Type I

fucile italiano

Il Type I è stato un fucile (イ式小銃?, I-shiki shōjū) d'ordinanza a otturatore girevole-scorrevole della famiglia Arisaka, utilizzato dall'Impero giapponese durante la seconda guerra mondiale. L'arma camerava la cartuccia 6,5 × 50 mm Arisaka ma era stata prodotta da aziende italiane su richiesta giapponese; fornito alle truppe nipponiche in circa 60 000 esemplari, fu usato per lo più per l'addestramento ma in alcune occasioni venne adoperato attivamente in battaglia sul fronte del Pacifico dalle unità terrestri della Marina imperiale giapponese.

Type I
Tipofucile a otturatore girevole-scorrevole
OrigineBandiera dell'Italia Regno d'Italia
Impiego
UtilizzatoriBandiera del Giappone Impero giapponese
ConflittiSeconda guerra mondiale
Produzione
ProgettistaFabbrica d'Armi Terni
Data progettazione1938
CostruttoreSezione Fabbrica d'Armi Regio Esercito
Beretta
Fabbrica Nazionale d'Armi
Date di produzione1938-1939
Numero prodotto60 000 o circa 140 000
Descrizione
Peso3,9 chili
Lunghezza1290 mm
Lunghezza canna780 mm
Rigatura4 linee a passo progressivo tipo Metford
Calibro6,5 mm
Munizioni6,5 × 50 mm Arisaka
Numero canne1
AzionamentoA retrocarica, otturatore girevole-scorrevole
Velocità alla volata630 m/s
AlimentazioneSerbatoio fisso da 5 colpi
Organi di miraTacca di mira anteriore
Mirino posteriore con alzo graduato da 400 a 2 400 metri
Fonti citate nel corpo del testo
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Storia modifica

Sviluppo modifica

Nel novembre 1936 l'Impero giapponese firmò con la Germania nazista il patto anticomintern, che vincolava le nazioni contraenti a frenare l'espansione del comunismo sovietico; il Giappone vide nella stipula del patto la certezza di una proficua collaborazione militare con la Germania, che avrebbe sospeso gli aiuti militari (equipaggiamenti e addestramento) forniti alle eterogenee truppe dell'Esercito rivoluzionario nazionale di Chiang Kai-shek. Il 7 luglio 1937 reparti giapponesi sfruttarono il controverso incidente del ponte di Marco Polo per dare avvio all'invasione della Cina e battere i nazionalisti di Chiang Kai-Shek; il conflitto, più duro del previsto, impegnò al massimo le risorse industriali nipponiche.[1]

Tale situazione ebbe ripercussioni sulla distribuzione di armi leggere alla Marina imperiale giapponese: tutti gli arsenali erano infatti sotto il ferreo controllo dell'Esercito, che vantava inoltre la priorità nelle consegne.[2] Dunque la marina inviò una commissione in Europa nel 1938[3] per selezionare un fucile da importare in quantità e sopperire ai problemi in patria. Inizialmente furono valutati alcuni esemplari tedeschi ma il costo ritenuto eccessivo convinse a prendere contatti con aziende ceche e del Regno d'Italia,[2] quest'ultimo alleato del Giappone da quando nel novembre 1937 aveva aderito al patto anticomintern: una delegazione apposita giunse in Italia per supervisionare la progettazione e costruzione in serie di un fucile comparabile a quello d'ordinanza in uso presso l'Esercito imperiale (il Type 38), optando infine per un'arma italiana costruita secondo le specifiche nipponiche.[3]

Il fucile fu denominato イ式小銃, trasposto in caratteri occidentali I-shiki shōjū e stante per "fucile Type I".[4]

Produzione modifica

Dopo la stipula di un contratto per 60 000 fucili ibridi Carcano-Arisaka, i progetti vennero stilati alla Fabbrica d'Armi Terni e la produzione durò dalla fine del 1938 alla metà del 1939, così suddivisa: 30 000 pezzi alla Sezione Fabbrica d'Armi Regio Esercito (SFARE) di Gardone Val Trompia,[3] 15 000 alla Beretta di Gardone Val Trompia e 15 000 alla Fabbrica Nazionale Armi di Brescia;[2] nel corso della fabbricazione il calcio dei fucili non fu trattato con vernici, né furono forniti cinghie e baionette, di cui i giapponesi si erano fatti carico. Man mano che venivano consegnati, i lotti erano esaminati da una commissione nipponica,[3] sebbene una fonte puntualizzi che non è ben chiaro se tutte e tre le aziende coinvolte fossero affiancate da tali commissioni.[1]

Nel complesso non si sa di preciso quanti fucili siano stati prodotti. Se 60 000 è la cifra di solito accettata, una fonte puntualizza che forse la commessa non fu neppure soddisfatta.[3] Un'altra fonte riporta una più numerosa produzione in base all'analisi dei numeri di serie: ogni lotto comprendeva 10 000 pezzi segnati da una lettera e dal numero corrispondente all'ordine cronologico di produzione (da 0 fino a 9999); la SFARE di Val Trompia si occupò dei lotti dalla "A" alla "F", la ditta di Brescia si fece carico dei successivi tre (dalla "G alla "I") e alla Beretta furono affidate le ultime tre commesse, dalla "J" alla "L" (sebbene alcuni fucili della serie J furono prodotti inavvertitamente dalla Fabbrica Nazionale). In base a questi dati è stato calcolato che i fucili consegnati oscillassero tra i 100 000 e i 140 000.[1] Queste conclusioni sono però contestate da una terza fonte, in quanto equivalgono al doppio della commessa originale.[2]

Impiego operativo modifica

Non appena fu in Giappone, a dispetto della natura dell'ordine, il Type I fu presto destinato alle scuole d'addestramento, alle unità navali di guardia o ancora venne messo in deposito; nel complesso si trattò di un'arma robusta e affidabile, anche se non molto maneggevole per il soldato giapponese medio. Furono anche utilizzati in battaglia dalla fanteria di marina nipponica o dai reparti di sorveglianza della marina imperiale che, distaccati sulle varie isole dell'Oceano Pacifico, erano spesso addestrate a combattere come fanteria per opporsi agli sbarchi statunitensi: in particolare numerosi Type I furono rinvenuti dopo la battaglia di Peleliu (settembre-novembre 1944) e durante la riconquista delle Filippine. La gran parte dei fucili fu comunque confiscata dopo la fine della seconda guerra mondiale e oggi si possono trovare vari esemplari nel mercato del collezionismo.[1]

Tecnica modifica

Il Type I era lungo 1290 mm (2 mm meno del Type 38[3]) e pesava 3,9 chili; la canna (rigatura progressiva a 4 linee tipo Metford[3]) misurava da sola 780 mm ed era in calibro 6,5 mm, adatta a sparare la cartuccia giapponese 6,5 × 50 mm Arisaka: le munizioni erano fornite in clip da cinque colpi ciascuna e non da sei, come usuale per il Carcano Mod. 91. Il meccanismo di sparo, la camera di scoppio e l'otturatore erano invece stati ripresi dal Carcano, anch'esso in calibro 6,5 mm, ma intagliati per adattarsi alle munizioni nipponiche. Il sistema di mira era in pratica una copia di quello del fucile nipponico: si componeva di un mirino posteriore sul castello con alzo, graduato da 400 a 2 400 metri, e da una tacca di mira infissa alla volata della canna;[1] tuttavia vi erano differenze. Il mirino del Type I era infatti una tacca a forma di "V" (sul Type 38 consisteva in un foro circolare) e la tacca di mira non era stata dotata delle alette protettive laterali tipiche dell'arma giapponese. Anche il tipo di sicura era diverso e non esistevano i supporti per il coperchio antipolvere dell'otturatore, una dotazione normale per il Type 38; del pari mancavano i due fori sul castello atti a far uscire i gas prodotti da danni accidentali agli inneschi delle cartucce.[2] I proiettili raggiungevano una velocità alla volata di 630 m/s e al momento dello sparo veniva esercitata una forza di 972.10 N·m.[5]

La cassa era uguale a quella del Type 38, senonché sul Type I la scanalatura per agevolare la presa sull'arma era più corta e meno profonda.[2] Il calcio era una copia di quello del Type 38, composto da due parti a incastro a coda di rondine e quindi fissate. L'inclinazione era piuttosto accentuata e il legno utilizzato era più pesante del materiale usato in Giappone; oltretutto fu implementato un secondo modello di calcio più lungo di quello standard, sembra per adattarsi alla maggiore presenza fisica di parte delle truppe di marina.[1] L'attacco per la baionetta Type 30 e le bacchette per la pulizia furono riprodotte quasi identiche, mentre baionetta e tracolla erano aggiunti dagli arsenali nipponici.[1] Fu copiato anche il sistema di scaricamento, un cuneo zigrinato all'interno del ponticello e davanti al grilletto che apriva il fondo del serbatoio, facendo cadere le munizioni.[3]

Da notare che nessuno dei fucili consegnati ebbe mai punzonato sul castello il crisantemo, simbolo della consacrazione dell'arma all'imperatore, né alcun marchio dei vari arsenali giapponesi. Sono rintracciabili le matricole di serie sul lato sinistro esterno della camera, i marchi di fabbrica sul fondo del castello (non sempre presenti) e infine, solo per gli esemplari prodotti dalla Beretta, la sigla "PB" su sicura e maniglia dell'otturatore.[3]

Note modifica

  1. ^ a b c d e f g (EN) The Type "I" Carcano, su smallarmsreview.com. URL consultato il 26 luglio 2014.
  2. ^ a b c d e f (EN) Type I Rifle - The "Japanese Carcano", su nambuworld.com. URL consultato il 26 luglio 2014.
  3. ^ a b c d e f g h i (EN) Carcano-Arisaka Type 1, su exordinanza.net. URL consultato il 26 luglio 2014.
  4. ^ Markham 1977, p. 35.
  5. ^ (EN) Japanese Small Arms, su corpsecandle.com. URL consultato il 27 settembre 2014 (archiviato dall'url originale il 29 settembre 2014).

Bibliografia modifica

  • George Markham, Armi della fanteria giapponese nella seconda guerra mondiale, Castel Bolognese (RA), Ermanno Albertelli, 1977, ISBN non esistente.

Voci correlate modifica

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