Leone Casagranda

cappellano militare italiano

Padre Leone Casagranda, al secolo Attilio Casagranda (Brusago, 26 maggio 1912[1][2]Uciostoje (Tambov), 18 marzo 1943[1][2][3]), è stato un militare e presbitero italiano, cappellano militare degli Alpini.

Padre Leone Casagranda

Per il suo ruolo durante la ritirata dal Fronte russo nell'ambito della seconda guerra mondiale, è stato decorato con due Medaglie di bronzo al Valor Militare italiane e con una croce di ferro di seconda classe tedesca. Il 2 maggio 2010 gli viene intitolato il Centro Culturale del Comune di Bedollo in Provincia di Trento[1]. Caratteristica peculiare di questo cappellano militare è l'essere stato citato su tratti consistenti di romanzi sulla ritirata dalla Russia quali Noi soli vivi di Carlo Vicentini e Centomila gavette di ghiaccio di Giulio Bedeschi.

Biografia modifica

Attilio Casagranda, entrato in seminario nel 1924, vestì l'abito Cappuccino nel noviziato di Arco nell'autunno del 1928. Ordinato sacerdote il 28 giugno 1936, negli anni successivi fu designato all'insegnamento delle lettere presso il liceo dei Cappuccini di Rovereto. Dopo quattro anni di insegnamento, fu richiamato a Trento e nominato Direttore del Terzo Ordine Regolare di San Francesco. La sua aspirazione più grande, secondo la testimonianza della sorella Giuseppina Casagranda, era di prestare servizio presso la missione di Gkuraghe, in Abissinia, dove i suoi confratelli lo aspettavano quale prezioso collaboratore, ma altri compiti lo attendevano. Il 16 dicembre 1941, dopo neppure un anno da quando era divenuto Direttore del Terzo Ordine Francescano, fu richiamato come Cappellano Militare. Si diresse quindi ad Aosta, per iniziare il nuovo apostolato tra gli Alpini del Battaglione Sciatori Monte Cervino, e depose l'abito francescano, come scrisse lui stesso, con "un bacio e due lacrime".

"Alto e robusto, di carattere gioviale ed esuberante, sembrava fatto apposta per essere Cappellano degli Alpini" testimonia la sorella. Quando il sacerdote lo raggiunse, il battaglione era ormai prossimo alla partenza per il fronte Est. Nel marzo del 1942, Padre Leone si prodigò eroicamente per soccorrere i feriti nel primo aspro combattimento della campagna di Russia. Nell'aprile scriveva così ai suoi confratelli:

«Giorni fa ho celebrato la Santa Pasqua con i miei uomini. Alla predica dissi che il martellare delle artiglierie che passavano sopra il nostro capo poteva assomigliare all'accompagnamento dell'organo che eravamo soliti sentire nelle nostre chiese[...].Mi sono divorato 100 km di autocarro, ma qui in Russia per simili inezie si ride. Tutto è largo, ampio e le distanze contano poco.»

Nel maggio del 1942, durante un secondo combattimento, duro e selvaggio, con la baionetta e le bombe a mano, Padre Leone meritò una prima medaglia di bronzo. Fu l'allora Cappellano Militare Don Arrigo Pintonello, poi Ordinario Militare, a darne la notizia ai confratelli in data 15 giugno 1942.

Nell'agosto dello stesso anno, vi fu un nuovo duro combattimento, nel quale Padre Leone si offrì di sostituire un altro Cappellano assente. Meritò in quest'occasione una seconda medaglia di bronzo e una Croce di Ferro di seconda classe dai Tedeschi. Tra il 15 ed il 18 gennaio 1943, combatté nella battaglia tra Kharkov e il fiume Don. Rimase circondato insieme ai suoi, ma si impose di continuare la resistenza. Fatto prigioniero dai Russi, camminò per quattro giorni nelle nevi e viaggiò per quaranta giorni su una carro bestiame prima di arrivare al campo di prigionia. Vi arrivò stremato, con un piede congelato. Morì di inedia, come l'80% dei prigionieri, il 16 marzo 1943 nel campo di prigionia numero 56 di Uciostoje, vicino a Tambov.[4]

Noi soli vivi modifica

La notizia della morte fu riferita alla famiglia solo due anni più tardi, da Carlo Vicentini, tenente del battaglione Cervino. Fraterno amico di Vicentini, Padre Leone verrà citato da quest'ultimo nel suo Noi soli vivi.

«Mi raggiunse Padre Leone, il nostro cappellano. Era l'ufficiale con cui ero in maggior confidenza, non per questioni di religiosità, ma perché, facendo parte come me del comando di battaglione, me lo trovavo accanto durante i pasti, a dormire, a leggere, quando si giocava a carte[...]. Il cappellano era mio coetaneo, ma soprattutto era uno dei pochissimi trentini del battaglione e chiacchierare in dialetto tra noi era cosa che faceva bene ad entrambi[5]»

Dopo che alla coppia di ufficiali venne risparmiata la fucilazione dai russi, Vicentini suggerisce all'amico:

«- Togliti quella croce - dissi al cappellano - lo sai che i bolscevichi non hanno simpatia per i preti.- - Io non tolgo niente. -[5]»

Infine, dopo che i due vengono fatti prigionieri assieme agli altri superstiti del battaglione, vengono descritti gli ultimi giorni e la morte di Padre Leone:

«Guardavo quei volti con la segreta speranza di vedere un amico, un collega, un alpino conosciuto e fui esultante quando mi sentii chiamare. Non riuscivo a capire chi fosse lo spauracchio che mi veniva incontro, e quando mi disse il suo nome, continuai a guardarlo incredulo[...]. Mi disse che c'era anche il cappellano, con altri cinque del Monte Cervino[...]. Padre Leone, il cappellano, mi colpì profondamente. Quando lo avevo conosciuto al battaglione, aveva la taglia di un armadio; anche se camminava un po' curvo ed avesse l'abitudine di tenere la testa reclinata sul petto – senza dubbio una forma di umiltà inculcatagli in convento- tradiva una forza poderosa. Lo testimoniavano le sue mani, nelle quali le nostre sparivano quando ce le stringeva, ed i suoi piedi, per i quali non s'era trovata nessuna misura di scarponi Vibram che andasse bene ed avevamo dovuto farglieli su misura; sopportava male anche quelle zattere, abituato com'era, a camminar scalzo nei suoi sandali di cappuccino[...].Era nell'ufficio del suo ministero, che rivelava tutta la sua umanità, non soffocandola di dottrina e di dogmatica. Sapeva consolare, consigliare, rimproverare, o stimolare i nostri uomini perché, da autentico montanaro come loro, ne conosceva a fondo i sentimenti e la mentalità.[...] Ebbene, quel giorno lo trovai invecchiato di colpo […]. El “vecio Leon” che nell'infuriare delle azioni, da Klinovj a Seleny Jar, incurante delle pallottole e delle granate, si inchinava sui caduti e sui morenti per benedirli, che si improvvisava portaferiti, che andava a ricuperare le salme dei nostri e quelle dei reparti vicini, sotto il naso dei Russi, ora s'era rinchiuso in se stesso, qualcosa s'era spezzato in lui. Si rammaricava di non aver fatto abbastanza il suo dovere di curatore d'anime, ed evocando la notte che stavano per giustiziarci, angosciato, non si perdonava il fatto che, in quel momento, non gli era nemmeno passato per la mente di chiedere misericordia a Dio o di recitare un requiem per i ragazzi tedeschi che avevano ucciso sotto i nostri occhi. Stava nel bunker vicino al mio [...] ed andavo a trovarlo tutti i giorni. Non era più capace di alzarsi. Mi diede un fascetto di banconote russe [...] Si spense pochi giorni dopo, mentre stavo al lavoro.[5]»

Centomila gavette di ghiaccio modifica

Un passo sarà dedicato al cappellano trentino anche da Giulio Bedeschi nel celebre Centomila gavette di ghiaccio. Padre Leone viene presentato così:

«L'altro ufficiale era Padre Leone, il capitano del battaglione Monte Cervino, gran barba e gran cuore in piccolo corpo[6]»

Ancora una volta viene descritto il suo modo di professare la fede vicino al cuore dei soldati più che alla dottrina ed ai dogmi, nel corso di un momento di stanca durante una violenta battaglia precedente la ritirata. Passa poi a descrivere in modo drammatico e toccante le ultime ore del cappellano.

«Il cappellano prese a braccetto i due ufficiali. - Ragazzi - mormorò - non è il momento di farvi discorsi. Ditemi: siete in pace con Dio? - Be' ... - Se mi dite che vi fa piacere, vi do l'assoluzione. - Confessarci così, in questo momento. - Non occorre. Basta che chiediate misericordia a Dio e gli offriate la vostra vita... così com'è. Gli occhi dei due ufficiali risposero. Congiunse le mani il cappellano, mormorò una preghiera, sfilò il guanto destro [...] - Ormai credo di poterlo fare - disse, quasi parlando a se stesso; - la penitenza la stanno già facendo da un pezzo mi pare. - E fissando i due ufficiali: - Io vi assolvo; io li assolvo tutti. Levò la mano nuda sulla distesa bianca. Era una mano diafana, esangue, di frate, adusata al breviario e al messale, ad innalzar l'Ostia, a spargere carità dove toccava; e Dio solo già sapeva che di lì a pochi mesi, nell'orrore della prigionia, padre Leone, distrutto dalla gangrena dei congelamenti, moribondo in tutto, ma non nello spirito, si sarebbe trascinato fino al suo ultimo respiro da morente a morente, ad alzare su di essi giacenti quella mano ormai putrida e sfatta fino all'osso, gocciolante di pus nel benedire.[7]»

Onorificenze modifica

Onorificenze italiane modifica

«Prendeva volontariamente parte ad un combattimento con una compagnia d'attacco. Con serenità ed ardimento e sprezzo del pericolo si prodigava a soccorrere sotto l'intenso fuoco nemico i numerosi feriti e li aiutava nell'opera di soccorso spirituale e materiale fino a cadere esaurito dall'inusitato sforzo»
— Klinowyj (Fronte Russo) - 18 maggio 1942
«Presente coi primi nel duro contrattacco, portava la sua parola, il suo esempio, la sua opera dove maggiore era la necessità. Oltre che provvedere ai morti ed ai feriti, incitava i restanti due plotoni sciatori ormai senza ufficiali a tenacemente persistere verso l'obiettivo indicato, partecipava volontariamente due giorni dopo, quando già il suo reparto aveva lasciato le posizioni avanzate, ad un contrattacco con altro reparto alpino e, noncurante della reazione avversaria, si spingeva coi primi sino a contatto del nemico per adempiere alla sua alta missione.»
— quota 204,8 Iwanowka (Fronte Russo) - 22 dicembre 1942

Onorificenze estere modifica

Note modifica

  1. ^ a b c Renzo M. Grosselli, Coraggio da Leone sulle nevi di Russia (PDF), in l'Adige, 28 marzo 2010, p. 13. URL consultato il 29 aprile 2010 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  2. ^ a b I cappellani militari in Russia per ricordare una tragedia, su ladige.it, 20 settembre 2017. URL consultato l'8 gennaio 2019.
  3. ^ I cappellani militari, su vecio.it, 26 luglio 2011. URL consultato l'8 gennaio 2019.
    Si veda la sezione Deceduti in prigionia.
  4. ^ Il campo n. 56 di Uciostoje, su letteredon.altervista.org, 12 aprile 2014. URL consultato l'8 gennaio 2019 (archiviato dall'url originale l'8 gennaio 2019).
  5. ^ a b c Carlo Vicentini, Noi soli vivi. Quando settantamila italiani passarono il Don, Milano, Gruppo Editoriale Mursia, 1997.
  6. ^ Giulio Bedeschi, Centomila gavette di ghiaccio, Milano, Gruppo Editoriale Mursia, 1963, p. 209.
  7. ^ Giulio Bedeschi, Centomila gavette di ghiaccio, Milano, Gruppo Editoriale Mursia, 1963, p. 210.

Bibliografia modifica

  • Carlo Vicentini, Noi soli vivi. Quando settantamila italiani passarono il Don, Milano, Gruppo Editoriale Mursia, 1997.
  • Giulio Bedeschi, Centomila gavette di ghiaccio, Milano, Gruppo Editoriale Mursia, 1963.

Periodici modifica

  • La fine eroica d'un cappellano militare cappuccino, in Corriere Tridentino, 13 settembre 1946.
  • Renzo M. Grosselli, Coraggio da Leone sulle nevi di Russia (PDF), in l'Adige, 28 marzo 2010, p. 13. URL consultato il 29 aprile 2010 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  • Morti nel compimento della loro missione, in Vita Trentina, 26 ottobre 1961.

Collegamenti esterni modifica