici

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Laureato in ingegneria, sposa nel 1935 Fernanda Paci[1] (nata a Faenza (RA), il 27 marzo 1912, morta ad Ancona il 12 settembre 2012), conosciuta durante gli studi universitari a Bologna.

Il suocero Armando Paci, tra i più accesi oppositori del regime fascista a Faenza, era stato licenziato dalle ferrovie. Si trasferì pertanto a Jesi, dove subito era entrato in contatto con gli ambienti antifascisti locali.

La famiglia Tiraboschi a sua volta si spostava per l'Italia, seguendo gli impegni professionali di Amato, ingegnere dipendente dell'impresa di costruzioni Bassanini di Milano, per la quale curava la progettazione e la direzione dei lavori di importanti cantieri.

La famiglia intanto s'ingrandisce, con la nascita dei figli Franco e Angelo, quest'ultimo nato a Jesi, presso i nonni materni.

Nel 1942 i Tiraboschi sono a Firenze, dove Amato è impegnato a seguire la realizzazione di uno stabilimento di resine termiche per conto della società Montecatini.

Agli inizi del 1943, con l'aggravarsi della situazione dovuta alla guerra, Amato trasferisce la sua famiglia nella più tranquilla Jesi, rassegnandosi a fare il pendolare tra la Toscana e le Marche; nell'estate del 1943 decide di dare concretezza al suo antifascismo aderendo al Partito d'Azione, lascia il lavoro alla Bassanini e raggiunge definitivamente la famiglia a Jesi.

L'impegno nella Resistenza

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Qui, grazie ai rapporti tessuti dal suocero, entra subito in contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale di Jesi; dopo l'8 settembre entra nella clandestinità assumendo il nome di battaglia di "Primo".

Armando Paci presenta Amato a Gino Tommasi, il comandante "Annibale", il principale animatore dell'attività di organizzazione del movimento clandestino di resistenza nelle Marche. Ufficiale della Territoriale durante la prima guerra mondiale, già il 9 settembre 1943, per incarico della Concentrazione antifascista di Ancona, prende contatto con le autorità militari locali, per indurle ad organizzare la difesa della città contro i tedeschi o, quanto meno, a distribuire le armi alla popolazione, ma inutilmente. Comunista, figura carismatica, capace, grazie alle sue doti di esperienza umana e politica, di comporre i dissidi fra le varie componenti dell'antifascismo locale, viene incaricato dal Comitato di Liberazione Nazionale della provincia di Ancona e delle Marche di organizzare la lotta partigiana come responsabile “militare” del movimento di resistenza, inquadrando le varie bande che si erano costituite spontaneamente nel territorio marchigiano nella Guardia Nazionale partigiana[2], divenuta poi la V° Brigata Garibaldi delle Marche.

Pertanto, "Annibale" organizza riunioni nelle altre province marchigiane, prendendo contatti con i comandanti delle varie formazioni, tenta di coinvolgere nella lotta di Resistenza gli ex-ufficiali del Regio Esercito che tuttavia preferiscono attendere gli ordini del ricostituendo Esercito italiano del Regno del Sud (da cui la loro qualificazione come “attendisti”), cerca di individuare nuovi patrioti da inserire nell'organizzazione partigiana.

Tommasi è favorevolmente impressionato dalla disponibilità di Amato Tiraboschi ad impegnarsi da subito nell'azione antifascista e lo incarica, d'intesa con il CLN jesino, di costituire, assieme ad Alfredo Ponzetti e a Bruno Serrani, i primi gruppi di Resistenza nella Vallesina.

Il 14 gennaio 1944 si tiene a Castelferretti di Falconara una importante riunione del CLN regionale, alla quale partecipano anche due ufficiali in missione inviati dal Governo del sud. Per evitare pericolose confusioni tra l'organizzazione partigiana della "Guardia nazionale" e la nuova struttura della Guardia Nazionale Repubblicana, identificata con la sigla G.N.R., creata l'8 dicembre 1943 dalla Repubblica di Salò[3],

Gino Tommasi viene confermato comandante della V° Brigata Garibaldi delle Marche, nomina Tiraboschi vice comandante della brigata, decisione che viene ratificata dal CLN[4]. Si determina così un assetto di equilibrio nell'organizzazione partigiana marchigiana: si stabilisce,

Purtroppo Tommasi viene arrestato nel febbraio del 1944.

Tiraboschi gli subentra al comando. E' un momento di grave impegno delle formazioni partigiane marchigiane: i militari tedeschi si apprestano a fronteggiare l'attacco delle truppe alleate nella prossima primavera-estate, che porterà alla progressiva liberazione di tutte le Marche. Pertanto, essi hanno la necessità di mantenere sgombre le principali vie di comunicazione stradale, per consentire un veloce spostamento dei reparti nei punti di difesa ed il loro successivo ripiegamento, fino a posizionarsi al di là della Linea Gotica. Quindi, iniziano, assieme ai militi fascisti della Guardia Nazionale Repubblicana, un'opera di sistematico rastrellamento delle zone presidiate dai partigiani, che spesso riescono a disimpegnarsi, ma talvolta sono costretti ad impegnarsi in battaglia, con rilevanti perdite di uomini e materiali. I tedeschi ed i loro alleati fascisti si macchiano inoltre di criminose azioni di rappresaglia contro le popolazioni inermi, con incendi di case e fattorie e numerose fucilazioni di civili.

Tiraboschi insedia il comando della Brigata Garibaldi Ancona a S. Vittore di Cingoli e, da lì, sovrintende all'attività delle varie bande presenti nel territorio, specie quelle del Monte San Vicino (Matelica, Poggio San Vicino, Porcarella[5], Apiro, San Severino Marche, Cingoli).

L'evento militare più importante che il comandante "Primo" si trova a dovere fronteggiare è sicuramente quello della cosiddetta battaglia di Valdiola[6] e Chigiano[6], combattuta il 24-25 marzo 1944 sulle alture tra Matelica e San Severino Marche lungo un fronte di ben dieci Km, nell'unico scontro tra nazifascisti e partigiani in Italia centrale a “truppe schierate”.

I nazifascisti intendono annientare una volta per tutte il Battaglione "Mario", formazione partigiana creata e comandata dall'istriano Mario Depangher, ex-internato antifascista a San Severino Marche, insediata a Valdiola.

Così il comandante Mario Depangher ha raccontato, dal proprio punto di vista, lo svolgimento della battaglia:

"... ma in marzo, la notte stessa, si verifica il primo lancio di rifornimenti, e precisamente il 24, e siamo informati, purtroppo con inspiegabile ritardo, che dovremo subire un forte attacco. E questo si snoda quasi all’improvviso, quando gli uomini migliori ed i comandanti più in gamba sono appena rientrati stanchissimi per la lunga marcia, carichi dell’importante rifornimento lanciato via aerea. Non è, lo si sente subito, uno dei soliti attacchi, molto baccano per nulla; è invece un vero attacco di marca tedesca che deve essere stato studiato ed attuato nei minimi particolari; fra l’altro gli uomini rientrati dalla corvée dei rifornimenti per via aerea, riferiscono di aver notato frecce rosse segnate sui muri e su piante, che il giorno prima non c’erano. Evidentemente sono segnali di direttive di marcia, tracciati da spie al servizio dei tedeschi. Staffette sono avviate a portare l’allarme ai piccoli posti, questi sono rinforzati... se tutto andrà bene, è difficile che riescano a spuntarla.

Le prime notizie delle vedette avanzate sono preoccupanti, si tratta di un attacco in forza di SS tedesche e di MM italiani; hanno mortai, mitragliatrici pesanti e leggere, pare siano complessivamente circa 2.000.

La banda è di 200 uomini in tutto e purtroppo ci sono giovani del '24 e del '25 che non hanno pratica di guerriglia e che non sono istruiti alla perfezione; ne ordino il ritiro, tenendoli in riserva, lontani dal fuoco, ma non si fa in tempo ad avvertirli tutti. Alle due di notte ha inizio l’attacco ed è chiaro fin dalla prima battuta che il nemico è ben informato e si muove guidato da uomini praticissimi dei posti. Molteplici le direttive di marcia dei nazi-fascisti; le SS tedesche partite da Matelica, puntano su Braccano[7], Vinano, Gagliole, quelle partite da Castelraimondo si dirigono su Gagliole Acquosi. I fascisti invece muovono all’attacco su Ugliano[6], Chigiano, S. Elena[6], Corsciano[6].

Il Battaglione occupa Valdiola con forti distaccamenti a Roti[7], sulle alture dominanti S. Elena e sul monte di Ugliano.

L’azione condotta in grande stile tende evidentemente all’accerchiamento di Valdiola; ma le nostre posizioni, se gli uomini tengono duro, possono resistere ad oltranza, purtroppo dopo alcune ore di combattimento quella che era la più sicura, Roti, pare si sgretoli; mando subito un valorosissimo, il cap. Valerio[8], con alcuni uomini, ma, raggiunta la posizione, mentre tenta di riorganizzare gli uomini, cade colpito a morte e verso le ore sei i tedeschi occupano Roti che si riteneva assolutamente imprendibile: si verrà poi ad accertare una negligenza del comandante del gruppo.

Con la presa di Roti la situazione del Battaglione si può fare critica, si corre serio pericolo di essere accerchiati ed annientati. D’accordo con i capi-gruppo ed avvertito che le bande viciniori si muovono per portarci rinforzo, ordino di partire energicamente al contrattacco su tutti i settori, abbandonando Valdiola e ritirando i distaccamenti sui monti circostanti: si deve, saggiando con violente azioni di fuoco delle armi automatiche pesanti e con improvvisi attacchi ravvicinati con bombe a mano e mitra, accertare il punto più debole del nemico e tentarne lo scardinamento, avvisando a mezzo staffetta le bande che vengono in aiuto, perché dall’esterno convergano i loro sforzi sul punto stesso.

Il contrattacco ha inizio verso le ore 8 del mattino e si sviluppa con ininterrotta azione di fuoco fino alle 17: tutti gli uomini del Battaglione sono impegnati e tutti i partigiani compiono, con piena consapevolezza della situazione, bravamente il loro dovere. Dalle nostre posizioni dominanti e con gli attacchi improvvisi a distanza ravvicinata infiggiamo gravi perdite al nemico che, alle 17 circa, desiste dall’impresa e si ritira, mentre il Battaglione, ripartito in piccole squadre, aveva già iniziato lo sganciamento ripartendosi in varie direzioni: Elcito[6], Frontale[9], Stigliano[6], S. Elena, Martinelli[6], Serripola[6].

Il giorno successivo, 25 marzo, procedo a mezzo di staffette all’appello del Battaglione: 11 mancanti, cinque morti in combattimento e 6 caduti prigionieri e barbaramente soppressi sul ponte di Chigiano, dall’alto del quale gettati ancora agonizzanti nel sottostante torrente fiume Musone.

Ma, oltre i morti del Battaglione, i nazi-fascisti hanno voluto altre vittime ed hanno giustiziato il parroco[10] di Braccano[7], la sorella e tre contadini: uno di Braccano e due di Valdiola. Per di più hanno dato alle fiamme 4 case a Valdiola, nei pressi di una delle quali avevamo dovuto lasciare parte del materiale lanciatoci nella notte precedente dall’aereo alleato, e 3 a Roti. Le perdite inflitte al nemico sono di oltre 100 uomini: 32 morti, tra i quali il comandante della spedizione" (Mario Depangher, Il Gruppo Mario, p. 259).[11]"

Comprensibilmente il comandante Mario Depangher era portato a esaltare il ruolo svolto dai suoi uomini, senza evidenziare il decisivo aiuto ricevuto da altre formazioni partigiane, magari di diverso colore politico, come il gruppo "Agostino", stanziato tra la Porcarella, oggi Poggio San Romualdo[5] e Cerreto d'Esi.

Il bilancio della battaglia è, per i partigiani, di una quindicina, tra morti e dispersi, di oltre cento i caduti e feriti tedeschi e fascisti, anche se di quest'ultimo dato non vi è alcun riscontro documentale.

Lo scontro fu percepito dai partigiani come un grosso successo, in quanto i nazifascisti, prima baldanzosi, furono comunque costretti ad abbandonare il campo recando con sé morti e feriti, e si dimostrò l'efficienza del sistema di comunicazione fra le varie formazioni partigiane.

"L’azione si sviluppò su più teatri coinvolgendo l’insieme delle forze della Brigata Ancona, con lo stesso comandante Amato Tiraboschi (“Primo”), portatosi sul posto a dirigere le operazioni. Senza il sostegno determinante di questi distaccamenti la battaglia si sarebbe conclusa diversamente e non ci sarebbe stato il ripiegamento dei nazifascisti."[12].

I contrasti in seno al CLN anconetano tra comunisti e azionisti sulla questione dei commissari politici e sulla nomina di Alessandro Vaia a comandate della Divisione Garibaldi Marche, disposta dalla direzione nazionale delle Brigate Garibaldi senza sentire il CLN marchigiano, sfociarono ai primi di giungo del 1944 nella sostituzione di Tiraboschi[13] con Remo Corradi, un ufficiale proveniente dall'O.P.M.C. (Organizzazione patriottica militare clandestina) sorta nella zona di Osimo e costituita da ufficiali dell'esercito regio, mantenutisi fino a quel momento su posizioni di attesa.

L'impegno politico

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Dopo la Liberazione, Tiraboschi ricopre l'incarico di direttore regionale e poi provinciale, del neo costituito Ente per l'assistenza postbellica.

Allo scioglimento del Partito d'Azione nel 1947 entra, assieme alla moglie Fernanda Paci, nel Partito Socialista Italiano.

Muore ad Ancona il 4 gennaio 1948.

  1. ^ E' morta Fernanda Tiraboschi, bandiera del socialismo dorico, in Il Resto del Carlino, 12 settembre 2012. URL consultato il 31 marzo 2016.
  2. ^ La Guardia Nazionale fu così chiamata con riferimento ai patrioti difensori della Repubblica romana del 1849; infatti, i partigiani identificavano la loro lotta contro gli invasori tedeschi ed i loro accoliti fascisti come un “secondo Risorgimento”. cfr. Umberto Carpi, primo al secondo Risorgimento, ANPI - su www.anpi.it.
  3. ^ Nella G.N.R. confluirono, allo scopo di sopprimere l'autonomia dell'Corpo dei Reali Carabinieri, ritenuto troppo legato a casa Savoia e responsabile dell'arresto di Mussolini, oltre agli ex-Regi Carabinieri, anche i membri della Milizia e della Polizia dell'Africa Italiana.
  4. ^ cfr. Ruggero Giacomini, Ribelli e partigiani. La Resistenza nelle Marche 1943-1944, Ancona, Affinità elettive, 2005, pagg.83-85
  5. ^ a b località montana nel territorio del comune di Fabriano
  6. ^ a b c d e f g h i località montana nel territorio del comune di San Severino Marche
  7. ^ a b c località montana nel territorio del comune di Matelica
  8. ^ Medaglia d'oro al valor militare alla memoria
  9. ^ località montana nel territorio del comune di Apiro
  10. ^ Si tratta di Don Enrico Pocognoni, che aveva avvertito i partigiani del rastrellamento suonando le campane della sua chiesa. Cfr. 23-24 Marzo 1944 – La battaglia di Chigiano e la fucilazione di Don Enrico Pocognoni, in sito ufficiale ANPC Nazionale, 23 marzo 2014. URL consultato il 21 aprile 2016.
  11. ^ Cfr. Raoul Paciaroni, Una lunga scia di sangue. La guerra e le sue vittime nel Sanseverinate (1943-1944), Hexagon Edizioni, Sanseverino Marche, 2014, pagg.108-109. Il contenuto del volume è rilasciato in Creative Commons (CC BY-NC-ND 4.0 - condizioni di utilizzo) ed è scaricabile gratuitamente in formato pdf dal link http://www.unalungasciadisangue.it/unalungasciadisangue.pdf
  12. ^ Raoul Paciaroni, Una lunga scia di sangue. La guerra e le sue vittime nel Sanseverinate (1943-1944), Hexagon Edizioni, Sanseverino Marche, 2014, pagg.83-85.
  13. ^ Roberto Lucioli e Simone Massacesi, Il caso Tiraboschi. Politica e guerra di liberazione nella Resistenza marchigiana, Ancona, Affinità elettive, 2015

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