Diamond contro Chakrabarty

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Sidney A. Diamond contro Ananda Mohan Chakrabarty (1980) fu la sentenza con cui la Corte suprema degli Stati Uniti diede per la prima volta il permesso di brevettare organismi geneticamente modificati.

Diamond v. Chakrabarty
Diamond contro Chakrabarty
TribunaleCorte suprema degli Stati Uniti d'America
Caso447 U.S. 303 100 S. Ct. 2204; 65 L. Ed. 2d 144; 1980 U.S. LEXIS 112; 206 U.S.P.Q. (BNA) 193
Data17 marzo 1980; 44 anni fa
Sentenza16 giugno 1980; 43 anni fa
GiudiciWarren E. Burger (Presidente della Corte) William Brennan. · Potter Stewart · Byron White · Thurgood Marshall · Harry Blackmun · Lewis F. Powell Jr. · William Rehnquist · John P. Stevens
Opinione del caso
Microorganisimi viventi generati dall'uomo sono elementi che rientrano nel termine di "manufatti" e "composizioni di materia" descritti nel Patent Act del 1952. Il fatto che questi esseri siano vivi non influisce sulla possibilità che vengano brevettati. La decisione della Court of Customs & Patent Appeals è confermata.
Leggi applicate
Patent Act of 1952 sezione 101, titolo 35

Il caso modifica

Nel 1972 il microbiologo di origine indiana Ananda Mohan Chakrabarty, che lavorava per il centro di ricerca e sviluppo della General Electric, realizzò un batterio geneticamente modificato derivato dal genere Pseudomonas in grado di degradare e scomporre le molecole dei componenti del petrolio. Lo scopo era quello di favorire un processo biochimico per la bonifica di aree inquinate da idrocarburi. Chakrabarty presentò una domanda all'ufficio brevetti statunitense nella quale erano presenti tre richieste di brevetto: la prima verteva sul processo di produzione del batterio, la seconda sull'inoculo in grado di galleggiare, la terza sul batterio vero e proprio.[1]

L'ufficio brevetti accolse le prime due richieste ma non approvò la terza basandosi sul fatto che i microrganismi erano da considerarsi prodotti della natura e che, ai sensi della legislazione sui brevetti industriali, la materia vivente non era brevettabile.[1] In realtà negli Stati Uniti esisteva già una storia di brevetti riguardanti esseri viventi, tra cui quello concesso nel 1873 a Louis Pasteur sul processo per la produzione di lievito di birra che descriveva anche il lievito ottenuto tramite il processo.[2]

In seguito la Sezione di appello dell'ufficio brevetti (Patent Office Board of Appeals) confermò la decisione argomentando che la legge sui brevetti industriali non poteva riguardare la materia vivente e quindi nemmeno un microrganismo sia pur creato in laboratorio. Quindi, dopo un ulteriore appello di Chakrabarty e della General Electric, la Corte di appello dei brevetti (Court of Customs and Patent Appeals) rovesciò la decisione, sulla base di una precedente sentenza secondo cui il fatto che i microrganismi fossero vivi era da considerarsi senza importanza legale ai fini della brevettabilità. Il nodo della questione riguardava la brevettabilità dei microrganismi secondo la sez. 101, titolo 35 del Codice degli Stati Uniti secondo cui «Chiunque inventi o scopra un processo, una macchina, un manufatto o una composizione di materia, che abbiano il requisito della novità e dell'utilità, può ottenere un brevetto [...].»[3] Si trattava quindi di stabilire se un microrganismo prodotto in laboratorio fosse considerabile un "manufatto" o "una composizione di materia" secondo la definizione del codice.[1]

Il caso arrivò alla Corte suprema degli Stati Uniti d'America il 17 marzo 1980. Il 16 giugno dello stesso anno fu emessa la sentenza, con 5 voti a favore contro 4, che confermò la brevettabilità del batterio prodotto da Chakrabarty. Nella sentenza la corte motivò:[4]

(EN)

«[...] the patentee has produced a new bacterium with markedly different characteristics from any found in nature, and one having the potential for significant utility. His discovery is not nature's handiwork, but his own; accordingly it is patentable subject matter under § 101.»

(IT)

«[...] il titolare del brevetto ha prodotto un nuovo batterio con caratteristiche nettamente diverse da qualsiasi altro presente in natura e con un potenziale di utilità significativa. La sua scoperta non è opera della natura, ma sua; di conseguenza è oggetto di brevetto ai sensi della sez. 101.»

La corte riconobbe la rilevanza dell'intervento umano nell'oggetto del brevetto, il fatto che l'oggetto del brevetto non fosse ritrovabile in natura e i suoi potenziali utilizzi positivi.[4] La sentenza, dopo 8 anni di vicende giudiziarie, costituì una svolta nella storia brevettuale statunitense che influenzò anche l'Europa.[5]

Le conseguenze modifica

La sentenza di fatto aprì la possibilità di considerare la vita come servizio e bene commerciabile. In seguito, a causa di questa sentenza, le società di genomica e di biotecnologie poterono iniziare a brevettare singoli geni che costituiscono la struttura della mappa umana.

Note modifica

  1. ^ a b c Fonte, p. 66.
  2. ^ I brevetti biotecnologici – un caso particolare?, su I brevetti biotecnologici: un tema controverso, Science et Cité. URL consultato il 19 ottobre 2022 (archiviato dall'url originale il 9 febbraio 2006).
  3. ^ (EN) 35 U.S. Code § 101 - Inventions patentable, su Cornell Law School. Legal Information Institute. URL consultato il 19 ottobre 2022 (archiviato il 14 ottobre 2022).
  4. ^ a b (EN) Diamond v. Chakrabarty, 447 U.S. 303 (1980), su Justia. U.S. Supreme Court, 17 marzo 1980 (archiviato il 21 settembre 2022).
  5. ^ Fonte, p. 45.

Bibliografia modifica

Voci correlate modifica