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Microcaris Pinna 1974
Fossile di MIcrocaris, dal Triassico superiore di Zogno (Bergamo)
Intervallo geologico
Triassico superiore
Stato di conservazione
Fossile
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
SottoregnoEumetazoa
RamoBilateria
SuperphylumProtostomia
PhylumArthropoda
ClasseThylacocephala
Pinna et al., 1982
OrdineConcavicarida

Microcaris è un genere estinto di artropodi appartenenti alla classe Thylacocephala, di affinità incerta ma probabilmente relazionati con i crostacei, del Triassico medio-superiore). Il genere è stato istituito originariamente da fossili rinvenuti in sedimenti marnoso-argillosi del Triassico superiore (Norico), provenienti dai dintorni di Cene (Val Seriana, Bergamo), da studiosi del Museo civico di storia naturale di Milano.

Descrizione

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Olotipo di Microcaris minuta Pinna 1974, la specie su cui è stato istituito il genere Microcaris (originariamente attribuito ai Phyllocarida). Principali elementi morfologici.

Come tutti i tilacocefali, Microcaris è caratterizzata da un carapace, sottile e non mineralizzato, a due valve unite sul lato dorsale; il carapace, essendo la parte dell'organismo più resistente, spesso è il solo elemento che si fossilizza (di solito in norma laterale). In questo caso il carapace è di piccole dimensioni (tipicamente meno di 2 cm di lunghezza per un'altezza intorno al centimetro, da cui il nome generico e specifico), con forma sub-trapezoidale allungata, con margine anteriore quasi retto e margine dorsale debolmente convesso che nel terzo posteriore piega verso il basso formando una leggera gibbosità; margine posteriore breve, da concavo a sub-rettilineo, che si raccorda con angoli netti ai margini dorsale e ventrale. Margine inferiore (ventrale) del carapace più o meno convesso. Il raccordo tra il margine anteriore e quello dorsale è caratterizzato da un rostro allungato e ben sviluppato, più o meno pendente in avanti, talora con una debole carena dorsale, che sovrasta un incavo oculare. La superficie esterna del carapace è interessata da un'ornamentazione a sottili strie evanescenti sub-verticali con andamento debolmente curvilineo. Nel materiale fossile disponibile non sono conservati altri elementi tipici del gruppo come il cephalon, caratterizzato da occhi composti ipertrofici, e la appendici raptatorie[1].[2]

Modo di vita

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I tilacocefali sono organismi marini. Sono stati interpretati originariamente (anni 1980 del secolo scorso) sulla base dei fossili del giacimento fossilifero tipo konservat-lagerstätte di Osteno sui quali è stata istituita la classe, nei quali la scarsa preservazione non permetteva il riconoscimento diretto di molti dettagli anatomici; a causa del mancato riconoscimento della presenza degli occhi e della misinterpretazione di vari dettagli anatomici, erano ritenuti organismi poco mobili (in origine addirittura sessili), detritivori filtratori, ciechi).[3] Nel corso degli ultimi quaranta anni, in cui questi organismi sono stati riconosciuti e studiati in numerosi contesti stratigrafici e tafonomici, con conservazione anche migliore, sono stati rilevati numerosi elementi che hanno, portato ad una revisione sostanziale dei caratteri morfologici del gruppo e del loro possibile stile di vita. La maggioranza degli studiosi considera oggi i tilacocefali come sicuramente carnivori predatori o necrofagi, necto-bentonici o nectonici, adattati a condizioni di fondali a elevata profondità e in condizioni di scarsa ossigenazione.[4] Gli esemplari su cui è stato istituito il genere vengono dalla formazione del Calcare di Zorzino, dal Triassico superiore (Norico del Bacino Lombardo, un bacino tettonico di rift riempito da sedimenti fini ricchi di materia organica.

  1. ^ Le appendici raptatorie sono frequenti nelle forme predatrici degli artropodi, con la funzione di afferrare la preda e portarla all'apparato boccale. Generalmente sono costituite da una cuticola ispessita e sclerificata, e sono provviste di elementi appuntiti e taglienti (spine) per trattenere e smembrare la preda. Esempi tipici sono le "zampe" anteriori delle mantidi e, tra i crostacei, delle canocchie.
  2. ^ Charbonnier et al. (2010), pp. 117-121.
  3. ^ Pinna et al. (1982), pp. 478-480.
  4. ^ Charbonnier et al. (2010), pp. 117-121.

Bibliografia

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Collegamenti esterni

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