Chiesa di Santa Maria Assunta (Polizzi Generosa)

edificio religioso di Polizzi Generosa

La chiesa di Santa Maria Assunta o chiesa di Santa Maria Maggiore è il principale luogo di culto di Polizzi Generosa. Appartenente alla Diocesi di Cefalù sotto il patrocinio di Gandolfo da Binasco, arcipretura di Polizzi Generosa.

Chiesa di Santa Maria Assunta
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneSicilia
LocalitàPolizzi Generosa
Coordinate37°48′47.12″N 14°00′04.5″E / 37.81309°N 14.00125°E37.81309; 14.00125
Religionecattolica
TitolareMaria Santissima Assunta
Diocesi Cefalù
Inizio costruzioneXI secolo
Completamento1791

Storia modifica

Epoca normanna modifica

L'edificio sorge nella parte alta della città ai piedi del colle denominato «Castello» con prospetto rivolto a levante. Le prime strutture risalgono all'epoca normanna[1] erette per volontà della contessa Adelasia di Adernò, nipote del Gran Conte Ruggero, consorte di Rinaldo dell'Aquila e signora di Polizzi.

Epoca spagnola modifica

La costruzione è ingrandita sotto i Ventimiglia[1] in stile gotico e varie volte rimaneggiata nel corso dei secoli, rifacimenti che si susseguirono nel corso degli anni in particolare nel 1620, profondamente modificata nel 1690,[1] nel 1764, anno in cui venne diroccata, fino alla parziale riedificazione del 1794. I caratteri originali normanni sono riconoscibili sotto il cinquecentesco portico laterale[1], nella finestra lunga e stretta e nell'antico portale denominato di «San Cristoforo».

A Gandolfo Buongiorno spettano le modifiche del prospetto e la demolizione del primitivo campanile.

Interno modifica

 
Interno

L'impianto è di tipo basilicale a tre navate[1] un tempo suddivise da pilastri e archi a sesto acuto, oggi definite da colonne che sorreggono archi a tutto sesto. Giurati, nobili, confraternite hanno contribuito ad arricchirla dopo il passaggio al demanio regio dotandola di cappelle, coro, organo, il Crocifisso e la cona grande, polittico realizzato da Antonello Crescenzio.

Sulla porta d'ingresso sono poste La Strage degli Innocenti e Il Martirio dei Diecimila Martiri, opere di Johannes de Matta, rispettivamente tempera e olio su tela, ambedue collocabili nel quarto decennio del XVI secolo.

Navata destra modifica

Transetto destro modifica

Cappella di San Gandolfo. L'ambiente custodisce l'arca marmorea del santo, opera commissionata dai Giurati di Città e dal Procuratore della Cappella a Domenico Gagini nel 1482. La lastra tombale di copertura raffigura la figura giacente di San Gandolfo, nella predella sono raffigurati gli Apostoli con Maria Vergine, quattro angeli e le scene della Predica nella matrice per la Quaresima, il Trasporto dell'Arca, la Venerazione dei fedeli, scolpite attorno al cuscino.[1][2] Documentata una Ultima Cena, bassorilievo marmoreo realizzato dallo stesso autore.[1] Tra i manufatti più importanti l'Urna di San Gandolfo. Quest'ultima opera degli argentieri Andrea Di Leo, Nibilio Gagini, Giuseppe Gagini, Giovanni Zuccaro, realizzata tra il XVI e XVII secolo su incarico dei Giurati e dell'Università di Polizzi nel 1549, con successivi interventi su una preesistente cassa di legno del 1320. Il primitivo involucro è interamente rivestito da lamine d'argento, suddiviso in nicchie intervallate da paraste, contenenti le statuette degli Apostoli, San Francesco d'Assisi, Sant'Antonio di Padova e l'Annunciazione. Il mezzobusto sormonta il manufatto caratterizzato dalle pregevoli fattezze del volto argenteo di San Gandolfo, opera magistrale di Nibilio Gagini.

Navata sinistra modifica

Transetto sinistro modifica

Absidiole modifica

  • Absidiola destra: Cappella del Santissimo Sacramento o Cappella di San Giuseppe. Nell'ambiente è documentata la Custodia del Sacramento, manufatto commissionato a Giorgio da Milano dalla Compagnia del Sacramento nel 1496. L'opera fu realizzata e completata in tempi successivi da Bartolomeo Berrettaro, Pier Paolo di Paolo Romano, Luigi di Battista, infine decorata da Johannes de Matta. Raffigurava la Trasfigurazione di Cristo, i profeti Mosè e Elia in posa genuflessa e gli Apostoli. Il Cristo Trasfigurato dopo il disastroso disassemblaggio del 1764, assieme ad altre figure è stato collocato all'esterno della facciata nel portico, più tardi, nell'attuale cappella. I Profeti sono stati inseriti nei pilastri del cappellone, le figure degli Apostoli confinate in un magazzino.[4] Dei tanti episodi biblici riprodotti, le tre scene raffiguranti la Cena Eucaristica, il Bacio di Giuda e la Resurrezione di Cristo, furono incastonate sulla parete del portico.
  • Absidiola sinistra: Cappella del Santissimo Crocifisso. Nell'edicola di raffinato altare è incastonato un monumentale reliquiario sul quale risalta un Crocifisso della prima metà del XVII secolo di ignoto scultore, sulla mensa sono disposte alcune statue lignee attribuite a Filippo Quattrocchi.

Altare maggiore modifica

Cona grande,[5] polittico realizzato da Antonello Crescenzio e documentato per l'altare maggiore ovvero una macchina con sculture marmoree e lignee, di cui si conserva soltanto la predella con gli Apostoli posta in sagrestia e due figure superstiti raffiguranti San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista, opere documentate nel museo Alessi di Enna. Questa, come tante altre opere, fu disassemblata e quasi interamente distrutta in seguito ai rifacimenti che si susseguirono nel corso degli anni, questa in particolare nel 1620 quando fu ampliata l'abside e nel 1764, anno in cui fu smantellata per ingrandire gli ambienti posti dietro l'altare maggiore.

Sull'odierna sopraelevazione è collocata la Madonna con bambino, statua marmorea opera documentata di Giuliano Mancino del 1508.[6]

Tesoro modifica

Feste religiose modifica

  • Festa di San Gandolfo, terza domenica di settembre.

Note modifica

  1. ^ a b c d e f g Touring Club Italiano, p. 464.
  2. ^ Gioacchino di Marzo, pp. 77 / 85.
  3. ^ Pagina 149, Gioacchino Di Marzo, "Delle Belle arti in Sicilia: dal sorgere del secolo XV alla fine del XVI" [1], Volume III, Palermo, Salvatore di Marzo editore, Francesco Lao tipografo, 1862.
  4. ^ Gioacchino di Marzo, pp. 60-62.
  5. ^ Gioacchino di Marzo, II, p. 111.
  6. ^ Gioacchino di Marzo, p. 111.
  7. ^ Gioacchino di Marzo, pp. 630 e 631.
  8. ^ Gioacchino di Marzo, pp. 642 e 643.

Bibliografia modifica

Altri progetti modifica