Opere della giovinezza di Giovanni Boccaccio
Le opere della giovinezza di Giovanni Boccaccio riguardano il periodo compreso tra il 1333 e il 1346.
Caccia di Diana (1333-1334)
modificaPoemetto in terza rima che celebra in chiave mitologica alcune gentildonne napoletane. Le ninfe, seguaci della casta Diana, si ribellano alla dea ed offrono le loro prede di caccia a Venere, che trasforma gli animali in bellissimi uomini. Tra questi vi è anche il giovane Boccaccio che, grazie all'amore, diviene un uomo pieno di virtù: il poemetto propone, dunque, la concezione cortese dell'amore che ingentilisce e nobilita l'uomo.
Filostrato (1335)
modificaIl Filostrato (che alla lettera dovrebbe significare nel greco approssimativo di Boccaccio "vinto d'amore") è un poemetto scritto in ottave che narra la tragica storia di Troilo, figlio del re di Troia Priamo, che si era innamorato della prigioniera greca Criseida. Quando Criseida in seguito si innamora di Diomede, Troilo si dispera e va incontro alla morte per mano di Achille.
Nell'opera l'autore si confronta in maniera diretta con la precedente tradizione dei cantari, fissando i parametri per un nuovo tipo di ottava essenziale per tutta la letteratura italiana fino al Seicento. Il linguaggio adottato è semplice, colloquiale, spedito, a differenza di quello presente nel Filocolo, in cui è molto sovrabbondante.
Filocolo (1336-1339)
modificaIl Filocolo, che Boccaccio traduce molto liberamente "fatica d'amore", è un romanzo in prosa di 5 libri scritto per Fiammetta. L'espediente narrativo è una lettera da parte di Fiammetta, in cui chiede a Boccaccio di spiegarle l'amore tra Florio e Biancifiore. La narrazione è ricca di peripezie, e procede con allusioni autobiografiche e divagazioni. Il linguaggio è sensuale e vivace. Nell'opera emergono i desideri dell'alta società napoletana.
Teseida delle nozze d'Emilia (1339-1340)
modificaIl Teseida è un poema epico in ottave ed è così intitolato perché narra le guerre del mitico re Teseo contro le Amazzoni e contro Tebe (materia ricavata dai romanzi cavallereschi del ciclo tebano come il Roman de Thèbes). Al centro della vicenda sono le vicende di Arcita e Palemone, legati da profonda amicizia, che si innamorano ambedue di Emilia, regina delle Amazzoni e cognata di Teseo. Il poeta si propone di dare per primo alla letteratura italiana un poema epico all'altezza dell'Eneide virgiliana. La vivezza della vicenda amorosa spicca, come di consueto; ma la narrazione è appesantita e resa arida dalle preoccupazioni retoriche ed erudite.
Comedia delle ninfe fiorentine (1341-1342)
modificaLa Comedia delle ninfe fiorentine (o Ninfale d'Ameto) è una narrazione in prosa, inframmezzata da componimenti in terzine cantati da vari personaggi. Narra la storia di Ameto un rozzo pastore che un giorno incontra delle ninfe devote a Venere e si innamora di una di esse, Lia. Nel giorno della festa di Venere le ninfe si raccolgono intorno al pastore e gli raccontano le loro storie d'amore. Alla fine Ameto è immerso in un bagno purificatore e comprende così il significato allegorico della sua esperienza: infatti le ninfe rappresentano la virtù e l'incontro con esse lo ha trasformato da essere rozzo e animalesco in uomo.
Amorosa visione (1342-1343)
modificaSi tratta di un poema in terzine suddiviso in cinquanta canti.
La narrazione vera e propria è preceduta da un proemio costituito da tre sonetti che, nel loro complesso, formano un immenso acrostico: i sonetti sono cioè composti da parole le cui iniziali corrispondono ordinatamente e progressivamente alle rispettive iniziali di ciascuna terzina del poema.
La vicenda descrive l'esperienza onirica di Boccaccio che, sotto la guida di una donna gentile, perviene ad un castello sulle cui mura sono rappresentate scene allegoriche che vedono protagonisti illustri personaggi del passato. Più in dettaglio, in una stanza sono rappresentati i trionfi di Sapienza, Gloria, Amore e Ricchezza, nell'altra quello della Fortuna. Inevitabile segnalare lampanti affinità e influenza non latente con i pressoché contemporanei Trionfi del Petrarca. Inoltre la precisa descrizione degli affreschi ha permesso ad alcuni critici di identificare il castello boccacciano con Castel Nuovo di Napoli, affrescato da Giotto.
Dopo essersi soffermato con sfoggio di erudizione sulle bellezze degli affreschi, Boccaccio passa in un giardino dove incontra Madonna Fiammetta. I due si appartano in un luogo deserto e il poeta sta per unirsi alla donna addormentata, ma il risveglio tempestivo della donna e il fatto che questa ricordi al poeta il pericolo dell'imminente ritorno della guida prevengono l'attuarsi del gesto. Di lì a poco infatti la "donna gentil" torna affermando che il poeta potrà giungere al pieno possesso dell'amata conducendo una vita improntata ai virtuosi precetti il cui apprendimento era stato scopo essenziale del viaggio.
L'opera ha diversi debiti nei confronti di Dante e della Divina Commedia, soprattutto per quanto riguarda l'esperienza della "Visio in somnis" e la guida di una "donna gentil", ma va sottolineata anche la forte tendenza all'emancipazione del Boccaccio: mentre Dante segue in tutto e per tutto i dettami di Beatrice, Boccaccio in numerosi casi si ribella al patrocinio della guida, ad esempio nel preferire la via larga della mondanità, con le sue fatue attrattive a quella stretta e impervia che conduce alla virtù. Il tono sublime contrasta con la comicità di certe situazioni (in primis l'incontro con Fiammetta) cosicché alcuni critici hanno pensato ad un intento parodico da parte del Boccaccio nei confronti del poemetto allegorico didattico.
Elegia di Madonna Fiammetta (1343-1344)
modificaRomanzo in prosa che racconta di una dama napoletana abbandonata e dimenticata dal giovane fiorentino Panfilo. La lontananza di Panfilo le crea grande tormento accresciuto dal fatto che Fiammetta è sposata e deve nascondere al marito il motivo della sua infelicità. L'opera ha la forma di una lunga lettera, rivolta alle donne innamorate. Essa riprende in prosa, dilatandolo alla misura di un vero e proprio romanzo, lo schema delle Eroidi di Ovidio, elegie sotto forma di lettere in versi, in cui eroine del mito si rivolgevano ai loro amanti confessando le proprie pene d'amore. La lunga confessione dell'eroina consente una minuziosa introspezione psicologica, che assume un gusto sorprendentemente moderno. La vicenda è narrata dal punto di vista della donna, un elemento assolutamente innovativo rispetto ad una tradizione letteraria nella quale la donna era stata oggetto e non soggetto della passione.
Ninfale fiesolano (1344-1345)
modificaIl giovane pastore Africo, che vive sulle colline di Fiesole coi genitori, sorpresa nei boschi un'adunata di ninfe di Diana, si innamora di Mensola, che, con le altre ninfe della dea, è obbligata alla castità. Vaga inutilmente a lungo alla sua ricerca. Venere, apparsagli durante il sonno, promette di aiutarlo. Della sua sofferenza e delle nascoste ragioni di tale sofferenza si accorge il padre di Africo, che con grande affetto lo ammonisce a non cercare le ninfe, ricordandogli con una storia la terribile sorte che colpisce coloro che osano sfidare la dea. Africo e Mensola, però, con uno stratagemma riescono ad amarsi ed innamorarsi. La ninfa però, resasi conto del suo errore, e del rischio in cui stava mettendo se stessa e il suo innamorato, decide di sfuggirgli.
Africo, disperato, si uccide e il suo sangue cade nel fiume che poi assumerà il suo nome. La ninfa però è incinta, e nonostante si sia nascosta in una grotta, aiutata dalle ninfe più anziane, viene un giorno scoperta da Diana, che la trasforma nell'acqua del fiume che da quel giorno in poi assumerà il suo nome. Il bambino viene invece affidato ad una vecchia ninfa che lo consegnerà alla madre del povero pastore. Verrà chiamato Pruneo e sarà il reggitore della città di Fiesole, fondata da Atlante, e il capostipite di una famiglia che sarà destinata a mischiarsi con i cittadini di Firenze.
Essendo l'opera un cordiale omaggio a Firenze, si raccontano le origini di Fiesole e Firenze, fondata dai discendenti di Africo e Mensola. Con elegante semplicità riprende le cadenze e le formule linguistiche del cantare popolare toscano, a cui sovrappone fitti motivi di derivazione classica, specialmente da Ovidio.