35 millimetri (pellicola cinematografica)
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La pellicola 35 millimetri è il più comune formato di pellicola utilizzata per la ripresa e la proiezione cinematografica, nonché lo standard cinematografico.[1]
Il nome del formato deriva indirettamente dalla larghezza dell'omonima pellicola fotografica, che consiste in strisce da 34,98 ± 0,03 millimetri, la quale a sua volta ha avuto origine da quella cinematografica. I fotogrammi di uso cinematografico, tuttavia, hanno una dimensione di 18 × 24 mm. Il fotogramma standard per il cinema prevede 4 fori per ogni fotogramma, per un totale di 16 fotogrammi per un piede di pellicola.
Tra la fine del XIX e il XX secolo fu inventata e brevettata una gran varietà di formati di pellicola per diversi sistemi di ripresa e proiezione. Da questa ricerca si sviluppò una serie di apparecchiature (macchine fotografiche, cineprese, proiettori...) appositamente sviluppati per i singoli formati. La pellicola 35 millimetri fu originariamente sviluppata e introdotta nel 1892 da William Dickson e Thomas Edison, originariamente specificata come 1 3⁄8 pollici, utilizzando le pellicole 120 di George Eastman. La pellicola 35 millimetri con 4 perforazioni per fotogramma fu accettata come standard nel 1909 e rimase per molto tempo il formato dominante per la ripresa e la proiezione di immagini, fino all'arrivo delle nuove tecnologie digitali.
Nonostante le sfide dei diversi formati, dai più piccoli ai più grandi, i più videro in questa tipologia di pellicola il giusto compromesso tra una buona qualità dell'immagine e il costo delle bobine.
StoriaModifica
Adottato quasi subito dopo l'invenzione del cinema, nel 1909, in seguito a un accordo internazionale di standardizzazione, il fotogramma misurava 24 mm × 18 mm, con un rapporto d'aspetto di circa 1,33 (come quello degli schermi televisivi in formato 4:3).
Con l'avvento del sonoro e quindi con la necessità di creare spazio per la colonna sonora, il fotogramma venne dapprima portato a 21 mm × 18 mm, con un rapporto larghezza-altezza di circa 1,16 e, in seguito, a 22 mm × 16 mm (lasciando dello spazio nero tra i fotogrammi), con un rapporto larghezza-altezza di circa 1,37. Quest'ultimo formato è lo standard usato ancora oggi (detto Academy Standard), salvo che per i formati a schermo panoramico (1,66 e 1,85, senza uso di lente anamorfica o 2,35-2,39-2,40 con uso di lente anamorfica).
Il formato 35 mm è stato la base per gli altri formati, che ereditano le sue caratteristiche principali, introducendo solo piccole variazioni riguardanti le dimensioni del formato.
I fotogrammi vengono stampati in successione su una pellicola cinematografica di triacetato o poliestere, con uno spazio fra un fotogramma e l'altro (interlinea) di 3 mm in caso di riprese flat con rapporto visivo 1,33:1, con spazio di circa 4 mm in caso di riprese flat 1,85:1 o con spazio praticamente nullo tra i fotogrammi in caso di riprese anamorfiche con rapporto visivo 1,17:1 nativo, che diventa 2,35:1 su schermo.
La pellicola è munita ai lati di due bande perforate con 4 fori per fotogramma, che forniscono la presa per il meccanismo di trascinamento della cinepresa, solitamente a griffa, e del proiettore, solitamente composto da rocchetti dentati (uno di questi è azionato dalla croce di Malta).
Formati comuniModifica
PerforazioniModifica
- BH
- KS
- DH
- CS
Il passaggio alla fotografiaModifica
Il formato dei fotogrammi di 24 mm × 36 mm è quello che ha avuto maggior successo nella fotografia a pellicola, soprattutto per il fatto che venne usato da Oskar Barnack per la Leica, detto pellicola 35 mm o pellicola 135.
Il formato 135 mm consente di costruire macchine leggere, di piccole dimensioni e relativamente economiche, che comunque permettono di ottenere immagini di qualità adeguata alla gran parte delle applicazioni; si tratta quindi di un formato di uso generale, che viene usato da praticamente tutti i dilettanti e da buona parte dei professionisti, almeno per le applicazioni meno critiche.
NoteModifica
- ^ J. Belton, Historical Paper: The Origins of 35mm Film as a Standard, in SMPTE Journal, vol. 99, n. 8, 1990-08, pp. 652–661, DOI:10.5594/J02613. URL consultato il 12 gennaio 2021.
Voci correlateModifica
Altri progettiModifica
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