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L'arma referendaria

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Referendum abrogativo.

I radicali, come del resto tutti i cittadini italiani, incontravano per la prima volta l'istituto del referendum abrogativo di norme di legge nel 1974, a causa di un'iniziativa presa dai cattolici contro la legge frutto della loro più grande battaglia, quella sul divorzio.

Nel gennaio del 1971 veniva depositata la richiesta di referendum da parte del «Comitato nazionale per il referendum sul divorzio», presieduto da Gabrio Lombardi, con il sostegno dell'Azione cattolica, della CEI e di gran parte della DC. Dopo un'iniziale contrarietà circa l'uso del referendum abrogativo in materia di diritti civili, il Partito radicale individuava nello strumento referendario un valore innovativo nei metodi e nei contenuti della lotta politica.

I Radicali furono quindi i primi a schierarsi a favore della tenuta del referendum sul divorzio, mentre lo stesso non fecero gli altri partiti laici, che cercarono di cambiare la legge in Parlamento (compromesso Andreotti-Jotti) pur di evitare ulteriori strappi con il Vaticano[1].

Da quel momento il Partito radicale, nella sua visione competitiva e liberale della democrazia, proponeva l'uso del referendum abrogativo come strumento che alimentava lo scontro e il confronto politico tra le diverse posizioni e coinvolgeva i cittadini nelle decisione fondamentali, a partire dai diritti civili.

Spiegava infatti Marco Pannella: «solo lo scontro fra il mondo cosiddetto moderato, ma che è a destino - suo malgrado - tremendamente reazionario e il mondo del progresso da riconquistare e riaggregare nella sua chiarezza ideale può provocare non il peggio, ma il meglio, sia a destra che a sinistra! Solo scontri ideali, culturali, che attengono alle speranze, alla storia, al meglio di ciascuno possono evitare i pericoli nella storia di una società civile, di un Paese; guadagnare grandi termini di confronto: sulla vita, sullo spermatozoo, sul sesso, sull'amore…»[2]

In concomitanza con la vittoria del referendum sul divorzio, venne lanciata tra il 1973 e il 1974, la prima iniziativa referendaria del partito, con la raccolta firme per indire otto referendum «contro il regime», su posizioni e temi che culturalmente e idealmente, secondo i Radicali, dovevano appartenere alla sinistra: la depenalizzazione dell'aborto, l'abrogazione dal codice penale delle norme più repressive della Legge Reale, l'abrogazione del Concordato con la Santa Sede.

La strategia politica a cui rispondeva la scelta referendaria era infatti la costruzione, a partire dalla mobilitazione dei cittadini e dall'introduzione nello scontro politico di alcune tematiche dirimenti, dell'«unità laica delle forze di sinistra», che costituiva l'obiettivo dell'azione dei radicali di Pannella sin dagli anni cinquanta.

Fallita la campagna di raccolta firme e naufragato il tentativo di creare uno schieramento unitario delle sinistre in opposizione alla DC, nel 1976, dopo l'ingresso in Parlamento di 4 deputati Radicali e il passaggio del PCI nell'area di governo, la nuova strategia referendaria acquisiva il carattere di vero e proprio programma politico alternativo al «compromesso storico». Dopo la bocciatura di quattro quesiti da parte della Corte Costituzionale, e il superamento parlamentare di altri due, nel 1978 si votava per l'abrogazione della legge Reale e del finanziamento pubblico ai partiti.

Sebbene la maggioranza degli italiani si fosse schierata per il mantenimento delle norme, l'esito del referendum sul finanziamento pubblico, un po' come quello sul divorzio, fu un grande successo per il partito: quasi 14 milioni di italiani (il 43,6% dei votanti) votarono contro l'indicazione di tutti i partiti schierati per il «no», dimostrando una crescente insoddisfazione verso le politiche dei due maggiori partiti al governo, DC e PCI.

Nella sua critica costante al bipolarismo DC-PCI e al tipo di società ingessata che i due partiti avevano costruito, il nuovo segretario del Partito socialista italiano, Bettino Craxi, sembrava poter essere l'interlocutore privilegiato del partito. Il progetto era quello di un'alleanza parlamentare come preludio alla creazione di una forza socialista di prima grandezza, cardine dell'alternativa di sinistra.

Saranno di nuovo i referendum il banco di prova di possibili accordi politici. Il XXI Congresso del Pr rivolgeva nel 1979[3] un appello per le elezioni senatoriali, sia al Partito socialista italiano che agli altri partiti di sinistra, a sottoscrivere accordi politici articolati regione per regione, in modo da utilizzare al meglio i risultati di ciascuno.

Si leggeva nel 1980 su «Argomenti Radicali», il bimestrale politico per l'alternativa: «Con i referendum ribadiamo la volontà di portare all'ordine del giorno del paese temi che altrimenti sarebbero ignorati (nucleare, caccia, droga, aborto) o attraverso i quali, con l'abrogazione, si può esercitare una funzione legislativa in positivo (reati d'opinione, norme anticostituzionali penali e militari), perseguendo un metodo di formazione dell'unità dal basso in grado di rompere gli estenuanti negoziati tra partiti che stanno alla base dell'immobilismo di decenni»[4].

Tuttavia la proposta radicale non venne accolta. I Socialisti, i Socialdemocratici, i Repubblicani ed i Liberali divennero i nuovi interlocutori della Democrazia Cristiana, decisa ad emarginare il PCI dopo l'epoca del «compromesso storico», dando vita fino al 1993 alla stagione del «pentapartito».

Il Partito radicale si ritrovava così isolato nella conduzione della campagna referendaria, che vedeva prevalere i «no».

Negli ultimi anni ottanta vi furono le successive campagne referendarie radicali insieme a socialisti, liberali e verdi con quesiti che miravano a riformare in senso garantista la giustizia, e con altri sulla difesa dell'ambiente e la lotta al nucleare (già proposti nel 1981), temi molto sentiti dall'opinione pubblica e cardini della politica del Partito radicale.

Il referendum rappresentava ancora per il movimento l'unico strumento per sbloccare il sistema e consentire decisioni su alcune delle questioni sulle quali l'accordo tra i partiti risultava essere impossibile. Promuovendo con i partiti laici non comunisti una comune campagna referendaria, i Radicali tentarono anche di dar vita ad uno schieramento politico da presentare unito alle elezioni del 1987. Il progetto tuttavia non ebbe seguito a causa della posizione di Craxi, che, nonostante il successo dei cinque referendum, ritrovava l'accordo con la Democrazia Cristiana di Ciriaco De Mita, proseguendo la stagione del «pentapartito».

L'obiettivo politico di inizio anni novanta vedeva gli sforzi del partito concentrati soprattutto sulla riforma del sistema elettorale. Infatti, per i Radicali il sistema elettorale «proporzionale» costituiva una delle regole più importanti del «regime», per la rappresentanza dei partiti in Parlamento, per la distribuzione del potere politico e per l'accesso al potere socio-economico. Cambiare quella regola significava introdurre un potente elemento di contraddizione nel cuore del «regime».

La prima iniziativa fu presa nel 1990 insieme al Corel per la legge elettorale maggioritaria al Senato, per l'elezione di Sindaci e Presidenti delle Province con formule fortemente maggioritarie e per la preferenza unica alla Camera.

L'unico sopravvissuto al giudizio di ammissibilità della Consulta fu il quesito sulla preferenza unica, che nel voto del 9 giugno 1991 registrava una netta affermazione dei «si».

Incoraggiati dall'esito altamente positivo del referendum, i promotori rilanciarono la raccolta delle firme sui due quesiti respinti dalla Corte Costituzionale opportunamente modificati. Il Pr, pur essendo protagonista della nuova iniziativa referendaria, marcava subito una distanza rispetto agli altri promotori, da una parte insistendo sulla necessità di una chiara scelta della riforma elettorale anglosassone, maggioritaria e a un solo turno, e dall'altra aggiungendo altri tre referendum al pacchetto, quelli sul finanziamento pubblico dei partiti, sulla depenalizzazione della legge sulla droga, e sul controllo ambientale delle USL.

La forte affermazione di tutti i quesiti ed in particolare di quelli elettorali sembravano poter determinare una svolta nel sistema politico italiano. Tuttavia i Radicali criticavano subito l'approvazione della Legge Mattarella approvata in seguito dal Parlamento, che manteneva il 25% dei seggi assegnati, grazie ad un'apposita scheda elettorale, con il metodo proporzionale. Ciò, a loro giudizio, di fatto vanificava l'esito referendario, mantenendo intatta la frammentazione partitica. Importante fu l'ottenimento della depenalizzazione completa (poi reintrodotta per un breve periodo negli anni 2000) dell'uso personale di droga.

Sempre nel 1993 la successiva campagna, oltre alla riproposizione dei quesiti elettorali, vedeva la presenza di una serie di quesiti «liberali e liberisti», aprendo così un fronte di lotta che vedeva impegnato il partito per tutti gli anni novanta.

Tredici quesiti che rappresentavano per il partito un «programma di governo» che mirava a tutelare la «dignità» del cittadino, del contribuente, del consumatore, attraverso una maggiore «libertà» su temi come il fisco, il commercio, il servizio sanitario e il lavoro.

Il Movimento dei Club Pannella-Riformatori tentava di coinvolgere Forza Italia, la nuova formazione politica che si proponeva di rappresentare «il partito liberale di massa»[5]. Tuttavia Berlusconi non mantenne nessuno degli impegni presi e per questo i Radicali si presentarono in tutte le elezioni successive al di fuori dei due schieramenti politici, portando avanti isolatamente anche le successive iniziative referendarie.

Nel 1995 tra i sei quesiti che superarono il giudizio di legittimità della Corte Costituzionale, tre furono approvati dai cittadini: soggiorno cautelare, trattenute dei contributi sindacali e privatizzazione della RaiTV.

Nel 1996, dopo essersi presentati alle elezioni con la lista Pannella-Sgarbi con scarso successo, i Radicali tornavano a proporsi come soggetto fondatore «di un'Unione federalista dei Riformatori, che aveva ancora come obiettivo il trittico Presidenzialismo, Federalismo, Bipartitismo "americano" con leggi elettorali maggioritarie a tutti i livelli. Questo progetto si incardinava in una nuova iniziativa referendaria articolata in venti quesiti, tra i quali, nuovamente, quelli elettorali, insieme a quelli per la riforma della giustizia, del fisco, della sanità e ad alcuni cavalli di battaglia storici, come la depenalizzazione dell'aborto, l'obiezione di coscienza e la legalizzazione delle droghe leggere. Nel giugno del 1997 i quesiti, ridotti dalla Corte Costituzionale a sei, pur ottenendo maggioranze schiaccianti di «sì», non riuscirono a raggiungere il quorum richiesto.

Il movimento si impegnava a presentare subito un nuovo pacchetto di referendum formulato in una serie di pubblicazioni inviate ad un indirizzario di imprenditori tra l'ottobre del 1996 e il luglio del 1997. Il più diffuso di questi fogli, intitolato «Terzo Stato», raccoglieva in prima pagina un vero e proprio manifesto politico indirizzato a quello che, con una metafora storica di sapore rivoluzionario, Marco Pannella chiamava «il Terzo Stato dell'impresa, della produzione, del lavoro e della scienza; dei non garantiti e delle vittime dello «Stato»; dei «padroni» e dei disoccupati; dei sette milioni di partite IVA, dei cinque milioni e mezzo di imprenditori e dei tre milioni di senza lavoro, degli immigrati e dei non-emigranti; dei cittadini senza diritti»[6]. Il tentativo era sempre quello di incardinare un conflitto basato su una nuova linea di frattura tra riformatori e conservatori, progetto che si scontrava con quella pratica italiana di «concertazione tra le parti sociali» che, secondo i Radicali, molto spesso subordinava ogni riforma economica all'accordo con i sindacati.

Pur rivolgendosi a un interlocutore sociale non sempre sostenuto, perché ritenuto disorganizzato e privo di identità e legami, Marco Pannella cercava di coinvolgere in questa impresa la Confindustria. Proprio la mancanza di una sostegno convinto da parte di questa organizzazione portava il partito a desistere dall'impresa.

Gran parte dei quesiti furono riproposti nella campagna referendaria lanciata nel 1999, quando avendo a disposizione una quantità senza precedenti di fondi dopo il successo elettorale della Lista Emma Bonino alle elezioni europee e la vendita di Radio Radicale 2, il partito si trovava in condizione di portare a termine da solo la campagna di raccolte firme.

Il pacchetto dei 20 referendum si inseriva all'interno di quel progetto politico-sociale che era stato battezzato da Pannella con lo slogan «rivoluzione liberale». Quesiti per l'abolizione, nelle loro varie forme, dei finanziamenti pubblici a partiti, sindacati e chiese, per la riforma della giustizia, per l'abolizione della quota proporzionale residua nel sistema elettorale, per la liberalizzazione del mercato del lavoro, del fisco e del sistema previdenziale. L'invito all'astensione di tutti i principali partiti provocava una bassa partecipazione dei cittadini e il fallimento dei referendum.

Dal 2001, in particolare grazie all'impegno di Luca Coscioni, il partito si impegna sul tema della libertà di ricerca e di cura. I Radicali Italiani e l'Associazione Luca Coscioni promuovevano il referendum popolare per l'abrogazione della legge sulla fecondazione assistita, approvata nel 2004 da parte della Casa delle Libertà e di alcune componenti del centro-sinistra, in quanto, a loro giudizio, colpiva i diritti e le libertà delle coppie sterili e di milioni di malati, a cui si negava, in Italia, una speranza di vita e di guarigione.

L'appello per il referendum era rivolto ancora a tutte le forze politiche e sociali (i Democratici di Sinistra, i sindacati, le associazioni, i «liberali» del centro-destra e dell'Ulivo) che avevano denunciato i mali possibili di quella legge, affinché, concretamente, si mettessero al lavoro insieme per abolirla. Così come per le altre lotte per i diritti civili, come l'aborto e il divorzio, secondo i Radicali la popolazione italiana era pronta a seguire l'impostazione liberale anche su questo tema della libertà di ricerca scientifica.

Il referendum non supererà il quorum, ma sarà grazie alla mobilitazione di quei mesi con il partito dei Socialisti Democratici Italiani ed altri movimenti di sinistra, che i Radicali daranno vita con lo SDI ad una nuova forza politica «laica, liberale, radicale, socialista», la Rosa nel pugno, che promuoverà nuovamente, tra le altre cose, l'obiettivo della laicità dello Stato all'interno dello schieramento di centro-sinistra.

  1. ^ Piero Craveri, La Repubblica, 1959-1992, Utet, p. 442
  2. ^ Marco Pannella, Relazione introduttiva nel XXV Congresso, 1981
  3. ^ La mozione generale approvata dal XXI Congresso (straordinario) del Pr, Roma, 29, 30, 31 marzo, 1 e 2 aprile 1979
  4. ^ Franco Corleone, Lorenzo Strik Lievers e Massimo Teodori Guerra, terrorismo, solidarietà nazionale Argomenti Radicali n.14, 30 gennaio 1980
  5. ^ Appello di Forza Italia e del Movimento dei club Pannella-Riformatori ai cittadini italiani Archiviato il 29 settembre 2007 in Internet Archive. 7 luglio 1994
  6. ^ Copia pubblicazione inviata agli imprenditori, 1997/98: suicidio o trionfo dell'imprenditore italiano, 29 luglio 1997