Parelio

fenomeno ottico atmosferico

Il parelio è un fenomeno ottico atmosferico dovuto alla rifrazione della luce solare da parte dei piccoli cristalli di ghiaccio sospesi nell'atmosfera e che di solito costituiscono i cirri. È uno dei vari possibili effetti ottici generati dal ghiaccio atmosferico, che solitamente prendono la forma di aloni o di archi luminosi.

Parelio pronunciato su entrambi i lati del Sole al tramonto nel sud del Minnesota. Da notare gli aloni a forma d'arco passanti per ognuna delle immagini pareliche.
Un raro parelio pronunciato, causato dal passaggio della luce solare attraverso sottili cirri. Il Sole reale è collocato al di fuori della foto, sulla destra.
Sulla destra: un debole parelio sulla baia di San Francisco.
Parelio osservato dal centro di Londra.

Descrizione modifica

I pareli appaiono tipicamente come macchie luminose e colorate nel cielo, a circa 22° o più di raggio apparente sulla sinistra e/o destra del Sole. I cristalli di ghiaccio responsabili di questo fenomeno sono di forma esagonale e spessi da 0,5 a 1 mm. Questi cristalli, fungendo da prismi, rifrangono la luce del sole in molte direzioni, ma con un minimo angolo di deviazione di circa 158°, che causa la formazione di pareli a circa 22° gradi dal Sole. La rifrazione dipende dalla lunghezza d'onda, così i pareli hanno la parte interna rossa e altri colori nelle parti più esterne, smorzati dalla reciproca sovrapposizione. Anche l'altezza del Sole è importante: i pareli si allontanano da esso al crescere della sua altezza.

 
Fotografia scattata sul Monte Zoncolan in località Ravascletto, Friuli Venezia Giulia, il 12 gennaio 2017

I pareli vengono avvistati come corti archi alla stessa altezza del Sole, perché i cristalli di ghiaccio si allineano di preferenza in direzione approssimativamente orizzontale, secondo effetti di trascinamento aerodinamico.

Nonostante siano fenomeni piuttosto comuni, i pareli sfuggono spesso alla vista perché per essere osservati è necessario guardare esattamente in direzione del Sole e, se il cielo non è in condizioni ideali, appaiono solitamente di debole intensità.

Storia e influenza culturale modifica

 
Tavola illustrata di apparato all'articolo Descriptio phaenomeni trium solium... editis d. 31 Januar. A. 1693 pubblicato sugli Acta Eruditorum del 1694

Diodoro Siculo, uno storico greco del I sec. a.C., parlando del monte Ida nella Troade, ci descrive un antico esempio di parelio nella sua opera Biblioteca Storica:

«Su questo monte avviene qualcosa di particolare e di straordinario. Al levarsi del Cane sulle vette della cima, a causa della tranquillità dell'aria circostante - la vetta è al di sopra del soffio dei venti - e mentre è ancora notte, si vede il sole levarsi, e non disegna i raggi secondo una figura circolare, ma ha la fiamma suddivisa in molte direzioni, così che si ha l'impressione che molti fuochi tocchino l'orizzonte della terra. Dopo un po' essi si raccolgono in una sola dimensione, fino ad avere un'altezza di tre cubiti. E allora, quando il giorno è già giunto, e la grandezza manifesta del sole è colmata, produce lo stato del giorno.» [1]

Anche il seguente passo del De re publica di Marco Tullio Cicerone è un altro tra i tanti di autori greci e romani a riferirsi ai pareli e ad altri fenomeni simili:

(LA)

«[...]Visne igitur, quoniam et me quodam modo invitas et tui spem das, hoc primum Africane videamus, ante quam veniunt alii, quidnam sit de isto altero sole quod nuntiatum est in senatu? Neque enim pauci neque leves sunt qui se duo soles vidisse dicant, ut non tam fides non habenda quam ratio quaerenda sit.»

(IT)

«Non vorresti dunque - poiché m'inviti in qualche modo e mi dai speranza - che ci chiediamo questo per prima cosa, Africano, prima che vengano altri: cosa ci sia di vero su questo secondo Sole di cui si è parlato al Senato? Infatti non sono pochi né sciocchi coloro che dicono di aver visto due soli, tanto che non si tratta più di non avere fede, quanto di cercare una ragione.»

L'autore della latinità che si occupa di indagare razionalmente il fenomeno è Lucio Anneo Seneca (Cordova 4 a.C – Roma 65 d.C.), nel primo libro delle Naturales Quaestiones[2] (la cui datazione è posta tra il 62 d.C.e il 65 d.C.):

(LA)

«[…] Quid uocem? Imagines solis? Historici soles uocant et binos ternosque apparuisse memoriae tradunt; Graeci parhelia appellant, quia in propinquo fere a sole visuntur aut quia accedunt ad aliquam similitudinem solis. Non enim totum imitantur sed magnitudinem eius figuramque: ceterum nihil habent ardoris hebetes et languidi.»

(IT)

«[…] Come chiamarli? Immagini del sole? Gli storici li chiamano soli e raccontano che sono comparsi due o tre alla volta. I Greci li definiscono parhelia poiché li si vede generalmente in prossimità del Sole o poiché si caratterizzano per una qualche somiglianza con il sole. In effetti essi non riproducono tutte le caratteristiche del sole, ma la sua grandezza e la sua forma; del resto, deboli ed evanescenti, non hanno niente del suo calore né della sua grandezza.»

Sempre nel libro I, Seneca non si limita a descrivere il fenomeno, né prende in considerazione esso possa essere una manifestazione soprannaturale, ma, anche sulla scorta di precedenti autori greci, avanza una interpretazione razionale: infatti lo considera effetto della riflessione della luce solare su particolari tipi di nuvole (bianche e simili a dischi lunari, che ricevono obliquamente i raggi solari). Egli, inoltre, sostiene l'argomentazione riconducendosi all'esperienza terrena, con continui rimandi a esperimenti pratici per mezzo dei quali si possono esemplificare le sue affermazioni. Dapprima, infatti, mostra come sia possibile che le nuvole riescano a riflettere l'immagine del Sole, paragonandole ai recipienti di liquido oleoso con cui alla sua epoca venivano osservate le eclissi solari (se ne guardava il riflesso sulla superficie di un catino riempito con olio o pece); in seguito, afferma che probabilmente i pareli multipli sono dovuti al fatto che delle nuvole riflettono l'immagine che a loro volta altre nubi hanno recepito dal sole, proprio come alcuni specchi disposti a breve distanza l'uno dall'altro riflettono reciprocamente le immagini, creando spettacolari effetti ottici.

(LA)

«[…] Quemadmodum ergo utriusque imago in terris aspici potest, ita in aere, cum sic coactus aer et limpidus constitit, ut faciem solis acciperet. Quam et aliae nubes accipiunt sed transmittunt, si aut mobiles sunt aut rarae aut sordidae: mobiles enim spargunt illam; rarae emittunt; sordidae turpesque non sentiunt, sicut apud nos imaginem maculosa non reddunt. Solent et bina fieri parhelia eadem ratione. Quid enim impedit, quommus tot sint, quot nubes fuerint aptae ad exhibendam solis effigiem? Quidam in illa sententia sunt, quotiens duo simulacra talia existunt, ut iudicent in illis alteram solis imaginem esse, alteram imaginis. Nam apud nos quoque cum plura specula disposita sunt ita, ut alteri sit conspectus alterius, omnia implentur, et una imago a uero est, ceterae imaginem effigies sunt; nihil enim refert, quid sit quod speculo ostendatur: quicquid uidet, reddit. Ita illic quoque in sublimi, si sic nubes fors aliqua disposuit, ut inter se conspiciant, altera nubes solis imaginem, altera imaginis reddit.»

(IT)

«[…] Conseguentemente nello stesso modo in cui l’immagine dell’uno e dell’altro [ossia del sole e della luna durante le eclissi] può essere osservata sulla terra, così anche nell’aria, quando essa è resa così compatta e tersa da recepire l’immagine del sole. Immagine che anche le altre nuvole ricevono, ma che non riflettono se sono in movimento, o poco dense, o torbide: quelle in movimento infatti la disperdono, quelle poco dense la lasciano passare, se torbide o opache non la recepiscono, così come sulla terra le superfici irregolari non danno luogo a riflessione. Sono soliti verificarsi anche due pareli nel medesimo modo; infatti che cosa impedisce che tanti siano i pareli quante sono state le nuvole atte a riflettere l’immagine del sole? Vi è presso alcuni autori l'opinione per cui, tutte le volte che scaturiscono due immagini siffatte, essi giudicano che tra quelle l’una sia proprio l’immagine del sole, l’altra il riflesso dell’immagine. Infatti anche da noi, quando molti specchi sono stati disposti in modo tale che la vista dell’uno si rifletta nell'altro, tutti ricevono un’immagine ma una sola è il riflesso dell’oggetto vero: le altre sono immagini dei riflessi. Nulla importa, infatti, che cosa sia ciò che viene mostrato a uno specchio; uno specchio riflette qualsiasi cosa veda. Così anche lì, ad altezze immense, se un qualche caso ha disposto le nuvole così che si guardino reciprocamente, una nuvola restituisce il riflesso del sole, e l’altra il riflesso del riflesso.»

Probabilmente la prima descrizione chiara di un parelio è quella fatta da Jakob Hutter nel suo Brotherly Faithfulness: Epistles from a Time of Persecution:

«Mio amatissimo bambino, voglio raccontarti che nel giorno seguente la partenza dei nostri fratelli Kuntz e Michel, in un venerdì, vedemmo tre soli nel cielo per un bel po' di tempo, circa un'ora, così come due arcobaleni. Questi avevano le loro parti esterne vicine l'una all'altra, quasi a contatto nel mezzo, e le loro estremità orientate in direzioni opposte. E questo io, Jakob, l'ho visto con i miei occhi, e molti fratelli e sorelle l'hanno visto con me. Dopo un po' i due soli e gli arcobaleni sono scomparsi, ed è rimasto l'unico Sole. Sebbene gli altri due soli non fossero luminosi quanto il primo, erano chiaramente visibili. Sento che questo è stato un miracolo non da poco...»

Questa osservazione avvenne molto probabilmente ad Auspitz (Hustopeče), in Moravia, tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre del 1533. L'originale è in lingua tedesca e proviene da una lettera inviata nel novembre 1533 da Auspitz alla valle dell'Adige. Kuntz Maurer e Michel Schuster, menzionati nella lettera, lasciarono infatti Jakob Hutter dopo la festa di Simone e Giuda, che ricorre il 28 ottobre. Questa citazione è riportata anche da Fred Schaaf a pagina 96 dell'edizione di novembre e dicembre 1997 di Sky & Telescope.

 
Il Vädersolstavlan: dipinto (copia del 1630) di un parelio a Stoccolma nel 1535. Il fenomeno celeste venne allora interpretato come un sinistro presagio.

Benché sia più conosciuto per essere il più antico dipinto noto della città di Stoccolma, il Vädersolstavlan (in svedese dipinto del cane del sole) è forse anche la prima raffigurazione di un parelio. La mattina del 20 aprile 1535 il cielo sulla città fu attraversato per un'ora da cerchi bianchi e archi, e apparvero altri soli attorno al sole. Il fenomeno provocò la rapida circolazione di voci secondo cui il fenomeno era un presagio dell'imminente vendetta di Dio sul re Gustavo I di Svezia (1496 - 1560) per aver introdotto il Protestantesimo durante gli anni '20 del 1500 e per essere stato tirannico con i suoi nemici alleati con il re danese. Con la speranza di porre fine alle speculazioni, il cancelliere e studioso luterano Olaus Petri (1493 - 1552) ordinò la realizzazione di un dipinto che documentasse l'evento. Visionato il dipinto, il re lo interpretò come una cospirazione - considerando come il sole reale potesse rappresentare egli stesso, minacciato dagli altri soli, uno simbolo di Olaus Petri, l'altro di Laurentius Andreae (1470 - 1552), entrambi accusati di tradimento ma infine scampati alla pena capitale. Il dipinto originale è andato perso, ma una copia del 1630 è ancora visibile nella chiesa di Storkyrkan, nel centro di Stoccolma[4].

Un parelio di grande intensità è probabilmente la causa del cosiddetto Fenomeno celeste di Norimberga, avvenuto nel 1561 e interpretato al tempo in chiave fortemente religiosa.

Il parelio acquisì un significato metaforico nella letteratura tedesca durante il periodo di Goethe e fu utilizzato da numerosi poeti del tempo, fra cui Wilhelm Müller nella sua poesia Die Nebensonnen ("Il parelio"); nel 1827 Franz Schubert mise in musica la poesia di Müller nel ventitreesimo e penultimo brano del ciclo Winterreise.

Nel suo romanzo Shipwreck at the Bottom of the World: The Extraordinary True Story of Shackleton and the Endurance, che narra la storia della fatale spedizione polare della nave Endurance (1912), Jennifer Armstrong scrive:[5]

(EN)

«All around them, too, were signs that the Antarctic winter was fast approaching: there were now twelve hours of darkness, and during the daylight hours petrels and terns fled toward the north. Skuas kept up a screeching clamor, and penguins on the move honked and brayed from the ice for miles around. Killer whales cruised the open leads, blowing spouts of icy spray. The tricks of the Antarctic atmosphere brought mock suns and green sunsets, and showers of jewel-colored ice crystals.»

(IT)

«Tutto attorno a loro c'erano segni del rapido approssimarsi dell'inverno antartico: c'erano ora dodici ore di oscurità, e durante le ore diurne procellarie e rondini di mare fuggivano verso il nord. Gli stercorari continuavano con un rumore stridente, e i pinguini in movimento starnazzavano sul ghiaccio nel raggio di miglia. Le orche circolavano nei canali tra i ghiacci, soffiando colonne di spruzzi ghiacciati. Gli scherzi dell'atmosfera antartica portarono finti soli e tramonti verdi, e piogge di cristalli di ghiaccio colorati come gioielli.»


Note modifica

  1. ^ (Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, XVII, 7).
  2. ^ Naturales Quaestiones, Libro I.
  3. ^ Jakob Hutter, Brotherly Faithfulness: Epistles from a Time of Persecution, Rifton, NY, Plough Publishing, 1979, p. 20-21, ISBN 0-87486-191-8.
  4. ^ Pererik Åberg, Vädersolstavlan, su svt.se, Stockholm, Sveriges Television, 10 luglio 2003. URL consultato il 28 gennaio 2007.
  5. ^ Jennifer Armstrong, Shipwreck at the Bottom of the World: The Extraordinary True Story of Shackleton and the Endurance, NY, Crown, 1998, p. 123, ISBN 0-375-81049-8.

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