Palazzo Martinengo Colleoni di Pianezza

palazzo nobiliare di Brescia, sede di numerosi Istituti superiori e della scuola media Romanino

Palazzo Martinengo Colleoni di Pianezza, già Bargnani, è un edificio storico di Brescia situata lungo corso Matteotti al civico numero 8, in pieno centro storico. La dimora rientra, nel contesto delle antiche mura cittadine, nella quadra di San Giovanni.

Palazzo Martinengo Colleoni di Pianezza
Dettaglio della facciata su Corso Matteotti
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione  Lombardia
LocalitàBrescia
IndirizzoCorso Matteotti 8
Coordinate45°32′24.5″N 10°12′49.8″E / 45.540139°N 10.213833°E45.540139; 10.213833
Informazioni generali
CondizioniIn uso
Costruzione1671-1764
Usoabitazione privata, scuola e sede di uffici della provincia
Realizzazione
ArchitettoGian Battista Groppi
Filippo Juvarra
AppaltatoreMartinengo
CommittenteFamiglia Martinengo Colleoni

Edificato a partire dal XVII secolo dai nobili Martinengo Colleoni, costituisce la più monumentale e imponente delle residenze della famiglia Martinengo, oltre che un unicum, da un punto di vista prettamente architettonico e stilistico, nel panorama delle dimore signorili locali.[1][2]

Storia modifica

L'avvio della fabbrica in "Contrada de' Signori Porcelaghi"[N 1] modifica

La dimora fu edificata a partire dal 1671 per volere di Gaspare Giacinto Martinengo Colleoni, marchese di Pianezza.[3] Quest'ultimo, infatti, aveva sposato nel 1659 la nobildonna Chiara Camilla Porcellaga che, essendo l'ultima discendente del suo ricco ramo familiare, aveva portato in dote una gran quantità di beni, tra cui figuravano appunto le proprietà su cui sorse, in seguito, il palazzo nobiliare voluto dallo stesso marchese.[4][5][6]

Parallelamente alla fabbrica di questo nuovo edificio, inoltre, si ebbe anche modo di compiere un riassetto della contrada e dell'isolato attiguo, allora facente parte della terza quadra di san Giovanni: al tempo, infatti, la zona era caratterizzata da una fitta maglia di piccole proprietà, formate da numerose casupole ed edifici.[7][8]

A partire dal 1682, a tal proposito, la famiglia Martinengo intraprese una sistematica e coerente campagna di acquisizioni e demolizioni delle proprietà limitrofe. Questa operazione aveva il fine ultimo, evidentemente, di ampliare i loro possedimenti al fine di "ridurre ad una possibile quadratura" la fabbrica stessa del palazzo.[8]

La prima fase dei lavori e Gian Battista Groppi modifica

Sin dal 1672 è accostabile alla supervisione del cantiere del palazzo l'architetto Gian Battista Groppi,[3] originario della val d'Intelvi e già attivo per la chiesa di San Lorenzo a Capriano del Colle.[8][9] Il medesimo Groppi ebbe modo di misurare e verificare l'integrità delle «fabriche» compiute dalle imprese di Antonio Cavallino, documentato dal 1675 al 1699, di Antonio Somalvigo, attivo tra 1686 e 1700, e Silvestro e Gian Battista Avanzi. A riprova di questa sua supervisione dei lavori, il Groppi viene definito in alcuni documenti del 1689 come «Perito de' fabbri murari di questa città». Lo stesso Groppi, a coronamento dei suoi servigi, arrivò a sottoscrivere un dettagliato contratto con Gaspare Giacinto Martinengo nel corso del 1684, ufficializzando così la sua posizione e il suo ruolo.[3][8] Infatti, dal 1696 in poi, sui documenti inerenti al cantiere del palazzo egli assume il titolo di «architetto».[10]

A questa prima fase dei lavori, nondimeno, è riscontrabile un pressoché totale impiego di manodopera intelvese o comunque ticinese, la quale si era già distinta come protagonista della decorazione seicentesca e settecentesca lombarda: si vedano i nomi di Ambrogio Ambrosini, detto «muratore luganese», oppure Pompeo Solari «luganese della terra di Caronna», così come il comasco Giorgio Ferretti, che realizzò per il marchese cinque statue di divinità.[11]

Per quanto riguarda la fabbrica del palazzo è deducibile che, a questa data, fosse già stata delineata con chiarezza la planimetria a U dell'edificio, con il corpo orientale più grande affiancato da due ali perpendicolari e della stessa altezza. Ciononostante, il progetto iniziale non è noto né riscontrabile in alcun documento o contratto.[12]

La fase settecentesca dei lavori modifica

Sullo scorcio del XVIII secolo il disegno complessivo del Croppi doveva essere sostanzialmente terminato. A questo punto, tuttavia, le fonti del caso tacciono circa lo stato d'incompiutezza dell'ala settentrionale, la quale venne ultimata solo molti anni dopo.[13]

tuttavia egli non assistette alla conclusione dei lavori, dal momento che i cantieri si protrassero per circa un secolo e mezzo.[1] Fu infatti suo figlio, Pietro Emanuele Martinengo Colleoni, a proseguire i cantieri dell'edificio.

Nel 1729, giunto a Brescia per coadiuvare i lavori per la costruzione del duomo nuovo, l'architetto Filippo Juvarra si occupò anche di progettare e fornire suggerimenti circa l'atrio della dimora, le cui soluzioni stilistiche differiscono da qualunque altra finora adottata nelle dimore bresciane del tempo.[14]

Nel 1764 gli eredi Martinengo vendettero il palazzo, che era ancora privo dell'ala settentrionale, per 30.000 scudi a Gaetano Bargnani, che ne mantenne la proprietà per 50 anni; quest'ultimo lo cedette poi nel 1813 al regno italico.

Appunto dal 1813 il palazzo cessò di fungere da dimora. Dal 1819 in poi, vi fu trasferita la sede del liceo classico Arnaldo, che vi permase stabilmente fino al 1925, quando fu ulteriormente spostata a palazzo Poncarali Oldofredi.

Durante gli eventi delle dieci giornate di Brescia, inoltre, il palazzo ospitò la sede del comando di difesa bresciana, guidata da Luigi Contratti e Carlo Cassola; il palazzo fu infatti scelto per motivi strategici, in quanto più riparato dagli attacchi dell'artiglieria austriaca rispetto alla precedente sede del teatro grande. A ricordo di tali avvenimenti è stata anche esposta una lapide commemorativa.

Descrizione modifica

Esterno modifica

 
Prospetto di palazzo Martinengo Colleoni di Pianezza affacciato su corso Giacomo Matteotti.

Affacciato sulla strada si apre un grande portale ai cui lati sono poste quattro colonne, due per lato di tipo tuscanico; proprio queste ultime sono poste a sorreggere un balcone con balaustra in pietra. L'inquadramento del portale, per le soluzioni stilistiche ed architettoniche, ricorda e rimanda ad altri casi di dimore torinesi, come quelle di palazzo Birago e palazzo Madama. Tale schema competitivo sarà ripreso poi, in maniera ancora più monumentale, anche nel palazzo Martinengo Colleoni di Malpaga.[14] Per questo motivo, forse, si individua anche in queste decorazioni un intervento dello Juvarra, poi replicato anche nelle soluzioni delle finestre laterali all'ingresso ed anche nella tripartizione architettonica a tre ordini orizzontali dell'edificio.[14]

L'atrio d'ingresso, in stile piemontese, è stato anch'esso progettato e realizzato con l'aiuto dello Juvarra.

Interno modifica

L'antica sala da ballo, che oggi funge da aula magna, è uno degli ambienti più notevoli dell'intero palazzo. La decorazione della volta, realizzata negli anni quaranta del XVIII secolo, è attribuibile grazie alle fonti del tempo ed al contratto stipulato nel 1736, all'artista Stefano Orlandi ed a Francesco Monti, e testimonia come all'epoca la pittura bolognese fosse un importante punto di riferimento per i Martinengo;[15] la scena ritrae l'ascesa in cielo di Romolo, a sua volta circondato da una schiera di putti alati e contornato da otto riquadri monocromi, raffiguranti episodi della vita di Remo e Romolo stesso - Romolo e Remo allattati dalla lupa, Remo mette in fuga ed uccide i ladri degli armenti, Remo in catene davanti ad Amulio, Remo uccide Amulio, Romolo traccia il confine della città di Roma, Romolo uccide Tito Tazio e Il ratto delle Sabine.[16]

Il tutto è stato ricoperto, a fine Ottocento, da un affresco con soggetto patriottico di Luigi Campini; il rifacimento ottocentesco, tuttavia, lascia intravedere, lungo i bordi, alcuni particolari dell'affresco precedentemente realizzato dal Monti: è possibile osservare infatti un angelo in volo, allegoria della Fama stessa, oltre che Nettuno con il tipico tridente, Ercole, munito di clava ed avvinghiato all'Idra di Lerna, e Mercurio che brandisce lo scettro caduceo.

Lo scalone modifica

Il nuovo scalone fu realizzato probabilmente a ridosso della fine del Seicento. Ciò è testimoniato dalle fonti d'archivio che riportano diversi interventi e accrediti, come, per esempio, il pagamento nel 1699 "li stucchi nell'andito del scalone"; questi ultimi, tipicamente barocchi nelle decorazioni, dovrebbero corrispondere con quelli ancora in loco.[17]

L'ex chiesa e l'oratorio di san Carlino modifica

Il palazzo è dotato di una chiesa, ora rimodulata ad auditorium, ed inizialmente dedicata a San Carlo. L'edificio è adiacente al lato nord del palazzo ed è stato rinominato San Carlino, principalmente perché già esisteva, al tempo, una chiesa dedicata al santo in via Moretto[18]; la progettazione dell'ex chiesa è forse attribuita ad Antonio Marchetti, soprattutto in virtù di tutte quelle caratteristiche che ne evidenziano lo stile settecentesco: le due lesene che verticalmente ne scandiscono l'architettura, l'ampia zoccolatura in marmo di Botticino, suddiviso in pannelli quadrangolari, e la decorazione a doppia voluta nella fascia superiore.[18]

Nel corso del XIX secolo la chiesa, ormai sconsacrata, fungeva da palestra per il neonato liceo che al tempo ospitava; in seguito tuttavia divenne sede del centro universitario teatrale denominato "La Stanza". Nel 1925 fu appunto acquistata dall'amministrazione comunale e ristrutturata, quindi rimodulata in teatro, inaugurato il 27 novembre 1995.

Note modifica

Note al testo
  1. ^ L'isolato compreso tra corso Garibaldi, via Cairoli, via Bassiche e corso Matteotti era infatti denominato in più modi: «contrata detta di santo Antonio, sive contrata detta de' Signori Porcelaghi», «contrata di sopra di Santo Antonio», «contrada che riguarda alla chiesa di Santo Antonio», «contrata della fontana dei Dolzani». Successivamente è detta anche «contrada del Marchese» e «contrada San Carlino». Per comprendere appieno le trasformazioni di quest'area urbana in relazione all'erigendo palazzo, si veda in Massa, pp. 6-8.
Fonti
  1. ^ a b Massa, p. 5.
  2. ^ Lechi, p. 189.
  3. ^ a b c Lechi, p. 205.
  4. ^ Fè d'Ostiani, p. 431.
  5. ^ Massa, p. 6.
  6. ^ Guerrini, pp. 373-374.
  7. ^ Fè d'Ostiani, pp. 431-432.
  8. ^ a b c d Massa, p. 8.
  9. ^ Antonio Fappani (a cura di), GROPPI Giovanni Battista, in Enciclopedia bresciana, vol. 6, Brescia, La Voce del Popolo, 1985, SBN IT\ICCU\MIL\0272997.
  10. ^ Massa, p. 9.
  11. ^ Massa, pp. 9-10.
  12. ^ Massa, p. 10.
  13. ^ Massa, pp. 11-13.
  14. ^ a b c Massa, p. 13.
  15. ^ Massa, D'Attoma, Loda, pp. 24-25.
  16. ^ Massa, D'Attoma, Loda, p. 44.
  17. ^ Massa, pp. 18-19.
  18. ^ a b Massa, D'Attoma, Loda, p. 53.

Bibliografia modifica

Voci correlate modifica

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