Fabrizio Maramaldo

condottiero italiano
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Fabrizio Maramaldo (Napoli o Tortora, 28 ottobre 1494[2]Napoli, dicembre 1552) è stato un condottiero italiano, soldato di ventura originario del Regno di Napoli, reso famigerato dall'episodio dell'uccisione del capitano Francesco Ferrucci il 3 agosto 1530, nella battaglia di Gavinana, prigioniero, ferito e inerme.

Fabrizio Maramaldo
Maramaldo uccide Ferrucci, francobollo delle Poste italiane emesso per il 4º centenario della morte di Francesco Ferrucci - 10 luglio 1930
NascitaNapoli o Tortora, 28 ottobre 1494
MorteNapoli, dicembre 1552
Dati militari
Paese servito
Anni di servizio1527-1537
Gradocapitano di ventura
GuerreGuerra della Lega di Cognac
Battaglie
Decorazioninominato ciambellano dall'Imperatore Carlo V.
Note[1]
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Biografia

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Le origini di Fabrizio Maramaldo sono controverse: si sa che era originario del Regno di Napoli[3], ma non si conosce la sua città natale. Anche se Niccolò Jeno de' Coronei riferisce che fosse originario di Tortora (Cosenza)[4]. Il Dizionario biografico degli italiani indica invece la città di Napoli[5]. Lo storico e giornalista Alessandro Luzio, traducendo alcune lettere dell'archivio Gonzaga di Mantova, scoprì che Maramaldo fuggì da Napoli dopo aver trucidato la moglie e chiese protezione presso il marchese Federico di Mantova.

Combatté al soldo dei Gonzaga e della Repubblica di Venezia. Fu assoldato dall'imperatore Carlo V d'Asburgo. Nel 1527, prese parte al sacco di Roma. Sempre al soldo dell'imperatore durante l'assedio di Firenze (1530) cercò invano di scacciare i fiorentini di Francesco Ferrucci da Volterra, poi partecipò alla battaglia di Gavinana al comando di una delle colonne imperiali, combatté i Turchi in Ungheria e i Francesi in Piemonte in particolare ad Asti e Alessandria.

L'assedio di Asti

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In occasione dell'assedio di Asti del 1526, il condottiero subì una cocente sconfitta; dopo aver cannoneggiato la città per una settimana, cercò di penetrarvi attraverso la breccia aperta, ma gli astigiani, comandati dal capitano Matteo Prandone, ricacciarono i mercenari fuori dalla cinta della città dopo un accanito combattimento. Narra la leggenda che l'apparizione nel cielo di san Secondo, patrono della città, avrebbe mandato in rotta l'esercito di Maramaldo. Gli astigiani, a ricordo del pericolo scampato, eressero nel 1592 un tempietto votivo denominato San Secondo in Vittoria, in corrispondenza della breccia aperta dal Maramaldo[6], poi demolito all'inizio del XIX secolo nell'ambito del riassetto urbano della città.

Il sacco di Roma

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Come capitano di ventura al servizio di Carlo V, nel 1527 partecipò al sacco di Roma, evento caratterizzato da furti d'opere d'arte generalizzati, spesso ispirati da insospettabili ma attribuiti alla soldataglia o a Fabrizio Maramaldo. In realtà alcuni personaggi d'alto livello come Don Ferrante Gonzaga marchese di Mantova, figlio di Isabella d'Este, parteciparono direttamente al saccheggio. Lo stesso Don Ferrante e la madre Isabella, in quel periodo a Roma, fecero rubare i preziosissimi arazzi del Papa, tessuti dieci anni prima sui cartoni di Raffaello e destinati alla Cappella Sistina. Il Maramaldo, che era in ottimi rapporti con Don Ferrante, ricevette da questi commissioni esplicite per operare furti mirati di pezzi archeologici di epoca classica, anche per scritto. Divertente e rivelatrice una lettera del Marchese al capitano di ventura[7].

L'assedio di Monopoli

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio di Monopoli.

Dall'inizio di febbraio fino al 28 maggio del 1529 assediò senza successo Monopoli insieme con 4 000 imperiali spagnoli e 2 000 italiani al comando del Marchese del Vasto Alfonso III d'Avalos. La città, che parteggiava per la Francia e Venezia, ben rifornita via mare, fu eroicamente difesa dai cittadini e da truppe venete. Parteciparono alla difesa della città: il comandante veneziano Andrea Gritti, il conte di Montebello, il "provveditor" Vittori, Riccardo da Pitigliano, Renzo da Ceri, Camillo Orsini e ottocento soldati monopolitani. Nel corso dell'infruttuoso assedio, per penuria di viveri e di danaro Maramaldo si distaccò dall'armata imperiale e con 3 000 uomini si rivolse contro le campagne e le città vicine, saccheggiando Noci e assediando senza successo Martina Franca[8]. Il Maramaldo e le truppe imperiali del Marchese del Vasto, a causa delle numerose defezioni degli italiani che andarono a ingrossare le file dei difensori, si videro infine costretti ad abbandonare l'assedio di Monopoli, ritirandosi prima a Conversano e successivamente a Napoli.

 
stemma della famiglia Maramaldo

L'uccisione di Francesco Ferrucci

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La vicenda che tristemente ha tramandato ai posteri la figura di Fabrizio Maramaldo è quella che portò all'uccisione del capitano fiorentino Francesco Ferrucci. Maramaldo era schierato con i Medici contro l'esercito della Repubblica fiorentina durante l'assedio di Firenze e desiderava vendicarsi di un'offesa ricevuta dal Ferrucci, che aveva anche fatto impiccare un suo messo che gli aveva chiesto sprezzantemente la resa, dopo averlo però precedentemente avvertito di non tornare sotto pena del capestro[9]. Evidentemente il Ferrucci considerava una grave offesa da parte del Maramaldo l'aver inviato come portatore della richiesta di resa, per ben due volte, un semplice "trombetto".

Il 3 agosto 1530 Ferrucci uscì in campo aperto e tentò un ultimo scontro per spezzare l'assedio, in quella che divenne la battaglia di Gavinana. Il capo delle truppe imperiali, Filiberto di Chalon, principe di Orange, fu ucciso in combattimento da due colpi di archibugio e Ferrucci fu sopraffatto da forze preponderanti, rimase ferito e si arrese con i pochi superstiti, decretando la fine della battaglia. Fabrizio Maramaldo si fece condurre il prigioniero sulla piazza di Gavinana, lo disarmò e contro tutte le regole della cavalleria si vendicò delle offese precedenti, colpendolo a sangue freddo e facendolo finire dai suoi soldati[10].

Quando il Ferrucci fu condotto alla sua presenza, il Maramaldo ordinò in uno scatto d'ira: "Ammazzate lo poltrone per l'animo del trombetto qual impiccò a Volterra". Le cronache non concordano sul tipo di ferita inferta a Ferrucci, indicata alternativamente al petto, alla gola o al viso. Una versione, accolta anche da Benedetto Varchi nella sua Storia fiorentina, riporta che Francesco Ferrucci, prima di spirare, abbia rivolto con disprezzo le celebri parole, «Vile, tu uccidi un uomo morto!»[11] o più fiorentinamente «Vile, tu dai a un morto!»[9]. Tuttavia l'unica fonte da cui il Varchi e altri storici fiorentini trassero notizie in merito, fu il prelato e storico comasco Paolo Giovio[12] che pare avesse attinto a piene mani da un componimento poetico del lucchese Donato Callofilo, La Rotta del Ferruccio; i cronisti toscani più antichi sono invece concordi nell'affermare che il Ferrucci fosse morto combattendo, come riportano Ferrante Gonzaga e altri, come Marco Guazzo nelle Historie Moderne o Leandro Alberti nella sua Descrittione dell'Italia[13]. L'aneddoto sull'uccisione del Ferrucci potrebbe pertanto essere un falso storico.

Dieci giorni dopo, Firenze si arrese agli imperiali e dovette accettare il rientro dei Medici. La conclusione vittoriosa dell'assedio fu un trampolino di lancio per Maramaldo, che ormai godeva del favore di Carlo V e di altri alti personaggi.

Ritiro a Napoli e morte

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Nel 1537 lo scontro tra la Francia e l'imperatore Carlo V di Spagna diminuì di intensità in Piemonte. In conflitto con altri condottieri al servizio degli spagnoli, Maramaldo cessò le sue attività di guerra e si ritirò a Napoli, rimanendo nella considerazione dell'imperatore spagnolo, che lo nominò ciambellano. Senza famiglia né figli, trascorse gli ultimi anni della sua vita dissipando progressivamente i suoi beni. Le cronache dell'epoca riportano infatti i suoi frequenti litigi con il fisco.

La data di morte non è certa, ma viene collocata non oltre il 1555, forse già alla fine del 1552[5]. Negli ultimi tempi si legò ai frati Teatini e ad alcuni santoni a cui finì per lasciare i suoi residui averi, a patto che fossero impiegati in opere di bene[10].

Antonomasia

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Fabrizio Maramaldo fu «celebrato […] in vita come uno dei soldati e gentiluomini migliori e più famosi della sua epoca»[5]. Tuttavia, la tradizione storica e letteraria sulle imprese del condottiero napoletano trasformò la sua figura in quella di un personaggio negativo. Grazie a questa tradizione avversa, il nome Maramaldo è divenuto nel lessico italiano un sostantivo con cui ancora oggi si indica una persona che infierisce sui più deboli, sugli inermi, o è pronta a sopraffare, a tradire qualcuno non appena ne scorga i punti deboli o l'impossibilità di difendersi. Anche il verbo "maramaldeggiare" ha la medesima origine, ed è sinonimo dell'atto di infierire sugli inermi.

A proposito del deteriorarsi della sua reputazione, è tramandato un aneddoto di cui il Valori dubita[14]: Giulia, figlia di Silvestro Aldobrandini, alla richiesta di un ballo durante una festa di corte, avrebbe indirizzato al Maramaldo la seguente risposta: «Né io, né altra donna d‘Italia che non sia del tutto svergognata, farà mai veruna cortesia all‘assassino di Ferrucci.» — Di che il rodomonte restò mutolo e confuso, e la bella giovane da tutti manifestamente lodata[15].

  1. ^ Maurizio Arfaioli, MARAMALDO, Fabrizio Dizionario Biografico degli Italiani, vol. LXIX, pp. 398-401, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, 2007.
  2. ^ Una biografia anonima alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze indica la data del 28 ottobre 1494, in alcun modo verificabile, ma considerata abbastanza verosimile. Cfr. Maurizio Arfaioli, MARAMALDO, Fabrizio in Dizionario Biografico degli Italiani (DBI), vol. LXIX, 2007, pp. 398-401.
  3. ^ Giuseppe de Blasiis, Marammaldo e i suoi antenati, archivio storico napoletano anni 1876-1877-1878, tratto da Carlo Vassallo, Fabrizio Maramaldo e gli agostiniani in Asti, Torino 1889.
  4. ^ Giuseppe, Guida, Amedeo Fulco, Napoli, Loffredo Editore, 1982.
  5. ^ a b c Maurizio Arfaioli, MARAMALDO, Fabrizio in Dizionario Biografico degli Italiani (DBI), vol. LXIX, 2007, pp. 398-401.
  6. ^ Stefano Giuseppe Incisa, Asti nelle sue chiese ed iscrizioni, Asti 1974.
  7. ^ Don Ferrante d'Este scrive al Maramaldo (vedi A. LIUZZO, Fabrizio Maramaldo. Nuovi documenti, Ancona 1883, p. 26): "ci sono due gentiluomini dabbene di cui sono grande amico: Vostra Signoria ne conosce uno personalmente e l'altro di fama. Entrambi vi considerano generoso ed amabile e pronto a soddisfare le persone meritevoli. Entrambi desiderano una grazia da voi e quindi hanno sollecitato la mia raccomandazione a voi. Uno è Marmirolo, l'altro Té. Desiderano possedere alcuni pezzi antichi: teste, gambe, busti o statue complete, di bronzo o di marmo. Poiché sanno che tenete Roma alla vostra mercé apprezzerebbero la vostra liberalità riguardo a quelle cose di cui non fanno caso né voi né i vostri soldati, perché a voi interessa altro genere di bottino. Perciò, mio caro Fabrizio, non mancate di soddisfare i miei due amici perché non perdano la buona opinione che hanno di vostra Signoria. Altrimenti, lo sò, sparlerebbero di Fabrizio Maramaldo peggio di quel che si sia mai detto dei più grandi pirati del mondo. Fate in modo che io possa difendere il vostro onore. Sempre vostro il Marchese di Mantova".
  8. ^ L. Finamore-Pepe, Monopoli e la Monarchia delle Puglie, Monopoli, 1897.
  9. ^ a b A. Valori, La difesa della repubblica fiorentina, Firenze, Vallecchi, 1929.
  10. ^ a b Deputazione napoletana di storia patria, Napoli, Società Napoletana di Storia Patria, Archivio storico per le province napoletane, vol. 3, Detken & Rocholl e F. Giannini, 1818.
  11. ^ Maramaldo, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 20 settembre 2015.
  12. ^ Lo storico Paolo Giovio (1483-1552) è il primo a riportare, come storicamente avvenuto, il dialogo tra Fabrizio Maramaldo e Francesco Ferrucci, in relazione al celeberrimo episodio di Gavinana: “Poi il Ferruccio, così armato com’egli era, fu menato dinanzi al Maramaldo. Allora il signor Fabrizio gli disse: pensasti tu mai quando crudelmente e contra l'usanza della guerra, tu impiccasti il mio tamburino a Volterra, dovermi venir nelle mani? Rispose egli: questa è una delle sorti che porta la guerra, la quale guerreggiando a te può ancora avvenire; ma quando anco tu m’ammazzi, non perciò né utile né onorata lode t’acquisterai della mia morte. Il signor Fabrizio tuttavia... gli fece cavare la celata e la corazza, e gli passò la spada nella gola".
  13. ^ Povero Maramaldo, non uccise un uomo morto, su ilgiornale.it, Il Giornale online, 28 novembre 2005. URL consultato il 20 settembre 2015.
  14. ^ In La difesa della repubblica fiorentina, op. cit. Il Valori riconosce però che, se una simile storia fu inventata, non dovevano mancare persone che non rispettavano granché il Maramaldo.
  15. ^ Filippo Ugolini, Storia dei Conti e Duchi d'Urbino, Tipografia Grazzini, Giannini e C., Firenze 1859.

Bibliografia

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  • Bera G., Asti edifici e palazzi nel Medioevo. Gribaudo Editore Se Di Co 2004 ISBN 88-8058-886-9.
  • Gabiani N., Asti nei principali suoi ricordi storici vol 1, 2,3. Tip. Vinassa 1927-1934.
  • Grassi S., Storia della Città di Asti vol I,II. Atesa ed. 1987.
  • Incisa S.G., Asti nelle sue chiese ed iscrizioni C. R.A. 1974.
  • Vassallo C., Fabrizio Maramaldo e gli agostiniani in Asti, Torino 1889.
  • Vergano L., Storia di Asti Vol. 1,2,3 Tip. S.Giuseppe Asti1953, 1957.
  • Raviola P., Asti, la sua storia, il suo Palio Promo Pubblicità Edizioni 2006.
  • L. Finamore-Pepe, Monopoli e la Monarchia delle Puglie, Monopoli, 1897.
  • Maurizio Arfaioli, MARAMALDO, Fabrizio, in Dizionario biografico degli italiani, LXIX volume, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2007, pp. 398-401. URL consultato il 20 settembre 2015.

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