Upsilon Andromedae d

pianeta

Upsilon Andromedae d, o Majriti[2] - così chiamato in onore del grande astronomo arabo di al-Andalus Maslama b. Qāsim al-Qūrṭubī, detto al-Maǧrīṭī - è un pianeta extrasolare che orbita la stella simile al Sole, Upsilon Andromedae A. La sua stella madre è stata la prima conosciuta ad ospitare un sistema stellare multiplo (escludendo la pulsar PSR 1257+12).
Il pianeta è il terzo in ordine di distanza dalla propria stella, un quarto pianeta più esterno è stato scoperto nel 2010.

Upsilon Andromedae d
Il pianeta visto col programma Celestia. Nell'immagine sono visibili anche gli altri due pianeti b e c.
Stella madreUpsilon Andromedae A
Scoperta1999
ScopritoriButler, Marcy et al.
Distanza dal Sole43,9 anni luce
Coordinate
(all'epoca J2000)
Ascensione retta01h 36m 47.8s
Declinazione+41° 24' 20"
Parametri orbitali
Semiasse maggiore2,54 ± 0,15 UA
Periodo orbitale1290,1 ± 8,4 giorni
Eccentricità0,258 ± 0,032
Dati fisici
Massa
10,25+0,7
−3,3
 MJ
[1]

Scoperta modifica

Upsilon Andromedae d è stato scoperto nel 1999 da Geoffrey Marcy e R. Paul Butler. Come la maggior parte dei pianeti extrasolari finora scoperti, Upsilon Andromedae c è stato individuato analizzando le variazioni nella velocità radiale della stella causate dalla gravità del pianeta.

Al tempo della scoperta si conosceva già un pianeta in orbita attorno a Upsilon Andromedae A: il gioviano caldo Upsilon Andromedae b. Tuttavia nel 1999 si è capito che il solo pianeta più interno non riusciva a spiegare in modo soddisfacente la curva di velocità. Astronomi della San Francisco State University e del Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics hanno concluso in modo indipendente che il modello che meglio spiegava le osservazioni era formato da tre pianeti.[3] I due nuovi pianeti sono stati designati Upsilon Andromedae c e Upsilon Andromedae d.

Orbita e massa modifica

 
Visione artistica di Upsilon Andromedae d visto da una sua ipotetica luna; trovandosi nella zona abitabile questa potrebbe avere acqua liquida in superficie ed assomigliare alla Terra.

Come la maggior parte degli esopianeti con un lungo periodo orbitale, l'orbita del pianeta è molto eccentrica, più di quella di qualsiasi pianeta nel nostro sistema solare[4]. Il semiasse maggiore dell'orbita lo colloca nella zona abitabile di Upsilon Andromedae A.[5]

L'elevata eccentricità potrebbe essere il risultato di perturbazioni gravitazionali a opera di un pianeta più esterno ora perduto. Secondo alcune simulazioni le interazioni avrebbero spinto Upsilon Andromedae d in un'orbita più interna e più eccentrica, come conseguenza l'orbita del più interno Upsilon Andromedae c sarebbe diventata anch'essa eccentrica e il pianeta più esterno sarebbe stato espulso dal sistema.[6]

Una limitazione nel metodo della velocità radiale usato per scoprire il pianeta è che permette di stimare solo un limite inferiore per la massa. Nel caso di Upsilon Andromedae d il limite è posto a 3,93 volte la massa di Giove, tuttavia a seconda dell'inclinazione orbitale la vera massa potrebbe essere molto più alta. Osservazioni astrometriche preliminari suggeriscono un'inclinazione di 155,5° rispetto alla nostra linea visiva[7]. Se questa misura fosse confermata la vera massa del pianeta sarebbe di circa 10 volte quella di Giove.

Caratteristiche modifica

Data la sua elevata massa il pianeta è un gigante gassoso senza una superficie solida e con una gravità superficiale 10 volte quella della Terra. Siccome il pianeta è stato rilevato solo indirettamente, caratteristiche quali il raggio, la composizione e la temperatura al momento non sono note.
Ipotizzando che la composizione del pianeta sia simile a quella di Giove e che sia in un ambiente prossimo all'equilibrio chimico, si prevede che l'atmosfera superiore del pianeta contenga nubi d'acqua piuttosto che quelle di ammoniaca tipiche di Giove[8]. Uno studio del 2017 ha confermato che l'opacità della sua atmosfera è effettivamente dovuta alla presenza di vapore acqueo.[1]

Upsilon Andromedae d si trova nella zona abitabile della sua stella, cioè quella regione in cui pianeti simili alla Terra possono mantenere acqua allo stato liquido sulla superficie e che ricevono una giusta dose di radiazione ultravioletta dalla propria stella.[5] Le simulazioni suggeriscono che anche con un'orbita eccentrica i pianeti terrestri potrebbero mantenere acqua liquida per l'intero anno locale.[9] Questo significa che un ipotetico grosso satellite naturale di Upsilon Andromedae d potrebbe essere in grado di ospitare la vita.

Note modifica

  1. ^ a b Danielle Piskorz et al., Detection of Water Vapor in the Thermal Spectrum of the Non-transiting Hot Jupiter Upsilon Andromedae b, in The Astronomical Journal, vol. 154, n. 2, 1º agosto 2017, DOI:10.1088/0004-637X/798/1/46.
  2. ^ (EN) The Approved Names, in NameExoWorlds, Unione Astronomica Internazionale. URL consultato il 1º luglio 2018 (archiviato dall'url originale il 1º febbraio 2018).
  3. ^ Butler, R. et al., Evidence for Multiple Companions to υ Andromedae, in The Astrophysical Journal, vol. 526, 1999, pp. 916-927. URL consultato il 13 dicembre 2007 (archiviato dall'url originale il 10 ottobre 2000).
  4. ^ Butler, R. et al., Catalog of Nearby Exoplanets [collegamento interrotto], in The Astrophysical Journal, vol. 646, 2006, pp. 505-522. (web version)
  5. ^ a b Buccino, A. et al., Ultraviolet Radiation Constraints around the Circumstellar Habitable Zones, in Icarus, vol. 183, n. 2, 2006, pp. 491-503.
  6. ^ Ford, E. et al., Planet-planet scattering in the upsilon Andromedae system [collegamento interrotto], in Nature, vol. 434, 2005, pp. 873-876.
  7. ^ Han, I. et al., Preliminary Astrometric Masses for Proposed Extrasolar Planetary Companions [collegamento interrotto], in The Astrophysical Journal, vol. 548, 2001, pp. L57 – L60.
  8. ^ Sudarsky, D. et al., Theoretical Spectra and Atmospheres of Extrasolar Giant Planets, in The Astrophysical Journal, vol. 588, n. 2, 2003, pp. 1121-1148.
  9. ^ Williams, D., Pollard, D., Earth-like worlds on eccentric orbits: excursions beyond the habitable zone, in International Journal of Astrobiology, vol. 1, Cambridge University Press, 2002, pp. 61-69.

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