Forma (filosofia)

concetto filosofico

In filosofia il termine forma è solitamente contrapposto a materia o contenuto. Il concetto risale alla filosofia greca antica che usa i termini μορφή (morphé, forma sensibile), σχήμα (skhēma, modo in cui una cosa si presenta), είδος (èidos, forma intelligibile).

Platone ed Aristotele modifica

Aristotele nel I libro della Metafisica (987b sgg.) attribuisce a Platone, anche se già i pitagorici e gli eleati lo avevano parzialmente preceduto, il primato nell'aver posto il problema della forma parlando di idea e specie, sia intendendola come essenza e causa delle cose materiali sia come ciò che rende intelligibili le cose nel senso che è la presenza dell'idea nella cosa stessa, copia imperfetta dell'essenza ideale,[1] che rende possibile all'intelletto dell'uomo capire che cosa essa sia.

Materia e forma modifica

 
Lisippo: Busto di Aristotele

La concezione platonica, esposta nel dialogo del Timeo, della formazione dell'universo in base ai due elementi della forma e della materia, viene ripresa e approfondita da Aristotele che se ne serve per la definizione della ousia della sostanza, concepita come sinolo, unione indissolubile di forma e materia.

Aristotele, trattandone nelle opere Fisica, Metafisica, Sull'anima, dissente dai platonici che intendevano il mondo delle idee come separato da quello delle cose. L'individuo reale infatti non può sussistere se non fosse in lui indissolubilmente legata la forma ideale alla materia. Ovunque sia presente una realtà materiale ivi vi è la necessaria presenza di una forma.

La forma però ha una priorità cronologica e ontologica, prima nel tempo e prima come essere rispetto alla materia: essa è infatti sia causa efficiente, quella che rende possibile l'esistenza della sostanza, sia causa finale, esprime il fine che dà senso all'esistenza della cosa stessa.[2] Ma, sostiene Aristotele, la priorità della forma è anche logica perché «di ogni cosa si può parlare in quanto ha una forma e non per il suo aspetto materiale in quanto tale» (Metafisica VII, 1035a).

Potenza e atto modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Potenza e atto.

I due concetti di materia e forma sono riportati in Aristotele a quelli di potenza ed atto. Infatti la materia di per sé esprime solo la possibilità, la potenza, di acquisire una forma in atto nella realtà: perché si realizzi questo passaggio per cui ciò che è possibile diventi reale, occorre che ci sia già una forma in atto, un essere attuato[3]. Il passaggio dalla potenza (materia) all'atto (forma), che costituisce il divenire, è tale da poterlo concepire come senza fine, poiché ogni atto diviene potenza per un atto successivo[4] o meglio, sostiene Aristotele, avrà come termine ultimo un atto che ha realizzato tutte le potenze, tutte le potenzialità materiali e quindi non avrà più in sé alcun elemento materiale (potenza) e sarà allora un atto puro[5], Dio.

La potenza, (in greco δύναμις = dynamis) che si riferisce alla natura ontologica delle cose, riguarda il problema dell'oggettivo divenire del mondo, cioè la possibilità di realizzazione in atto, insita in un oggetto.[6]

Per Aristotele l'essere in potenza è inferiore all'essere in atto: il primo è da lui designato come materia, il secondo come forma. In seguito tuttavia, con l'avvento della filosofia neoplatonica, che verrà inglobata dalla nuova concezione cristiana dell'essere, la potenza o dynamis subisce un capovolgimento di significato, passando a indicare l'infinita energia spirituale creatrice dell'Uno, nel quale anche l'infinito riceve una connotazione di superiorità rispetto al finito.[7] Secondo il Lloyd si tratterebbe di un concetto di potenza attiva anteriore allo stesso Aristotele e restaurato da Plotino.[8]

La concezione della potenza come potere attivo di sviluppo, anziché pura possibilità logica, permeerà i diversi esponenti della filosofia occidentale che si richiameranno direttamente o indirettamente al neoplatonismo.[9]

L'atto invece, nel latino scolastico actus, traduzione del greco ἐνέργεια (energheia) e ἐντελέχεια (entelekeia), è definibile come l'esistenza dell'oggetto in quanto realizzata (forma, integritas rei); in senso aristotelico si oppone alla potenza che l'atto precede ontologicamente come realizzazione perfetta e come fine. Da ciò deriva il significato di atto come operazione piena di esplicazione dell'esistenza realizzata.[10]

Atto puro modifica

Atto puro è l'atto completamente realizzato, senza più potenza (nel senso che non ha bisogno di realizzarsi ulteriormente) né materia. In Aristotele esso è Dio, il motore immobile.[11]

Il concetto è stato ripreso dall'idealismo, in cui l'atto puro è l'Assoluto. Anche qui tuttavia si è assistito ad un mutamento di significato ad opera del neoplatonismo, per il quale l'atto non è più qualcosa di statico ma di dinamico, in quanto dotato di infinita potenza: esso diventa azione.[12]

Nel neoidealismo passa a permeare il pensiero: per Giovanni Gentile atto puro è il "pensiero nel momento stesso che pensa" (attualismo).

Il pensiero medioevale modifica

La teologia medioevale si preoccupò innanzitutto di salvaguardare il concetto aristotelico di forma riportandolo alla connotazione dell'anima immortale.

San Tommaso infatti respinge la teoria dei neoplatonici agostiniani che attribuivano all'anima umana e angelica una specie di materia spirituale e ribadisce la purezza della forma sostanziale aristotelica, anche se, egli aggiunge, la materia ha una sua caratteristica particolare, come materia signata di accogliere in sé la forma o l'anima, che è poi pienamente realizzata come attuale solo in Dio, mentre nell'uomo conserva ancora un elemento di potenzialità e limitatezza (De ente et essentia, capp. V e VI; Summa theologiae, I, 75).

Dio è Atto puro privo di materia e quindi di quella potenzialità e limitatezza che è invece propria della materialità del corpo umano. L'anima è un'essenza immateriale intellettuale, quindi semplice e incorruttibile, e l'unica forma sostanziale spirituale sussistente (cioè dotata di vita autonoma) del corpo, ordinata a informarlo e configurarlo, e quindi nata non prima del corpo organico.[13]

La forma kantiana modifica

 
Immanuel Kant

I concetti aristotelici di forma sostanziale e forma finale persero ogni originario significato con l'avvento della scienza moderna e assunsero un valore del tutto diverso nella formulazione kantiana.

Il rapporto materia-forma assume infatti nel pensiero kantiano una funzione gnoseologica-trascendentale per cui nella Critica della ragion pura Kant intende per materia «ciò che corrisponde alla sensazione» e per forma «ciò per cui il molteplice del fenomeno può essere ordinato» secondo le forme pure a priori di spazio e tempo. La forma è, dunque, una funzione universale di ordinamento spazio-temporale degli oggetti dell'esperienza, non un elemento costitutivo dell’oggetto.[14] La stessa attività formale poi è attribuita alle categorie o concetti puri dell'intelletto (par. 13), a loro volta ordinati dall'attività sintetico formale dell'Io penso (par. 16).

Il carattere formale sarà poi la caratteristica fondamentale della Critica della ragion pratica kantiana, che si propone di indicare non quali comportamenti morali debba concretamente mettere in atto l'uomo, ma come debba atteggiarsi la volontà, quale forma essa debba assumere nel predisporsi a compiere l'azione morale, obbedendo al carattere formale dell'imperativo categorico.

La forma nel pensiero post-kantiano modifica

Riprendendo in parte le concezioni hegeliane Benedetto Croce parla di forme riferendole all'attività, alla vita dello Spirito che si esplica nei quattro gradi di Estetica, Logica, Economia ed Etica.

Così nel suo saggio Le forme assolute dello Spirito (1909) Giovanni Gentile preferisce indicare come forme assolute quelle di Arte, Religione e Filosofia come fasi dialettiche dell'Io trascendentale inteso come atto puro.

Ancora collegato ad un'impostazione kantiana è la filosofia delle forme simboliche di Ernst Cassirer mentre per Edmund Husserl, ormai lontano dal kantismo, il concetto di forma nella fenomenologia s'inserisce in una filosofia dal carattere rigorosamente scientifico.

Ad una impostazione fenomenologica si rifà la psicologia della forma o Gestaltpsychologie.

I recenti sviluppi del concetto di forma si possono ritrovare infine in quello di struttura, ad opera dello strutturalismo.

Note modifica

  1. ^ Da qui il problema del rapporto irrisolto nella dottrina platonica tra il mondo ideale e quello della realtà. Rapporto che Platone tenta di risolvere adoperando di volta in volta i termini di μίμησις (mìmesi, imitazione), μέθεξις (metessi, partecipazione), κοινωνἱα (koinonìa, comunanza), παροὐσια (parousia, presenza) che stanno ad indicare nella loro diversità, la vicinanza o lontananza del mondo materiale da quello ideale. Risulta chiaro infatti che quando Platone adopera il termine parousia egli intende che le idee sono molto vicine, addirittura presenti nel mondo delle cose, mentre quando usa il termine mimesi vuole fare intendere che il mondo della realtà è solo una lontana imitazione, è molto distante da quello della perfezione ideale.
  2. ^ Ad esempio la sostanza uomo è tale perché c'è stata una causa efficiente che lo ha fatto nascere con la forma di uomo, due braccia, due gambe ecc. ma anche perché questi si comporta secondo la sua natura cioè da uomo, esprime il fine per cui esiste; poiché se avesse una forma umana ma si comportasse saltando da albero ad albero, camminasse a quattro zampe ecc. non sarebbe uomo ma scimmia.
  3. ^ Nella famosa questione se sia nato prima l'uovo o la gallina, Aristotele risponderebbe che la priorità spetta alla gallina (forma in atto) che facendo l'uovo (materia potenzialmente pulcino) dà a questo la possibilità di attuarsi, di assumere la forma di pulcino (in atto)
  4. ^ Nell'esempio precedente il pulcino, atto rispetto all'uovo, sarà nello stesso tempo potenza rispetto al pollo che diverrà.
  5. ^ Puro perché in lui non c'è la presenza della materia considerata impura e corruttibile
  6. ^ Potenza in Dizionario di filosofia Treccani (2009)
  7. ^ Dario Antiseri, Giovanni Reale, Storia della filosofia: Dal cinismo al neoplatonismo, volume 2, Giunti, 2014.
  8. ^ Anthony C. Lloyd, Neoplatonic Logic and Aristotelian Logic, in "Phronesis", 1 (1955), pp. 58-72.
  9. ^ Francesco Romano, R. Loredana Cardullo, Dynamis nel neoplatonismo, La nuova Italia, 1996.
  10. ^ Atto in Dizionario di filosofia
  11. ^ Secondo la recente traduzione della Metafisica di Enrico Berti, basata sui manoscritti della famiglia alpha della Metafisica, Aristotele non avrebbe usato propriamente il termine "atto", ma soltanto "in atto", poiché non si tratterebbe di un nominativo ma di un dativo, caso con cui si rende il complemento di stato in luogo nel greco antico. Il motore immobile è dunque in atto poiché è sostanza, ed atto è la condizione che inerisce la sostanza. La traduzione "atto puro" è dovuta ad un'aggiunta rispetto alla versione originale, operata da Alessandro di Afrodisia. (in Silvia Fazzo, Il libro Lambda della Metafisica di Aristotele, Napoli, Bibliopolis 2012 e Commento al libro Lambda della Metafisica di Aristotele, Napoli, Bibliopolis, 2014).
  12. ^ AA.VV., Sophia: rivista internazionale di fonti e studi di storia della filosofia, volume 5, pag. 148, J. Benjamin, 1937.
  13. ^ Tommaso d'Aquino e l'anima umana come forma del corpo, su teologiaefilosofia.it.
  14. ^ Intelletto e ragione: Kant e Hegel a confronto, su gazzettafilosofica.net.

Bibliografia modifica

  • Aristotele, Metafisica, traduzione, introduzione e note di Enrico Berti, Collana Biblioteca Filosofica, Roma-Bari, Laterza, 2017.
  • Fabrizio Bigotti, La mente che Ordina i Segni. Ricerche sui problemi della forma nella filosofia naturale da Aristotele a Linneo, Roma, Aracne Edizioni, 2009.
  • Michel Crubellier at al. (a cura di), Dunamis. Autour de la puissance chez Aristote, Louvain-la-Neuve, Peeters, 2008.
  • Edith Stein, Potenza e Atto. Studi per una filosofia dell'essere, Roma, Città Nuova, 2006.

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