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Antonio Martinotti (Pavia, 1908Milano, 1999) è stato un artista, pittore e decoratore italiano.



Cenni Biografici

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Antonio Martinotti nacque a Pavia nel 1908.
E' stato pittore, scultore, affrescatore, disegnatore, compositore e restauratore di mosaico, docente di ornato e figura.

A 10 anni si trasferì con la famiglia a Milano.
A 17 anni entrò nella scuola d’arte sacra Beato Angelico.
Appena diplomato vi viene trattenuto dalla stima e dalla fiducia del Fondatore, Mons. Arch. Giuseppe Polvara, come collaboratore ed insegnante.
Temperamento schivo e riservato, emotivo e sensibilissimo, dopo il curriculum di insegnamento, a contatto con gli allievi facendo scuola di ornato e figura e dando prova di conoscenze tecniche, di abilità compositiva, di gusto formale, trovò la sua definitiva vocazione all'arte sacra liturgica.
Sposò nel 1934 l'allieva Mila Mattarelli, prima donna diplomata della scuola. che diventerà una delicata pittrice di Madonne. Dalla loro unione nasceranno due figli.

Varie sono le mostre collettive d’Arte Sacra cui partecipò (Roma, Milano, Brasile, Australia) fin dal 1930, alle quali vanno aggiunte molte personali e quelle allestite insieme alla moglie Mila Mattarelli.

E’ stato anche membro della Commissione Diocesana di Milano per l’Arte Sacra dal 1958 in poi.

La moglie Mila è morta nel 1985.
Antonio Martinotti se n'è andato nel 1999 a 91 anni.

PRECEDENTE TESTO

E' stato pittore, scultore, affrescatore, disegnatore, compositore e restauratore di mosaico, docente di ornato e figura.
A 17 anni entrò nella scuola d’arte sacra Beato Angelico di Milano, giovanissimo divenne docente di ornato e figura nella scuola stessa e fu un artista precoce: già quando era allievo partecipò alla decorazione di chiese , a 20 anni dipinse la prima chiesa sua.
Temperamento schivo e riservato, emotivo e sensibilissimo, trovò la sua definitiva vocazione all’arte sacra liturgica.
Sposò nel 1934 l’allieva Mila Mattarelli, che divenne delicata pittrice soprattutto di Madonne.
La sua attività di maestro pittore d’arte sacra muraria si svolse in due tempi.

Nel primo tempo (1928-1945) lavorò come collaboratore ed esponente della scuola Beato Angelico. Dipinse nel Collegio Arcivescovile di Saronno, le parrocchiali di Bollate, Leggiuno. A Milano la chiesa di S. Andrea e la Chiesa di Santa Maria Beltrade (??BERTRADE o BELTRADE??). E altre opere minori.

Nel settembre del 1943 fu deportato in Germania nel campo di Bochum Hiltrop [1], vicino a Dortmund.

Rimase in campo di prigionia per due anni.

Di quel periodo restano una ventina di disegni a penna e quadri tratti dai disegni.

Rimpatriato nel 1945, cominciò il secondo tempo della sua opera di arte sacra muraria (1945-1972): l’esperienza della prigionia produsse un cambiamento profondo nella sua pittura, la rese più espressiva della sofferenza e tragicità della condizione umana.

Nel 1946 iniziò in proprio affrescando con grandi cicli figurativi le chiese parrocchiali di Albairate, Rescaldina, Carugo; a Milano: San Giuseppe dei Morenti, San Vito, San Nabore e Felice, la chiesa dei SS Innocenti negli Istituti clinici di perfezionamento, l’abside della chiesa dell’ Ospedale Policlinico San Giuseppe.
Dalla fine degli anni sessanta il lavoro nelle chiese diminuì grandemente, perché la committenza ora puntava più sugli effetti dell’architettura nel suo insieme che non sui grandi cicli decorativi. Ultima opera importante fu la decorazione della parrocchia di Inzago nel 1972.

Ha realizzato il ciclo della Via Crucis 5 volte ad affresco e 7 volte su tavola.

Si staccò dalla Beato Angelico, volendo lavorare con l’ affresco, mentre la scuola era indirizzata soprattutto sulla decorazione a tempera.

Delle opere murarie restano molti CARTONI PREPARATORI abbastanza ben conservati. Sono grandi disegni( molti di 2 m. di altezza) a carboncino che servivano per trasporre sull’intonaco le figure in modo da poter procedere alla composizione dell’affresco.
Varie sono le mostre collettive d’Arte Sacra cui partecipò (Roma, Milano, Brasile, Australia) fin dal 1930, alle quali vanno aggiunte molte personali e quelle allestite insieme alla moglie Mila Mattarelli, pittrice lei pure, prima donna diplomata alla scuola Beato Angelico.
E’ stato membro della Commissione Diocesana per l’Arte Sacra [2] dal 1958 in poi.
Antonio Martinotti muore a Milano nel 1999 a 91 anni.




Antonio Martintotti: un Artista a tutto piano

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il rapporto con la pittura e i soggetti sacri

Allora in arte non pareva necessario che occorresse qualcosa di più per dipingere le chiese che l'abilità del mestiere per assecondare le vaghe richieste di un buon parroco, magari di campagna, più esperto certamente di morale e di cure pastorali che di arte liturgica. Martinotti veniva invece dalla scuola di un pioniere che formava gli artisti non solo con i canoni estetici e formali ma anche e soprattutto con la teologia, la Sacra Scrittura, lo studio critico dell'iconografia cristiana, la liturgia come visualizzazione del culto, la pratica integrale della fede come sorgente di ispirazione anche artistica.

Ai suoi allievi Polvara si preoccupò di trasmettere una profonda sensibilità liturgica e quindi biblica e a spronarli a superare i limiti del vero naturalistico per una personale stilizzazione che giungesse a trasfigurare l'immagine realistica, rincorrendo in una dimensione spirituale la primitiva creazione che faceva trasparire il disegno divino: “E Dio vide - ripete la Bibbia - che ciò era buono”. La pittura diventa esplicitazione e commento alla preghiera liturgica e cioè preghiera rappresentata. Nelle realizzazioni dei maestri ed allievi della scuola il rapporto tra illustrazione e mistero liturgico sarà sempre più stretto.

L'artista nella visione di Polvara è :”l'uomo benedetto che ha ricevuto da Natura il talento in modo eccelso e che lo sa usare con tutte le sue forze per potersi avvicinare al Creatore”. Per questo motivo lo scritto del Genesi è alla base delle sue meditazioni sull'estetica cristiana. L'artista e l'arte come lo sforzo di tornare alla bellezza originaria del Paradiso terrestre e al tentativo di ricongiungersi con il Padre. L'artista ha il grande compito come cultore del bello e del buono di ricreare piccole opere d'arte che ricordino il Paradiso perduto e che invoglino tutti coloro che le guardano a continuare la ricerca essendo da esse confortati sulla effettiva esistenza di qualcosa che in questo mondo non riusciamo più a scorgere.

Mons. Polvara, sacerdote ed artista, non lasciava passare nulla, assolutamente nulla ai suoi discepoli che volevano dipingere per la chiesa, senza il vaglio rigorosissimo di una critica totale che, in qualche momento, poteva sembrare soffocante; in realtà creava la scuola Beato Angelico, alla quale divenne obbligatorio, ad un certo momento, fare riferimento tra il clero, e non solo quello lombardo. E Martinotti fu tra coloro che meglio compresero ed espressero la lezione del maestro, anche quando, dopo la guerra e la prigionia nel campo di concentramento in Germania, si staccò dalla scuola per lavorare in proprio.



Cenni tecnici

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Vale la pena soffermarsi a notare l'importanza e la difficoltà della grande pittura murale e dei cicli figurativi molto complessi e programmati. Occorreva comporre un piano generale a partire da una ipotesi di fondo e poi preparare i bozzetti dei vari settori e di ogni parte di ogni settore. Il bozzetto piccolo richiede già le qualità dell'affreschista per essere realizzabile. E qui Martinotti è deliziosamente svelto malgrado l'apparente minuziosa elaborazione anche in piccolissime miniature. Ma quando si arriva al cartone, talvolta gigantesco, e soprattutto quando lo si riporta ad altezze vertiginose e quasi inaccessibili, per essere visto di scorcio e magari in condizioni di luce continuamente variabili, bisogna essere ben bravi per realizzare, adattare, modificare se è il caso, senza perdere lo slancio narrativo e la freschezza dell'invenzione.

Di questi cartoni ne sono rimasti molti, ben conservati e con tanti forellini. In essi venivano tratteggiate a carboncino le figure che dovevano essere trasposte sull'intonaco e quindi si bucherellavano lungo le linee essenziali del disegno in modo che la parte corrispondente al lavoro della giornata potesse essere trasportata sull'intonaco fresco con la tecnica dello spolvero e così poter procedere alla composizione dell’affresco.

Le altezze inaccessibili potevano essere raggiunte con i ponteggi che permettevano a Martinotti di collocarsi accanto ad ogni parte della chiesa che doveva essere dipinta. I ponteggi su cui ha lavorato per tanti anni erano probabilmente molto simili a quelli approntati per i pittori dei secoli passati, tutti in legno, anche le scale che collegavano i vari piani. Era facile allora che chi s'avventurava in visita all'artista, dovendo magari salire fino in cima, fosse preso da un certo senso di vertigine e d'insicurezza.

Qualcuno scrisse descrivendo il lavoro di Martinotti a Rescaldina, certo esagerando ma dando l'idea:
“[il pittore] dipinge incessantemente centinaia e centinaia di metri quadri su impalcature vertiginose, si avvinghia alle pareti, s’intride di esse, si fa funambolo, alpinista, angelo, uccello di Dio”.

Certamente c'è una certa esagerazione ma il pezzo dà l'idea di come la pittura di questi grandi cicli di storie sacre era una vera e propria impresa artistica ma anche fisica, cioè qualcosa che richiedeva visione artistica, particolare destrezza nel tratto (come indicato nella citazione di Erri de Luca all'inizio), resistenza alla fatica, ritmo serrato di lavoro ed anche una certa dose di agilità ed audacia.
Tra le poche fotografie rimaste che ritraggono Martinotti durante i lavori, ce n'è una in cui appare la sua figura piccolissima in cima agli altissimi ponteggi verso la cupola e avvolto dalle grandi pareti concave dipinte.

Sul ritmo di lavoro c'è un simpatico racconto: ad eseguire alcune pitture nella chiesa parrocchiale di Premana, trent'anni prima di Martinotti, che vi operò nel 1967, c'era stato un pittore che dipingeva il mattino e il pomeriggio lo passava al bar a giocare a carte. Quando i vecchi videro che il nuovo pittore dipingeva tutto il giorno, ricordandosi del ritmo di lavoro dell'altro, andarono dal parroco perchè non capivano e gli chiesero: “Se i pittori lavorano mezza giornata, perchè mai lui lavora tutto il giorno?”

Lo sviluppo in più quadri della narrazione esigeva una coerenza compositiva e stilistica che solo un lunghissimo esercizio ed un temperamento particolare potevano rendere. La pittura di Martinotti era infatti caratterizzata da grande abilità nel disegno, dall’armonia delle tinte, dalla sapiente impostazione dei gruppi, dalla grande rapidità nell’esecuzione. La sveltezza non è solo esigenza dell'intonaco a fresco che asciuga rapidamente, ma anche di una unità stilistica rigorosamente richiesta dall'ambiente grandioso ed unito.

La necessità di narrare eventi importanti della storia sacra fecero rifuggire Martinotti dal ricorrere a particolari riempitivi: il paesaggio, la scenografia, spesso con valore allusivo e simbolico, fu ridotta al minimo essenziale, in funzione rigorosa delle figure.
Il colore, ottenuto con sovrapposizioni e sfumature progressive, è armonico, tonale, dà unità e varietà alle composizioni senza mai rompere, anche quando il chiaroscuro fa sentire le sue esigenze.
Le figure sono profuse senza risparmio, spesso in funzione corale, sempre ben impiantate e nettamente stagliate, delicatamente o ruvidamente espressive.

Il racconto è evidente, immediatamente percebile: Martinotti è riuscito a raggiungere la creazione artistica intrecciando sapientemente la dimensione didascalica con quella meditativa. Ha fatto rivivere la Biblia Pauperum, la Bibbia dei Poveri, con il suo antico, nobile fasto.

Si ricorda volentieri davanti a questa pittura la stupenda definizione del Polvara: ”preghiera rappresentata”.


L’OPERA DELL’ARTISTA ANTONIO MARTINOTTI

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L'opera di Martinotti fu fecondissima. La sua attività di maestro pittore d’arte sacra muraria si svolse in due tempi.

Nel primo tempo (1928-1945), come diretto collaboratore della Beato Angelico, dipinse molte chiese e tra queste le parrocchiali di Bollate e Leggiuno, di S. Andrea e S. Maria Beltrade, a Milano, sono i cicli più vasti e completi.

Nel settembre del 1943 fu deportato in Germania insieme a migliaia e migliaia di altri soldati italiani: dopo aver girato numerosi campi, alla fine fu portato nel campo di Bochum Hiltrop, vicino a Dortmund.
Complessivamente rimase due anni in campo di prigionia.

Rimpatriato nell'agosto del 1945, cominciò il secondo tempo della sua opera di arte sacra muraria(1945-1972) : in proprio, ma sempre coerente ai canoni della scuola, dipinse ad affresco ben sei grandi cicli figurativi nelle parrocchiali di Albairate, Rescaldina e Carugo, e, a Milano, nelle chiese di San Vito, dei Santi Nabore e Felice, dei Santi Innocenti (Cappella dellaClinica Mangiagalli ).

Realizzò molte altre opere che non sono minori, anche se non hanno richiesto il tempo e la applicazione dei grandi cicli completi succitati: cappelle, battisteri, santuari, pale d'altare.
Ha realizzato il ciclo della Via Crucis 5 volte ad affresco e 7 volte su tavola.
L'ultima opera realizzata furono i dipinti in alcune pareti della parrocchia di Inzago nel 1972, eseguiti a tempera per contenere i costi.
Nel 1980 infine, nella chiesa di San Bartolomeo a Carugo, ripassò completamente le sue pitture e ne aggiunse altre, essendosi liberate alcune pareti.

Dalla fine degli anni sessanta il lavoro nelle chiese diminuì grandemente, perché l'architettura nuova era diventata sempre più inospitale per i grandi cicli figurativi, sia abolendo la campata e quindi gli ampi spazi ritmicamente ripetuti e le grandi absidi scenografiche, sia sostituendo al fresco intonaco i nuovi materiali di rivestimento. E così la produzione da cavalletto, che era stata coltivata contemporaneamente ai grandi cicli decorativi nelle chiese, si intensificò dagli anni settanta e ottanta in poi.



LA PRODUZIONE DA CAVALLETTO

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Nella sua lunga vecchiaia il poter dipingere molti quadri (fino a 86 anni) è stato sicuramente un elemento altamente salutare; poi la vista è irrimediabilmente calata a causa di una malattia agli occhi e Martinotti ha lasciato sul cavalletto l’ultima opera incompiuta, una Pesca miracolosa.

La produzione a cavalletto comprende molti dipinti di soggetto sacro, per lo più ad olio su masonite: Madonne con Bambino, di familiare ed umana espressività, rappresentazioni di Gesù alla porta, alcune veramente caratteristiche per la loro concretezza e potenza emotiva, altre per la loro dolcezza; e poi vari episodi dei Vangeli (a volte in numerose versioni e dimensioni): Natività, l’incontro di Emmaus, il Figliol prodigo, le Nozze di Cana, Pietro che rinnega Gesù, l’incontro con la Samaritana al pozzo, la Pesca miracolosa, la Resurrezione.

La sua pittura è robusta, corposa, lontana da ogni retorica e cerca di rendere vicina alla sensibilità contemporanea le tematiche dei testi sacri. A volte con amarezza critica, come quando ad osservare Giuda che bacia Gesù o ai piedi della Croce, troviamo rappresentati cardinali e uomini di chiesa.
Inoltre Martinotti ha realizzato molti dipinti con altri soggetti, caratterizzati da un sapiente uso del colore e da una piacevole capacità di robusta rappresentazione popolare delle figure umane.
Ad olio : nature morte, fiori -spesso con esplosione di colori caldi-, ritratti, battaglie medievali; vi sono anche nudi di donna in uno stile che tende alla spiritualizzazione della materia.
Ed ancora: paesaggi urbani in cui si evidenziano i cambiamenti portati dall’industria negli anni ’50; rappresentazioni delle varie stagioni; animali ( cavalli, tartarughe, gatti...); alcune scene della Divina Commedia (Dante nella selva, l’incontro con Paolo e Francesca); giovani innamorati al parco o persone in metropolitana.
Ad acquarello ha invece dipinto paesaggi di marine o dell’entroterra ligure nella zona da Varigotti, Finale Marina e Finale Borgo fino ad Alassio, in cui è riuscito a rendere la particolare luminosità e tonalità dei colori di quelle terre e di quel mare.

Molto interessanti, sia dal punto di vista artistico che storico, sono una ventina di disegni a china, rappresentanti scene della vita di prigionia durante la deportazione in Germania, che riuscì a portare di nascosto in Italia. Di particolare forza evocativa è La Madonna degli internati, in chine colorate, in cui la Madonna accoglie sotto le sue braccia ed il suo mantello i soldati sofferenti per la prigionia. Da due dei disegni sono stati tratti successivamente due quadri ad olio.




Antonio Martinotti: elenco dei dipinti murali

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E’ nota la grande difficoltà della pittura murale e dei cicli figurativi molto complessi e programmati e la pittura dell'artista era caratterizzata da grande abilità nel disegno, dall’armonia delle tinte, dalla sapiente impostazione dei gruppi, dalla grande rapidità nell’esecuzione.

La sveltezza non è solo esigenza dell’intonaco a fresco che asciuga rapidamente ma anche di una unità stilistica rigorosamente esigita dall’ambiente grandioso ed unito.

Il paesaggio è ridotto al minimo essenziale, in funzione rigorosa delle figure, spesso con valore allusivo e simbolico.

Il colore, ottenuto con sovrapposizioni e sfumature progressive, è armonico, tonale. Dà unità e varietà a composizioni, senza mai rompere, anche quando il chiaroscuro fa sentire le sue esigenze.

Le figure sono profuse senza risparmio, spesso in funzione corale, sempre ben impiantate e nettamente stagliate, delicatamente espressive, rifuggendo dal ritratto troppo marcato.

Il racconto è evidente, immediatamente percebile.

La Pittura è didascalica e meditativa, è “preghiera rappresentata”.


- 1929 - 1945: dipinti murali a tempera

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  • 1929 Cappella Famiglia Polvara - Cimitero di Malgrate
  • 1931 Mostra internazionale di Arte Sacra alla Permanente di Milano, piccola abside: Trasfigurazione
  • 1932 Collegio Arcivescovile di Saronno, in varie riprese e Cappella Istituto dei Ciechi a Civate, abside
  • 1933 Parrocchia di Santa Maria Beltrade a MIlano, le due pareti
  • 1934 Parrocchia di S. Andrea a Milano, l'abside Seminario di Clusone, mosaico abside: Trasfigurazione
  • 1935 e '36 Parrocchia di Travesetolo (Parma), piccola abside, Parrocchia di Leggiuno, completa e Cappella del Seminarietto a Milano
  • 1937, '38, '39 Parrocchia di Bollate, completa
  • 1940 Parrocchia di Santa Maria Beltrade a MILANO, parete di fondo con processione e Cappella dell'ospedale di Somma Lombardo
  • 1941 Parrocchia di S.Teresa del Bambino Gesù a GORLA (Milano), abside e arcone e Cappella della Madonna al Seminario di FANO
  • dal 1942 al '45 Servizio militare e prigionia
  • 1945 San Nabore e Felice a MILANO, cappella di Santa Rita (opera in seguito rimossa)

- 1946 - 1980: dipinti murali ad affresco

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  • 1946 Parrocchia di Albairate, fino al 1966 in varie riprese, completa
  • 1948 Parrocchia di San Giuseppe dei Morenti, a Crescenzago (Milano), Via Crucis (m. 23)
  • 1949, '50 e '51 Parrocchia di Rescaldina, completa
  • 1953 Cappella Clinica Mangiagalli a Milano, in varie riprese, completa
  • 1953, '54 e '55 Parrocchia di Carugo, completa
  • 1957 Parrocchia di San Vito a Milano, in varie riprese
  • 1958 Parrocchia di San Nabore e Felice a Milano, fino al 1971, in va­rie riprese, completa
  • 1958 Cappella delle suore di CRENNA **Parrocchia della Sacra Famiglia a Milano, mosaici
  • 1960 Cappella del Preventorio di OLGIATE OLONA
  • 1963 Parrocchia di Sovico, Cappella della Madonna Novate (??QUALE NOVATE??) - Cappella del nuovo Oratorio, Carugo - Cappella del nuovo Oratorio e Piccola Chiesa di San Zeno
  • 1967 Parrocchia di Premana, in parte
  • 1971 Parrocchia di Inzago, nuova abside e parete di fondo
  • 1980 parrocchia di Carugo, ripassata tutta la chiesa, aggiunte altre pitture per trasformazione pareti

La produzione da cavalletto, quadri e disegni, sculture

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La produzione da cavalletto è stata coltivata contemporaneamente ai grandi cicli figurativi nelle chiese e si è intensificata negli anni settanta e ottanta.

Circa duecento cinquanta dipinti di soggetto sacro, per lo più ad olio su masonite: quasi un centinaio di Madonne con Bambino, con familiare ed umana espressività, quadri raffiguranti il Cristo, alcuni veramente caratteristici per la loro concretezza e potenza emotiva, altri per la loro dolcezza.

Vari episodi dei Vangeli (a volte in numerose versioni e dimensioni): Natività, Resurrezione, l’incontro di Emmaus, il Figliol prodigo, le Nozze di Cana, Pietro rinnega Gesù, l’incontro con la Samaritana al pozzo, la pesca miracolosa.

La pittura è robusta, corposa, lontana da ogni retorica e cerca di rendere vicina alla sensibilità contemporanea le tematiche dei testi sacri. A volte dissacrante rispetto ai canoni della pittura sacra, come quando ai piedi della Croce, tra chi è venuto ad assistere, vediamo cardinali e uomini di Chiesa.

Inoltre circa duecento cinquanta dipinti con altri soggetti ; ad olio : nature morte, ritratti, nudi, battaglie medievali; ad acquarello : paesaggi marine o dell’entroterra ligure nella zona di Finale Marina e Finale Borgo, che sanno rendere la particolare luminosità e tonalità dei colori di quelle terre e di quel mare.

  1. I  dipinti di soggetto sacro:
    Madonne con Bambino, di familiare ed umana espressività e vari episodi dei Vangeli; sono caratterizzati da concretezza e dolcezza. 
  2. dipinti con altri soggetti
    ad acquarello, paesaggi ad olio, natura morta, fiori, nudi, donne, battaglie medievali, Dante. Composizioni caratterizzate dal  sapiente uso del colore e da una piacevole capacità di robusta rappresentazione popolare delle figure umane.
  3. disegni (a china, a matita, a sanguigna) di figure umane in varie posizioni e di parti del corpo, che rivelano una grande padronanza del mezzo espressivo.
  4. di interesse storico sono i disegni a china rappresentanti scene della vita di prigionia durante la deportazione in Germania durante la Seconda guerra mondiale e quadri tratti dai disegni a china; sono caratterizzati dalla serenità della composizione



PRIGIONIA NEL CAMPO NAZISTA

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produzione artistica

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---> inserire elenco disegni + spiegazione delle opere e dei materiali disponibili


racconto della prigionia

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(dai racconti raccolti da Aldo, figlio secondogenito dell'artista, nato nel 1946)

L'8 settembre mio padre, che era stato richiamato da poco nell'esercito, apprese l'annuncio dell'armistizio con gli americani nel tardo pomeriggio in un cinema in cui era andato con un altro soldato: ci fu grande entusiasmo, tutti credevano che la guerra fosse finita.
Pochi giorni dopo sarà preso prigioniero insieme a quelli della sua caserma, che era una caserma secondaria, mentre quelli delle altre caserme secondarie e della principale, dove tra l’altro comandava un certo colonnello fascista, riuscirono ad andarsene via.

Tentarono la fuga da una porta ove furono bloccati dal loro maggiore che li minacciava con una pistola. Tentarono da un’altra porta e dopo aver attraversato una casa, al momento di uscire, si trovarono di fronte una sentinella tedesca. Chi poteva aver avvertito i tedeschi se non il maggiore, ''fascista collaborazionista''?

Girava la voce che li avrebbero portati a ricostruire l’esercito in Trentino ma poi non se ne fece niente e furono trasportati in Germania in treno, su un carro bestiame.

Il viaggio durò dieci giorni. Alla prima sosta, dopo tante ore di viaggio, si realizzò uno spettacolo a suo modo straordinario: 1.000 soldati sparpagliati su una collina che defecavano contemporaneamente!

Durante il viaggio, c’erano delle reclute che avevano con sé i vestiti civili, per cui alle stazioni tentavano di dileguarsi e alcuni persino ci riuscirono.

Quando i tedeschi se ne accorsero, presero per strada alcuni giovani che stavano camminando e li misero sul treno. Così alcuni operai si trovarono deportati in Germania e il più giovane, di 17 anni, morì dopo poco tempo, non riuscendo a sopravvivere agli stenti.

Furono deportati prima a Nuova Stettino, ora in Polonia, dove c’era un grande campo di concentramento in cui trovarono alcuni russi che si diceva fossero i superstiti di 10.000 sterminati dai nazisti.

Stettero lì per circa due mesi, segregati in lunghe baracche in cui non facevano niente tutto il giorno. E non si poteva neanche scrivere.

Chi voleva poteva aiutare a fare i lavori agricoli. Era così faticoso stare chinati tutto il giorno per raccogliere le patate che alla fine non si aveva neanche più voglia di mangiare.

Passarono poi per diversi luoghi di prigionia ed infine si stabilirono alla Pasman Shurer, la scuola di Pasman (un delinquente divenuto nazista e poi, ucciso, era diventato martire) nei pressi di Bochum, nella Ruhr, vicino a Dortmund ed Essen. Lì erano in 300.

A gennaio del 1944, mio padre potrà scrivere la prima lettera a casa.
Per quattro mesi fu il comandante, doveva cioè al mattino dire quanti avrebbero lavorato fuori, quanti per servizi interni, quanti erano ammalati. Sembrava semplice ma era difficilissimo perché non erano pochi quelli che cercavano di fare i furbi. Lì erano tutti soldati. Gli ufficiali erano da un’altra parte, tutti insieme e non potevano lavorare, per cui per loro era più difficile far passare il tempo.

Mio padre si prese un aiutante perché da solo non sarebbe riuscito a raggiungere accordi con i soldati che venivano dal sud Italia.

Questo aiutante tuttavia stava sempre seduto e non poteva muoversi a causa dell'idropisia, poi fu portato in ospedale e guarì.
Il problema principale era la denutrizione.

Soprattutto i primi tempi era stato terribile per i più giovani, quelli di venti anni, le loro facce si erano riempite di borse, come quelle dei sette nani, ed andavano in giro con le loro foto dicendo :- Guarda come ero-. Ci si gonfiava per la denutrizione. Nelle docce si vedevano le persone che non avevano più natiche. Magari gambe gonfie e  natiche scomparse. Anche mio padre una volta si tirò giù i pantaloni e vide le gambe gonfie. Pensò :-Accidenti, ci siamo-. Ma dopo due giorni ritornò tutto normale. All'inizio si era abbattuto: mangiare, lavorare ,dormire-mangiare, lavorare, dormire...non si lavò per tutta una settimana, poi cominciò a riprendersi.
A Bochum c’era un professore, di confessione cattolica, che aveva l’incarico di vedere che i prigionieri non rovinassero la scuola. Un giorno mio padre ha riordinato con lui uno stanzone dove erano stati portati tutti i materiali della scuola, fecero amicizia e così quando i  prigionieri italiani sono diventati lavoratori liberi ed hanno avuto il permesso di uscire la sera e di entrare a Bochum, lo invitò a casa sua dove c’era la moglie  e tre figlie : tutti i fidanzati delle figlie erano prigionieri degli alleati.
Mio padre fece vari tipi di lavori : dal trasportare sacchi di cemento di 50 chili sulle spalle al becchino : mettere nella cassa i morti, verniciare di marrone la cassa. Il più duro fu trasportare i fili di cemento : erano lunghe sbarre di ferro che ondulavano per cui era faticosissimo trasportarle. Quello fece anche il 17 febbraio del 1944, il decimo anniversario di matrimonio ; la fatica era insopportabile, perché oltre tutto nevicava, fu l'unica volta che pianse.
I comandanti del campo di concentramento erano polacchi, francesi, belgi, solo più tardi arrivarono due comandanti tedeschi, uno per il lavoro, uno per la disciplina. Quello per la disciplina si faceva fare i ritratti a lui e alla moglie, mentre quello del lavoro diceva che non voleva niente da uno sotto di lui ; era ancora convinto della vittoria quando stavano chiaramente perdendo ; non voleva concedere una Messa, perché la volontà del Furher, non quella di Cristo era la vera. Gli dicevano :-Va maluccio, vero ? Lui rispondeva che non c'era problema, c'erano nuove armi, i V2.

Il capo polacco era un aguzzino tipico, tanto che, quando sono stati liberati, alcuni l’hanno cercato per vendicarsi. Un giorno mio padre entra nel suo ufficio e vede tutto sottosopra e il polacco in piedi su un tavolo che urla :- Topo ! topo!

Una volta il comandante dei lavori del campo l’aveva portato a vedere un bel panorama con colline, case, fabbriche : mio padre doveva ricordarselo senza disegnare niente, per poi fare un quadro.
Gli americani quando arrivarono nel campo, trovarono gli italiani affamati, non diedero da mangiare, ma arrivò un'orchestra che suonò musica classica.

da finire