Con il termine tedesco di Kammermohr (o Hofmohr, in italiano "moro da camera") nel XVIII secolo si indicavano dei servi di pelle scura che erano al servizio nelle corti o presso personalità di rilievo dell'aristocrazia o della chiesa in Europa. Questi uomini erano perlopiù schiavi provenienti dall'Oriente, dall'Africa e dall'America dove venivano recuperati o deportati. Il termine venne per la prima volta ufficialmente utilizzato nell’Hofprotokoll nel 1747 nel Codex Augusteus sassone.[1]

Ritratto della principessa-badessa Francesca Cristina del Palatinato-Sulzbach con il suo Kammermohren Ignatius Fortuna, opera di Johann Jakob Schmitz, Colonia, 1772

Il moro da camera era spesso vestito con una livrea sgargiante e serviva direttamente il proprio padrone fosse esso un sovrano, un dignitario ecclesiastico o un ricco mercante, dal quale egli era ostentato come oggetto di prestigio esotico e simbolo del proprio potere e della propria influenza. Avere un servo di colore nella propria casa era anche un sintomo di ricchezza e lusso, anche come simbolo che il suo proprietario aveva contatti commerciali e relazioni diplomatiche con il resto del mondo, con luoghi anche molto lontani dalla società europea. Questo era il motivo per cui spesso i grandi dignitari si facevano dipingere nei loro ritratti ufficiali accompagnati da questi mori. Tale pratica divenne particolarmente in uso presso le grandi potenze coloniali come per esempio la Gran Bretagna e la Francia e declinò con la fine del XVIII secolo con il farsi strada degli ideali della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino della Rivoluzione francese e l'abolizione della schiavitù.

L'uso di avere schiavi di colore al proprio servizio per definire il proprio status riuscì a permanere ancora fino alla seconda metà dell'Ottocento solo negli Stati Confederati d'America e in pochi altri Stati che ancora perseguivano lo schiavismo. La pratica è celebrata anche nel film Via col vento del 1939.

Tra i più noti mori da camera ricordiamo Anton Wilhelm Amo, Angelo Soliman, Ignatius Fortuna e Abraham Petrović Hannibal.

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Note modifica

  1. ^ Copia archiviata, su rzuser.uni-hd.de. URL consultato il 6 ottobre 2017 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).

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