Giuseppe Marchese (criminale)

mafioso e collaboratore di giustizia italiano (1963)
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Giuseppe Marchese detto Pino (Palermo, 12 dicembre 1963) è un mafioso e collaboratore di giustizia italiano.

Giuseppe Marchese

È stato il primo mafioso dell’ala del clan dei Corleonesi a diventare collaboratore di giustizia.

Biografia

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Proviene da una famiglia di radici mafiose: suo padre Vincenzo era un mafioso e lo zio Filippo Marchese era un boss di spicco tristemente famoso per la sua camera delle torture in piazza Sant'Erasmo a Palermo dove venivano uccisi e sciolti nell'acido gli oppositori. Divenne poi cognato di Leoluca Bagarella (dato che la sorella Vincenza sposò appunto il Bagarella, a sua volta cognato di Totò Riina), e insieme al fratello Antonino divenne uno dei killer più spietati della fazione dei corleonesi. Entra a far parte di Cosa nostra ad appena 17 anni, e nella seconda guerra di mafia partecipa in prima persona a vari omicidi tra cui quelli dei boss Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo[1]. Dopo due giorni festeggiarono la morte di Inzerillo in una villa a Monreale insieme a Totò Riina, Giuseppe Giacomo Gambino, u zu Settimo (il cognome non lo ha detto perché non lo ricordava) ed altri.

Partecipò anche nella lupara bianca di Santo Inzerillo (fratello di Totuccio), all'omicidio del carabiniere Vito Ievolella e alla "strage di Bagheria" del Natale 1981, in cui rimasero uccisi tre mafiosi e un pensionato colpito per caso, e venne arrestato il 15 gennaio 1982 per porto abusivo di armi. Un'impronta digitale trovata dal medico legale Paolo Giaccone lo incastrò come uno dei killer della strage di Bagheria; tuttavia Giaccone rifiutò di modificare la perizia e, per questo motivo, venne ucciso l'11 agosto successivo[2]. Nel 1987, al termine del Maxiprocesso di Palermo, è condannato all'ergastolo. Nel 1989 partecipò in prima persona al cruento omicidio di Vincenzo Puccio, in carcere, fracassandogli il cranio nel sonno a colpi di padella[3]: Puccio era suo compagno di cella e venne ucciso su ordine di Riina, il quale temeva che volesse spodestarlo per prendere il comando[4]. Tuttavia si pente e diventa collaboratore di giustizia nel settembre 1992, dopo la morte di Giovanni Falcone: si trattò del primo pentito proveniente dalle file dei Corleonesi. Tra gli altri, accusò l'ex funzionario di polizia Bruno Contrada[5] e il magistrato Corrado Carnevale[6] di avere rapporti con la mafia ed ammise diverse volte di aver simulato la pazzia, scontando gran parte delle condanne precedenti in 'manicomio' grazie all'intercessione di Riina.

Nel 1994, anche grazie alle sue dichiarazioni (oltre a quelle di Gaspare Mutolo, Giovanni Drago e Francesco Marino Mannoia), fu possibile mettere in atto l'operazione "Golden Market", coordinata dal procuratore capo di Palermo Gian Carlo Caselli, che portò all'emissione di 76 ordini di cattura nei confronti di numerosi professionisti palermitani (medici, avvocati ed impiegati di banca) accusati di essere vicini o addirittura affiliati a Cosa Nostra[7].

In un processo il boss pentito di San Giuseppe Jato Giovanni Brusca dichiarerà che il pentimento di Giuseppe Marchese sconvolse profondamente Cosa Nostra perché è stato il primo mafioso a rompere il primo ‘muro’ dell’ala dei Corleonesi.

Parenti e famiglia

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Marchese aveva 4 fratelli: Antonino, Angela, Gregorio e Vincenzina[8].

Antonino, condannato a diversi ergastoli per omicidio, sposò Agata Di Filippo, sorella di Emanuele e Pasquale (pure loro collaboratori di giustizia)[8]. Vincenzina era sposata con Leoluca Bagarella. Dalle sue dichiarazioni rese durante il confronto con Riina, nel '78 (periodo di fidanzamento tra Bagarella e Vincenzina) Totò Riina andò con tutta la sua famiglia a casa della famiglia Marchese, sita in via Michele Cipolla n.106 a Palermo, il cui appartamento è stato costruito da un certo Ignazio Alarma, e regalò alla sorella Vincenzina un mazzo di rose e un cestino[9]. Alcune voci sostengono che Bagarella uccise sua moglie Vincenza dopo che ebbe saputo che il fratello aveva iniziato a collaborare con la giustizia[8]. Altre voci, più attendibili, dicono che Vincenza si suicidò. Un'altra versione asserisce che era clinicamente depressa dopo una serie di aborti spontanei e si suicidò, lasciando una lettera dove dichiarava la sua vergogna ed in cui, tra l'altro, chiedeva al marito di perdonarla[10].

Il 12 dicembre 2022 viene diffusa la notizia che il fratello Antonino è morto d'infarto nel carcere di Secondigliano, dov'era detenuto al 41 bis[11].

  1. ^ Giampaolo Tucci, «A questo cornuto dovevamo sparare» E la Cupola decise di uccidere libero Grassi (PDF), su archivio.unita.news, L'Unità, 10 marzo 1993, p. 9.
  2. ^ CORSO DEI MILLE, IL PIU' FEROCE DEI CLAN - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 20 ottobre 1984. URL consultato il 16 febbraio 2022.
  3. ^ ASSASSINATO IN CELLA ALL' UCCIARDONE - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 12 maggio 1988. URL consultato il 27 gennaio 2022.
  4. ^ OMICIDIO PUCCIO: ORA RIINA VUOLE IL CONFRONTO CON MUTOLO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 7 maggio 1993. URL consultato il 27 gennaio 2022.
  5. ^ ' CONTRADA SALVO' RIINA' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 23 aprile 1994. URL consultato il 27 gennaio 2022.
  6. ^ la Repubblica/cronaca: 'Condannate Carnevale per associazione mafiosa', su repubblica.it, 15 maggio 2001. URL consultato il 27 gennaio 2022.
  7. ^ MEDICI, AVVOCATI, BANCARI AL SERVIZIO DI COSA NOSTRA - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 3 febbraio 1994. URL consultato il 13 febbraio 2022.
  8. ^ a b c ' SPIETATO E SICURO MIO COGNATO E' ANCORA UN CAPO' - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 28 giugno 1995. URL consultato il 22 dicembre 2022.
  9. ^ XVII Udienza 13-05-1993 Trascrizione Parte 3 (PDF), su archiviopiolatorre.camera.it.
  10. ^ STORIA DI VINCENZINA MOGLIE DEL BOSS SORELLA D' UN PENTITO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it, 26 giugno 1995. URL consultato il 22 dicembre 2022.
  11. ^ Morto in cella il boss Antonino Marchese, uno dei killer più spietati e mai pentiti di Cosa nostra, su PalermoToday, 12 dicembre 2022. URL consultato il 22 dicembre 2022.
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