Utente:Claudio Gioseffi/Sandbox 11

Corso Andrea Palladio
Imbocco del Corso, visto da Piazza Castello
Nomi precedentiCorso Umberto I (1866-1943)
Corso Ettore Muti (1943-1945)
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
CittàVicenza
QuartiereCentro storico
Informazioni generali
Tipozona pedonale
Lunghezza708 m
Intitolazionead Andrea Palladio dopo la Liberazione nel 1945
Collegamenti
InizioPiazza Castello
FinePiazza Matteotti
Luoghi d'interesseCentro storico di Vicenza
TrasportiFermate autobus Piazza Castello e Piazza Matteotti

Corso Andrea Palladio è la principale strada di Vicenza, intitolata dopo la seconda guerra mondiale al celebre architetto. Lungo circa 700 m, attraversa il nucleo storico della città da ovest ad est, rispettivamente da Porta Castello a piazza Giacomo Matteotti.

Storia modifica

Epoca antica, Medioevo ed età moderna modifica

Il tracciato dell'attuale corso corrisponde sostanzialmente a quello che, in epoca romana, era il decumanus maximus della città e, nello stesso tempo, il tratto urbano della consolare Via Postumia. Chiamato anche strata major, dopo la costruzione della cinta muraria altomedievale fu delimitato a ovest dalla Porta Feliciana (molto vicina, anche se non tutto coincidente con la Porta del Castello) e ad est dalla porta San Pietro (sulla riva destra del fiume Bacchiglione, all'altezza del ponte di San Pietro, ora degli Angeli).

Durante il Medioevo e in epoca moderna conservò la sua funzione di raccordo tra le città della pianura veneta (rispettivamente Verona e Padova), tanto che ai suoi bordi si aprivano locande, osterie e luoghi per il noleggio delle vetture; genericamente era chiamato Strata major, Strà grande, o semplicemente Strà.

Era anche importante luogo pubblico. Già durante il Medioevo in esso vi erano quattro punti nei quali il pubblico banditore doveva recarsi a proclamare i decreti del governo cittadino e le sentenze di condanna emanate contro i rei: la porta Sancti Petri, la plathea Sancte Corone, la domus illorum de Caldogno (all'inizio dell'attuale contrà Porti) e il canton del pozzo rosso (l'incrocio con l'attuale corso Fogazzaro)[1].

Età contemporanea modifica

Agli inizi dell'Ottocento il tratto che andava da piazza Castello a contrà San Faustino era chiamato "contrà del corso ", in quanto rappresentava la parte terminale della corsa dei cavalieri che si contendevano il Palio nel giorno della Sacra Spina e del Corpus Domini.

Nell'ambito di questo percorso, però, si susseguivano vari toponimi derivanti dalle caratteristiche dei diversi tratti o luoghi.

  • Il primo tratto, da piazza Castello a corso Fogazzaro, era denominato "corso ai Filippini" per la presenza della chiesa dedicata a san Filippo Neri.
  • Il secondo tratto - che va da corso Fogazzaro[2] fino a stradella san Giacomo - era distinto, per il fronte nord, con due denominazioni: "corso all'Azzardo", fino all'inizio del fronte porticato, per la presenza del caffè più chic dell'Ottocento, e "corso al Casin" il fronte porticato, per la presenza, in palazzo Braschi Brunello, del casino dei Nobili, una società aristocratica che chiuse la sua attività nel 1825. Anche i portici prospettanti su questo secondo tratto assumevano la denominazione di portico dei Nobili, sostituita con quella di portico Bardella, per la presenza della libreria gestita da Domenico Bardella e luogo di incontro di intellettuali vicentini.
  • Sul fronte opposto, il tratto che da corso Fogazzaro porta a contrà Do Rode era detto "corso alla Stella d'Oro", dall'insegna di una trattoria con alloggio attiva fino al 1878, che fungeva anche da servizio di posta e che aveva preso il posto della storica Osteria della Campana, menzionata fino alla fine del Seicento. Il tratto poi che da contrà Do Rode porta a contrà Cavour[3], era chiamato "corso al Bo d'oro", dal nome della spezieria gestita dalla famiglia Scola.
  • Il terzo tratto - che va da stradella san Giacomo, da un lato, e da contrà Cavour dall'altro, fino all'incrocio con contrà Porti - era chiamato "corso ai Nobili", per la frequentazione dell'aristocrazia cittadina che si riuniva al caffè detto appunto dei Nobili. L'ultimo tratto porticato del fronte nord era detto portico delle Messaggerie per la presenza del Caffè alle Messaggerie, al piano terra di palazzo Tornieri.
  • Il quarto tratto - che va dall'incrocio del corso con contrà Porti e contrà Dal Monte fino a contrà Manin - era detto "corso al Nolo" per la presenza in contrà Manin[4]. Questo tratto di strada era detto anche "corso al Cappello Rosso" per la presenza, sul fronte nord, del più importante albergo della città denominato Al Cappello Rosso, chiuso nel 1852[5].
  • Il quinto tratto veniva chiamato "corso a san Gaetano" dal nome della chiesa dedicata a san Gaetano Thiene, fondatore dei padri teatini, eretta tra il 1720 e 1730 su progetto dell'architetto Girolamo Frigimelica.
  • La principale strada di Vicenza terminava all'incrocio di contrà san Faustino, come attesta la targa toponomastica posta in facciata con la dizione "Il Corso". Il tratto da questa contrà all'Isola - l'attuale piazza Matteotti - era invece chiamato contrà Portici di Santa Corona, in ragione della fila interrotta dei portici di fronte al muro che racchiude il giardino di questa chiesa.
  • Anche altri nomi furono usati, a seconda dei tratti: "corso al caffè Angelini", "corso al Paradiso".
 
Filobus e veicoli privati che transitano per il Corso nel 1957

Nel 1847 Cesare Cantù la chiamò "la più elegante via d'Europa, se non si conti per tale il Canal Grande dell'incomparabile Venezia, potendo dirsi una continuità di palazzi, dalla piazza del Castello fino a quella dell'Isola"[6].

Nel 1866, dopo l'annessione del Veneto al Regno d'Italia, l'insieme fu ufficialmente denominato corso Principe Umberto (il futuro re d'Italia, che nello stesso anno aveva abitato nel palazzo Loschi Zileri Dal Verme); nel 1943 il nome fu mutato in quello di corso Ettore Muti e infine, dopo la Liberazione, nel giugno 1945 la più importante via di Vicenza ricevette il nome attuale[7].

Durante la seconda guerra mondiale, il bombardamento dell'aviazione alleata del 14 maggio 1944 danneggiò gravemente molti edifici del tratto centrale, edifici che furono in parte restaurati (come la Ca' d'Oro) e in parte ricostruiti nel dopoguerra.

Chiusa al traffico veicolare dal 1983[8], da Porta Castello all'incrocio con contrà Santa Barbara la strada presenta un fondo in porfido ed è, per buona parte del suo tracciato, fiancheggiata da portici. Comunemente chiamata el corso e considerata la via dello shopping cittadino, è una delle passeggiate tipiche dei vicentini che, specialmente il pomeriggio, amano percorrerla muovendosi nelle cosiddette "vasche" (andare su e giù da piazza Castello a piazza Matteotti).

Prospetto nord modifica

Da Porta Castello a Corso Fogazzaro modifica

 
Torrione di Porta Castello
  • Il Corso inizia dal Porta Castello e dal Torrione (al n. 1) - uniche strutture ancora rimaste - del possente Castello fatto costruire nel 1343 da Antonio e Mastino II della Scala, che fecero ripristinare la fortezza ezzeliniana distrutta 50 anni prima, ampliandola in un vero e proprio castello, che occupava un'area quadrata, circondato da profonde fosse, cinto da torri ai quattro angoli e con il torrione al centro. L'aspetto attuale del Torrione, con le merlature sporgenti con caditoie sopra beccatelli e con l'aggiunta della lanterna sommitale, quasi certamente appartiene al periodo visconteo di fine secolo XIV[9].
  • Segue Palazzo Marchi. Una parte del castello, demolito nell'Ottocento, fu sostituita da questo palazzo, il cui alto muro di recinzione costeggia il corso. L'ingresso, al centro del muro, è dato da un portale bugnato ad arco a tutto sesto, con testa femminile in chiave d'arco e coronato da un timpano triangolare con due figure femminili sdraiate, che reggono un cartiglio nel frontone[10].
  • Ai nn. 9-11, l'edificio collegato al muro di palazzo Marchi, è alto quattro piani e fa angolo (sullo spigolo un bel balconcino) con piazza Castello, al centro della quale si erge il monumento a Giuseppe Garibaldi.
Il palazzo, che Francesco Thiene fece realizzare sulla proprietà di famiglia, fu progettato da Andrea Palladio presumibilmente nel 1572 ed edificato da Vincenzo Scamozzi dopo la morte del maestro; fu acquistato nel 1835 da Lelio Bonin Longare. Dal 1994 è inserito, assieme alle altre architetture palladiane di Vicenza, nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
La somiglianza con altri progetti palladiani - ad esempio con palazzo Barbaran da Porto - fa pensare agli anni settanta del Cinquecento, sia nel disegno della parte inferiore della facciata che nella grande loggia a doppio ordine affacciata sul cortile interno.
Il fianco invece - con il piano terra ricoperto da bugnato gentile, le alte portefinestre al primo piano coronate con timpano alternativamente triangolare e incurvato, i balconcini balaustrati poco sporgenti - è opera dello Scamozzi, considerando la somiglianza con palazzo Trissino al Duomo. Anche il profondo atrio, sostanzialmente indifferente alla griglia degli ordini, potrebbe essere scamozziano.
  • Sulla destra del palazzo Bonin Longare, ai nn. 15-19, un edificio ristrutturato che conserva ancora sul ballatoio modiglioni cinquecenteschi e una ringhiera dell'Ottocento. Segue, ai nn. 21-27, un edificio degli anni sessanta del Novecento che sostituisce l'ottocentesco palazzo Savardo Brunialdi, costruito su progetto dell'architetto Antonio Piovene. Tra il 1872 e il 1900 fu sede dell'albergo Roma e in seguito destinato ad abitazioni e negozi.
L'impostazione, legata alle correnti storiciste postunitarie, emerge soprattutto nel portale fiancheggiato da semicolonne doriche che sostengono una balconata lapidea su cui si affaccia una porta finestra affiancata da semipilastri sorreggenti un timpano spezzato. L'insieme, pur nella pesantezza del linguaggio evocativo tipico del secolo, ha saputo cogliere e riproporre l'effetto chiaroscurale dei portici, che un leitmotiv della via, con l'apertura di fornici rettangolari anticipati da semipilastri bugnati[11].

Stradella dei Filippini

Detta un tempo Stradella dei gesuiti dalla piccola chiesa del Gesù che una volta vi esisteva, dal Settecento in poi ebbe il nome attuale per la presenza della chiesa e dell'oratorio della Congregazione di San Filippo Neri[12].
 
Facciata della chiesa dei Filippini
Eretta sul luogo in cui era situata la piccola chiesa dei gesuiti, la sua costruzione richiese oltre un secolo: iniziata nel 1730 ma rimasta ferma per alcuni decenni si concluse solo nel 1822.
Per costruire la facciata, tra il 1822 e il 1824, l'architetto vicentino Antonio Piovene - che aveva sostituito nell'Ottocento Giorgio Massari, morto nel 1766 - adattò liberamente un disegno giovanile che nel 1756 Ottone Calderari aveva predisposto per la chiesa di San Marco in San Girolamo in borgo Pusterla e non era mai stato eseguito.
Lo schema della facciata riprende quello palladiano di San Giorgio Maggiore a Venezia[13]. La parte centrale è costituita da quattro semicolonne corinzie di modulo gigante, con alta trabeazione e frontone triangolare, che poggiano su un alto zoccolo e sono affiancate da due ali che corrispondono alle cappelle laterali. Le statue nelle nicchie - da sinistra la Vergine, San Lorenzo, la Carità e San Paolo - sono di inizio Settecento[13], qui portate da altro edificio religioso.
  • Sulla destra della chiesa un lungo tratto è caratterizzato da un basso edificio, ritmato da grandi vetrine rettangolari, contrassegnato dai numeri che vanno dal 29 al 37. Sulla prima parte di questo tratto il prospetto è appesantito da una facciata, con tre grandi finestre, che riprende motivi e di stile neoclassico.
  • L'edificio ai nn. 39-43 è stato costruito nel secondo dopoguerra in luogo di palazzo Thiene Tecchio, gravemente danneggiato dal bombardamento del 14 maggio 1944 e poi demolito. Il preesistente palazzo - pregevole espressione in stile classicistico del Cinquecento vicentino - era stato fatto costruire da Ercole Thiene, che aveva acquistato una struttura dove in precedenza Alessandro Thiene aveva incorporato una casa-torre medievale; sulla facciata si stendeva un vasto apparato di affreschi[14]. La facciata attuale appare una fantasiosa quanto incongrua interpretazione a metà strada tra lo stile lombardo rinascimentale e l'architettura littoria con, al centro dei piani rialzati collegati da fascia marcapiano, una sorta di serliana[15].

Stradella San Marcello

Prende il nome da una delle chiese altomedievali di Vicenza, dedicata al papa martire del IV secolo, che cessò di essere officiata nel 1807, poco dopo fu acquistata dal conte Pietro Caldogno - il cui palazzo era contiguo - sconsacrata e ridotta ad usi profani; ciò che ne restava subì i bombardamenti della seconda guerra mondiale.
La struttura asimmetrica del prospetto e le scelte stilistiche fanno pensare al primo Rinascimento vicentino, caratterizzato dalle opere di Lorenzo da Bologna, attivo in città negli anni intorno al 1500. Interventi ottocenteschi hanno modificato l'originale prospetto, sostituendo le originali ringhiere in ferro battuto con balaustre in pietra e modificando il portale, quest'ultimo nuovamente ristrutturato nel Novecento. E' tuttavia ancora percepibile il robusto senso costruttivo del palazzo che traspare dalla composta partizione delle finestre centinate, propria della maniera lombarda del tardo Quattrocento[16].
La facciata appare il frutto di due momenti distinti. Al piano terra le finestre con tipica cornice a tortiglione e, al primo piano, la grande pentafora ad archi inflessi impennacchiati e trilobati, le quattro monofore ai lati e i modiglioni intagliati alle estremità ricordano lo stile tardogotico vicentino della metà del Quattrocento; la simmetria della facciata e i menzioni reggenti il ballatoio della pentafora però fanno ritenere che il palazzo sia stato costruito un secolo più tardi. Il secondo piano e il sottotetto, invece, sono un innalzamento voluto da Giangiacomo Thiene nel 1750, pur con la ripresa dei modelli gotici
Il portone centrale, anch'esso dovuto agli interventi del Settecento, dà accesso ad una moderna galleria pedonale, la Galleria Del Pozzo Rosso, costruita negli anni 1957-60 e che collega corso Palladio con corso Fogazzaro. Nell'atrio rimangono, sulla destra, l'elegante portoncino e lo scalone settecentesco[17].
  • Allineato con palazzo Thiene, del quale mantiene anche la quota, si trova, ai nn. 49-53, un edificio frutto di un rimaneggiamento e dell'unificazione di due precedenti, operato negli anni 1875-81. Le aperture, sono distribuite simmetricamente rispetto all'asse verticale centrale, pur con alcune dissonanze. Prezioso è il rivestimento in pietra del piano terra che, inglobando il portone di accesso e le vetrine dei negozi laterali, testimoniano l'alta qualità formale degli interventi[18].
  • Anche il prospetto seguente, ai nn. 55-59, pur appartenendo alla cosiddetta architettura minore, mostra un equilibrio formale riscontrabile nella simmetria delle finestre. La trifora centrale del primo piano ricorda la tradizione vicentina e affacci su un balcone sinuoso e continuo, racchiuso da elegante motivo in ferro battuto; balconi singoli, occlusi da inferriate similari, sono presenti in tutte le aperture del primo e secondo piano[19].

Corso Fogazzaro

Questo incrocio un tempo era chiamato del Pozzo Rosso perché qui, al centro, si trovava un pozzo con la vera in pietra di color sanguigno, luogo deputato fin dal Medioevo alla lettura dei bandi del governo cittadino. Il pozzo venne otturato nel 1707 e a ricordo, sul posto, venne eretta una colonna con sopra una grande palla, anch'essa però rimossa, per ragioni di viabilità, nel 1815[20]. Il toponimo cambiò poi in Canton de Gala dal nome della libreria Cartoleria Galla che vi si affacciava fino al 1948.

Da corso Fogazzaro a contrà Porti modifica

  • Fa angolo con corso Fogazzaro il grande palazzo Ghislanzoni Bonin, ai nn. 61-63, attualmente proprietà di una società immobiliare.
Fu fatto costruire nel 1843 dalla famiglia Ghislanzoni del Barco, erede della famiglia Braschi, utilizzando alcune strutture dipendenti dal palazzo di questa, su progetto dell'architetto veneziano Antonio Diedo. Nel 1921 la costruzione precedente fu ristrutturata ed estesa fino all'incrocio[21]
In questo edificio, fino al 1874, aveva sede il Caffè all'Azzardo, celebre per la raffinatezza degli interni, finemente arredati con abbondanza di velluti e di specchi; in esso fu ospite nel 1866 - subito dopo l'annessione del Veneto al Regno d'Italia - il principe Umberto I di Savoia in visita a Vicenza.
Sono di stile neoclassico il profondo bugnato, al piano terra, e le portefinestre timpanate con parapetto balaustrato al piano nobile[22].
Sulla destra il palazzo è affiancato, al n. 65, da una stretta facciata che si sviluppa in tre piani residenziali e due ammezzati; al piano nobile le portefinestre sono collegate da un poggiolo con ringhiera in ferro battuto[23].
  • Qui inizia il lungo porticato che caratterizza la parte mediana del corso e continua, senza soluzione di continuità, quasi fino all'incrocio con contrà Porti
Una delle rare dimore signorili degli ultimi decenni del Quattrocento[24], probabilmente fatta costruire da Antonio BraschiProprietario di una fornace di mattoni in Borgo San Felice in occasione del matrimonio con Caterina Da Porto.
Nel Settecento e agli inizi dell'Ottocento, l'edificio era la sede del Casino dei Nobili, circolo di aristocratici con idee conservatrici che fu sciolto nel 1825, dopo un furioso incendio che lo devastò. Gli eredi dei Braschi, i Ghislanzoni del Barco, effettuarono un radicale restauro del palazzo, con rifacimento delle finestre del secondo piano; ulteriori interventi del 1873 cancellarono ogni traccia degli affreschi che decoravano la facciata. Nei primi anni del Novecento al piano terra vi era la libreria Bardella, importante ritrovo di intellettuali vicentini. Ancora una volta il palazzo fu gravemente danneggiato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e fu oggetto di una complessa operazione di ricostruzione effettuata dalla Soprintendenza[25].
Sostenuto da cinque ampie arcate a tutto sesto, dimostra il favore ottenuto a11a fine del Quattrocento dallo stile tardo gotico. Condizionato da preziosismi tipici dell'architettura lagunare, l'edificio accentra la composizione su una superba quadrifora affiancata da due monofore libere, in asse sul cervello dell'arco sottostante. La raffinatezza della decorazione scultorea, che sostituisce nel riquadro della quadrifora il consueto uso di patere trafitte da spilloni con uno stemma araldico centrale attorniato da due profili virili affrontati e da due semicerchi con putti ignudi, non solo testimonia il nascente gusto rinascimentale, ma anche un manifesto fervore antiveneziano, che alla fine del Quattrocento cominciava a prendere piede nell'aristocrazia vicentina.
  • Il porticato continua, senza soluzione di continuità, con un prospetto in qualche modo unitario. dei due corpi di fabbrica segnalati dai numeri civici 73 e 75. Le facciate, più alte rispetto al palazzo Braschi Brunello, sono il frutto di tre diverse distribuzioni dei fori, unificati solo dall'ultimo piano, sotto lo sporto di gronda, e dal porticato al piano terra. L'effetto pittoresco che se ne ricava è sicuramente notevole ed è impreziosito dalle eleganti aperture racchiuse da cornici modanate che affacciano su balconi, per lo pin singoli, racchiusi da decorate ringhiere in ferro battuto. Al prima piano un lungo balcone continuo, sorretto da mensole parallelepipede con decorazione a patera nella faccia a vista, si snoda per tutta 1a larghezza dei primi due corpi di fabbrica[26].
  • Ai numeri civici 81 c 83 si trova un prospetto accomunato al precedente dalla libera interpretazione stilistica. La facciata, di dimensioni ridotte, è attraversata al primo piano da un poggiolo continuo, che la cinge come un marcapiano cd ostenta una ringhiera in ferro battuto a motivi circolari; le portefinestre di eleganti proporzioni, sono, come vuole la tradizione vicentina, incorniciate in pietra locale. Al piano terra, gli archi del porticato assumono dimensioni più contenute ed hanno un andamento a sesto ribassato.
  • La lunga cortina edilizia prosegue con un fabbricato, segnalato dai numeri 85, 87, 89 e 91, che è spartito da tre assi verticali, sottolineati da balconi, alternati a due assi di finestre rettangolari. Fasce. che marcano il primo e il secondo piano, ordinano il prospetto, mentre la fascia che marca l'affaccio del piano sottotetto è posta all'altezza del cornicione dell'edificio precedente, tanto da suggerire una probabile sopraelevazione. La presenza del porticato, qui come nelle costruzioni precedenti, potrebbe indicare un impianto di epoca tardomedievale sul quale si sono sovrapposti interventi sei-settecenteschi. Di certo questo gruppo di prospetti genera, nella loro spontanea articolazione, una piacevole impressione di vivacità, purtroppo parzialmente rovinata dallo statu precario degli intonaci che contrastane sicuramente con lo sfarzo dei negozi che affacciano nel sottoportico.
  • L'ultima campata del porticato, al n. 93, stacca dal prospetta descritto precedentenuntc nella partizione dei fori e nello stile più severo delle aperture, che si configurano in una loggia neoclassica. Evidentemente l'esistenza della stradella san Giacomo, che interrompe la continuità dei volumi edilizi, ha costretto il progettista, per non perdere la continuità del fronte porticato, a legare due fabbricati differenti con una sorta di ponte con una serliana sospesa. Non è escluso che nelle intenzioni progettuali si volesse proseguire nella sistemazione dei prospetti coinvolgendo l'edificio appena descritto[27].
  • Al n. 99 si trova un'architettura di gusto neoclassico. II portico assume proporzioni più slanciate, i fornici sono regolarizzati e, in corrispondenza con i cinque assi degli archi, si trovano, ai piani superiori, porte finestre che affacciano su balconi, poco sporgenti, racchiusi da balaustra con doppi balaustri. 1 livelli sono ben evidenziati con marcapiani decisi che proseguono fino alla serliana che sormonta la stradella.
  • La rigorosa impostazione si estende anche al prospetto dell'edificio contraddistinto dal numero civico 101, dove tre generose finestre architravate, con fascia modanata che funge da coronamento, affacciano, occupando quasi per intero la parete, su balaustre poco sporgenti.
Gli archi a sesto acuto del portico, che si snodano in sette assi nonomogenei, sano le sole tracce del palazzo gotico rimaneggiato nel Settecento dall'architetto Alessandro Tornieri. La facciata non differisce di molto dalle architetture precedenti, sia per la regolarità dello spartito, sia per le scelte stilistiche, formando un tutt'uno perfettamente coerente e distinguibile solo per la differente quota di gronda e per il citato porticato. 11 percorso porticato ospitava fino all'Ottocento il Caffè Nazionale frequentato specialmente dagli ufficiali asburgici, e le Regie Poste, tanto che per poco non venne abbattuto, nel 1931, per edificarvi il discutibile edificio costruito in contrà Garibaldi[28].
  • La porzione di fabbrica segnalata dal numero civico 117 e scandita da tre assi di aperture, riprende gli stilemi di palazzo Torneri, ma risulta scalata in altezza.
  • II numero 119 indica una costruzione a quattro assi di aperture che conclude il fronte porticato e rivela stilemi, di probabile origine settecentesca, che ricordano gli edifici segnalati dai numeri civici 73 e 91. Anche in questo caso un lungo balcone lapideo, racchiuso da lineare ringhiera in ferro battuto, lega orizzontalmente il prospetto, ritmato da quattro assi di aperture che si configurano in portefinestre anche al piano secondo. In alto, sopra lo sporto di gronda si erge una soprelevazione.
  • Conclude l'isolato la costruzione che è arretrata rispetto al filo porticato ed è segnalata dal numero civico 121.
L'edificio che è d'angolo con contrà Porti è caratterizzato da un largo spartito, impostato su due assi verticali disposti ai lati del prospetto che rivela le origini rinascimentali, testimoniate anche dalla fattura delle ampie finestre architravate con coronamento lapideo, composto da una fascia modanata aggettante, e dal poggiolo d'angolo, sostenuto da mensole fortemente sporgenti[29].

Galleria Porti

Contrà Porti

Da contrà Porti a contrà Santa Corona modifica

  • Il fabbricato segnalato dai numeri civici che vanno dal 123 al 129. Il prospetto, che ò organizzato su quattro livelli sovrapposti scavati da essenziali finestre prive di cornici, viene ancora una volta legato al primo piano da un poggiolo continuo, racchiuso da lineare ringhiera in ferro battuto. Al piano terra, le vetrine mostrano un elegante rivestimento proprio dei modi del primo Novecento.
  • La costruzione distinta dai numeri civici 131 e 133 rivela una facciata appartenente alla tipologia di casa tutta sviluppata in verticale, fruendo per intero della superficie consentita con l'apertura di ampie portefinestre che affacciano su balconi occlusi da elegantissime ringhiere in ferro battuto.
  • Si incontra poi il primo edificio arretrato rispetto al filo stradale, identificato dai numeri 137, 137 e 139 di chiarissima fattura postbellica. In questa posizione si trovava dal 1563 l'Osteria al Pavone, in funzione fino all'Ottocento, quando, con il nome di albergo Al Cappello Rosso, ospitava eminenze, principi e commercianti. Il prospetto attuale risalta più per le dimensioni che per il valore architettonico: impostato su cinque larghi fornici, di cui quello centrale fornisce il passaggio per una galleria commerciale, si presenta ossessivamente geometrico, nella sua pressante volontà di inquadrare e ripartire gli spazi. Nel suo assetto generale, organizzato su bugnato a piano terra e nicchie architravate che inquadrano, in depressione, gli assi del primo e secondo piano, vuole forse citare lo straordinario palazzo Thiene, al quale è collegato tramite il cortile interno[30].
  • Al n. 141 corrisponde un palazzotto settecentesco che ripropone la partizione tradizionale su due assi verticali, marcali da portefinestre che affacciano su balconi singoli ai piani superiori e continuo al primo piano. Il diverso trattamento della superficie, in mattoni a faccia vista sulla sinistra ed intonaco dipinto sulla desta, non semplifica la lettura della composizione, più che dignitosa per equilibrio e ripartizione delle aperture e nobilitata, al piano terra, dalle eleganti vetrine degli esercizi commerciali, propri della cosiddetta architettura liberty[31].

Contrà San Gaetano

  • Il successivo incrocio con contrà San Gaetano determina uno stacco nella quinta architettonica che riprende con l'eccezionale prospetto di palazzo Caldogno Da Schio, detto la Ca' d'Oro. contrassegnato dal numero 147. Gravemente danneggiato dai bombardamenti del maggio 1944, fu riedificato nel 1950 purtroppo con l'irrimediabile perdita degli affreschi e delle, dorature dei capitelli che rendevano il palazzo confrontabile con la più famosa Ca' d'Oro veneziana. La facciata, can il caratteristico spartito delle aperture e l'elegante trattazione delle monofore, risale al primo Quattrocento, con intervento posteriore, attribuibili a Lorenzo da Bologna, ed identificabili nello splendido portale e nelle finestre inferiori. Il portale, inserito in una cornice lapidea come nel caso di palazzo Porto Breganze rimanda, per la preziosità degli intagli e la raffinatezza degli elementi floreali, a11'opera di lapicidi lombardi[32].
A fianco della Ca' d'Oro, arretrata rispetto alle facciate dei palazzi, si trova la chiesa di san Gaetano. Fu costruita tra il 1720 e il 1730 su progetto di Girolamo Frigimelica, che organizzò la facciata come un articolato impianto scenografico. Le semicolonne al piano terra trovano una logica prosecuzione oltre la fascia di trabeazione per concludersi su un frontone coronato da due statue di angeli e da una croce centrale. La ricca decorazione, per il gusto del chiaroscuro e la solidità dei volumi, rimanda alle maniere veneziane[33].
  • Adiacente alla chiesa, al numera 149, si trova l'edificio che fu il convento dei padri Teatini, ed ora sede dell'Intendenza di Finanza. IlG prospetto, per la severità delle lince e per la composta struttura architettonica potrebbe esscre opera dello stesso Frigimelica. Al piano terra, a fianco di un importante portale incorniciato da lesene e concluso con modanature lapidee, si trovano quattro finestre architravate che determinano il ritmo verticale delle aperture. Al piano nobile, la tipica alternanza di finestre timpanate, ad andamento alternativamente curvilineo e triangolare, scandisce ritmicamente lo spazio. Una fascia minore di finestre modanate quadre conclude la facciata, sormontata da una serie di modanature con dentelli[34].
  • Ai numeri civici 151, 153 e 155 corrisponde un fabbricato che mostra chiaramente la Sua recente formazione. L'area era occupata. prima delle devastazioni belliche. dalla Reale Farmacia Valeri, a sua volta insediata al posto dell'antica Osteria al Sole. Il prospetto. impostato su un alto basamento a fasce orizzontali, si articola con cinque assi di aperture. Un'ampia balaustrata al secondo piano sostenuta da modiglioni e' visivamente sottolineata da quattro pseudoparaste, interrompe la monotonia della parete accentrando 1'attenzione sulla parte mediana. L'effetto viene ripetuto al trezo piano da un lungo poggiolo occluso da lineare ringhiera in Ceno e da una loggia all'ultimo piano.
  • Al numero civico 157 segue un edificio che è caratterizzato da una facciata, stretta tra due prospetti, ritmata da tre assi verticali legati orizzontalmente, al primo e secondo piano, da balconi con ringhiera in ferro battuto.
L'attuale critica lo attribuisce ad un allievo dello Scamozzi, Antonio Pizzocaro, La facciata prospiciente il corso e caratterizzata da corpi laterali, leggermente aggettanti, formati da un portale sormontato da un balcone in pietra e delimitati da coppie di lesene corinzie. La ripetizione di questa campata, attraverso un asse di simmetria appena percepibile. porta ad un gioco impositivo di sicuro effetto, lontano dai virtuosismi tipici del Seicento[35].

Contrà santa Corona interrompe il fronte prospettico ed apre verso un muraglione in tessitura fittile lasciata a vista. Il muro venne abbassato ed arretrato negli anni Sessanta del Novecento, per permettere l'accesso, attraverso un cancello laterale, alla chiesa di santa Corona, che qui si snoda nella sua notevole lunghezza, tutta ritmata dalle volumetrie delle cappelle laterali, e la cui mole e accentuata dalla presenza dell'alto campanile.

Contrà Santa Corona

Da Santa Corona a piazza Matteotti modifica

Scendendo verso piazza Giacomo Matteotti, sul lato sinistro del breve percorso un muro a mo' di barbacane delimita e sostiene il giardino della chiesa di Santa Corona: moderni il cancello, la cancellata e i pilastri, sormontati da vasi ornamentali. Era qui il fianco dell'imponente oratorio del Rosario (1656-1659; cupola 1749-1759), prospiciente con la facciata su contra' Santa Corona: già spogliato all'interno sin dal 1807, venne poi demolita (1810-1813): dell'edificio, a pianta quadrata, sormontato da tamburo ottagonale e cupola simile con lanterna, riporta l'immagine una puntuale veduta di Cristoforo Dall'Acqua (1760¬1764). Della ricca dispersa decorazione, tele di Giambattista Pittori, Antonio Zanchi, Bartolomeo Cittadella, Antonio De Pieri e Francesco Arrigoril finirono inserite nei cassettoni del soffitto (Ottone Calderari, 1796) del duomo di Thiene; altre otto di Giulio Carpioni, Giambattista Volpato, Giambattista Alinorelli e Gregorio Lazzarim sono ora nella chiesa parrocchiale di Castegnero. Perduto il sepolcro dei confratelli del Rosario, di Angelo Marinali (1696); la bella Madonna del Rosario, scolpita da Giacomo Cassetti (1739-1747) per l'altare maggiore dell'Oratorio insieme alle due statue, scomparse, di santa Rosa e san Domenico, è ora nella parrocchiale di Villaverla; l'altare maggiore, sempre del Cassetti (1730¬1738), diveniva dal 1820 l'altare maggiore di San Gaetano; le statue di san Pio V e Benedetto XI, commesse al Cassetti nel 1755 (la seconda finita da Francesco Antonio Marinali) sono ora nella parrocchiale di Isola Vicentina. Barbieri 538

  • Più in basso lungo la strada e di fronte al palazzotto Colzè Trissino, era l'oratorio dei Turchini (1495-1497), sconsacrato nel 1806: è tradizione che le due colonne gotiche del suo portico provenissero dalle cadute (1496) logge del palazzo della Ragione; delle due pale, quella di Giovanni Buonconsiglio con la Madonna in trono e santi è ora al Museo Civico, quella di Battista Zelotti con la Pentecoste nella chiesa di San Rocco.
La prima costruzione addossata al muro di recinzione è un rifacimento in stile lombardo dell'Oratorio dei Turchini, dovuto all'architetto Luigi Dalla Vecchia. Il palazzetto, segnalato dal numero civico 161 e che ripropone stancamente l'architettura lombarda del Quattrocento rivisitata dallo storicismo ottocentesco, si imposta su tre alte arcate a totto sesto, sopra le quali si sviluppano finestre inquadrate da modanature lapidee. Il secondo piano, che ripropone le stesse finestre prive eli coronamento, si conclude con un cornicione sostenuto da mensole. Forti 48
  • Divenuto proprietà della Fabbriceria di Santa Corona, veniva sostituito dalla casa attuale, una tra le più eleganti costruzioni del secondo Ottocento vicentino (Luigi Dalla Vecchia, 1853-1854): del distrutto oratorio puntuale veduta in M. Aloro,.-111)uni diue&- nìe a7-cbite1tonicke, Venezia 1847.
Nel fianco sulla via (n. 161), i tre archi del portico, ricordo di quello dell'oratorio, insistono su pilastri poligonali (cfr. il coro pensile di San Rocco) dai raffinati capitelli; sulla soprastante cornice marcapiano poggiano mensole inginocchiate che inquadrano le griglie lapidee delle tre finestre-porte, dalle elaborate spalle dalla ghiera, adorna di cimiero, inscritta in un riquadro dipinto. Altra cornice è tra il primo e secondo piano, dove le finestre hanno cornice e griglia semplificate; cornicione a modiglioni triglifati; quasi totalmente scomparse le finte specchiature marmoree. Allo spigolo sinistro, lesene sovrapposte fanno da testata verso il prospetto rivolto al giardino di Santa Corona: due trifore vi accentrano gli elementi dei due piani, notevolmente attenuati rispetto al fianco.

Barbieri 540-41.

Dopo il muro del giardino di Santa Corona e la casa della Fabbriceria della chiesa, spic¬ca, nella sequenza degli edifici, casa Cogollo [322-3231. Nel maggio 1559 il notaio Pietro Cogollo otteneva la cittadinanza vicentina a condizione di riformare, entro tre anni, questa sua casa prossima a Santa Corona: compiuta la facciata nel termine prescritto (1562), i lavo¬ri proseguono per qualche anno. Il 9 settembre 1567 il Cogollo già svolgeva la propria atti¬vità sia nella vecchia abitazione, rivolta alla vicina contro' delle Canove Vecchie, che nella nuova sede. Radicale ristrutturazione dell'ala settentrionale e dei relativi interni fu compiu¬ta tra 1761 e 1763 (o 1773^,) dai Faccioli, proprietari pro tempore, sotto la probabile direzione di Enea Arnaldi; restauri sono stati curati nel 1957 dall'Altierican Institute of Decorators e nel 2002 dagli attuali proprietari.
Al piano terreno introduce al portico una serliana dissociata, sii robusti pilastri, con il for¬nice fiancheggiato da plastiche semicolonne ioniche, sulle quali architrave, fregio e cornice risaltano fortemente; in corrispondenza, due soprastanti, piatte lesene corinzie scanalate, sul¬le quali, viceversa, si attenua il risalto della trabeazione, inquadrano uno spazio vacuo. In esso si continua la fascia marcasoglia delle due finestre-porte laterali, nudi fori dalla balaustra trattenuta con pilastrini a fuso; ugualmente spoglie, sulla liscia fascia marcapiano, le aperture quadrate del sottotetto; semplice il cornicione modanato. Il breve organismo, accentuando l'episodio mediano e attenuando in 'pianissinio' gli elementi laterali, mentre si inserisce sen¬za scarti nella continuità della cortina edilizia, si rivela pienamente congruo al previsto, con¬temporaneo programma decorativo. Questo, dovuto a Giovanni Antonio Fasolo, stendeva, entro la 'cornice' corinzia del primo piano e sulle pareti scoperte, affreschi allegorici, nel se¬colo scorso ancora visibili (Venere, Amore e il Tempo-, Venere, Pallade e putti con festoni: cfr. Marco Moro, Album di gemme architettoniche ... di licenza, 1847) e oggi, dopo lungo degrado, recuperati in alcune parti. Esclusa una non persuasiva attribuzione allo stesso Fasolo, resta tuttora discussa la paternità del Palladio per il suggestivo edificio, che tenace quanto errata voce popolare vorrebbe addirittura essere stata abitazione del grande architetto. Tuttavia, sebbene invitino alla prudenza alcuni particolari meno 'ortodossi' (le semicolonne ioniche mancano di base, quella delle lesene corinzie viene nascosta dalla cornice sottostante), appa~ r, arduo individuare nella Vicenza del medio Cinquecento, a parte il Maestro, un responsa¬bile adeguato a così geniale soluzione costruttiva 'aperta', capace, pur nella forzata angustia del sito, di indubbi effetti monumentali.

Spettano agli interventi del secondo Settecento lo zoccolo e i tre gradini sottoposti al portico per l'abbassamento del livello stradale, l'oculo ovale e la piccola porta architravata nella parete di fondo del portico, i due fornici minori fiancheggianti l'arcone che precede il cortile e, in esso, il pavimento in trachite al posto degli originali mattoni di taglio, balconi e ringhiere delle finestre-porte nell'ammezzato della parete settentrionale (più tardi balconi e ringhiere superiori), la sistemazione e la ringhiera della scala a giorno. Di Giambattista Ben¬dazzoli le statue (1776 e.: Palladio e l'Architettura) nelle nicchie; interessante la rustica vera da pozzo monolitica (del secondo Cinquecento?), dallo stemma entro cornice a cartocci.,4n¬coro cinquecentesca la ringhiera nel ballatoio, a livello del primo piano, che raccorda l'ala nord con la sala verso strada. In questa, ove piccoli festoni decorano le cantinelle tra le tra¬vi, fregio affrescato, assai deperito (bottega del Fasolo, 1567-1568 c.^P), con al centro dei lati, sotto un finto cornicione, tra cornici a croce greca e fiancheggiati da scene allegoriche tra - Barbieri 541 , festoni, i Quattro Elementi: a sinistra, entrando, l'Aria; a destra, la 1èrra; sopra la por-ta, l'Acqua; di fronte, il Fuoco, impersonato da Vulcano. In luogo del sottostante cami-netto eliminato, resta, incisa nell'intonaco, una figura geometrica, frequente nel Cin-quecento. Nell'ala nord sono settecenteschi, nell'ammezzato, i battenti dell'ingresso, raro' esempio di artigianato locale, i sopraporta in stucco e il caminetto in marmo grigio della prima stanza (ottocentesca la cornice del controsoffitto); coevi, ma più elaborati, i so-praporta degli ambienti al primo piano (tra-vature con decorazione ottocentesca), specie gli stucchi sul soffitto della stanza a nord-ovest. Nel prospetto posteriore, rivolto alla tribuna absidale di Santa Corona, due fine¬stre del Cinquecento, dalla liscia cornice su modiglioncini; al centro, finestra-porta con balaustri (fine Seicento-inizi Settecento); a livello del tetto, panoramica terrazza, con balaustra (lato nord) sei-settecentesca di riporto.

  • Forti 48: Al numero civico 163 si trova casa Cogollo, detta anche impropriamente casa del Palladio sulla base eli tradizioni mai verilicate. La fabbrica, tradizionalmente attribuita al grande maestro, e una piccola facciata organizzata su di un lotto stretto e armoniosamente scandita dalle partiture. Il portico al piano terra viene denunciato in facciata da un arco stretto tra due semicolonne ioniche e affiancato da aperture rettangolari ai lati. La partitura del piano terra diventa perciò una serliana con due fasce di trabeazione sospese ai lati. Sull'estradosso dell'arco, due scultu¬re si distendono ad occupare i pennacchi. Al piano nobile, due inconsuete lesene corinzie scanalate rimarcano la partitura inferiore lasciando un ampio riquadro sul quale fino all'inizio del Novecento, era possibile leggere tracce di un affresco. Il livello del piano attico, che è nettamente separato dal resto della facciata da una decisa trabeazione, doveva contenere un altro affresco stretto tra due finestre quadrate.

Alla destra di casa Cogollo e prima dell'incrocio con contrà Canove Vecchie vi sono altri due edifici:

  • Il primo al n. 165, dalla stretta facciata sovrastante un unico arcone che dà luce al porticato e con moderne modanature di imitazione quattrocentesca.
  • Il secondo, la grande casa d'angolo al n. 167, è probabilmente seicentesca ma rinnovata nell'Ottocento[36]. Al piano terra i due archi del portico a tutto sesto sono fasciati da bugnato gentile; al primo e al secondo piano, porte-finestre con balconcini sinuosi di gusto settecentesco, poggianti su modiglioni triglifati e ringhiere di disegno ottocentesco.

Contrà Canove Vecchie

In sito scorreva un tempo la roza de collo, fossa a difesa della più antica cinta murata altomedievale.

Oltrepassato l'incrocio con contra' Canove Vecchie, il corso Palladio si allarga tra il fianco di palazzo Chiericati a destra e modeste costruzioni sulla sinistra. Forti 48

Delimitata, fino alla guerra, dalla chiesa e dal convento di santa Corona, si incontrano, ormai in vista del palazzo del Territorio e quasi prospettanti piazza Matteotti, le ultime tre abitazioni del Corso che costituiscono il tipico blocco edilizio di origine medievale, rimaneggiato in epoche successive.
  • Al numero civico 169 un'alta facciata si distingue per il porticato architravato. Nei piani superiori, si nota un piano asimmetrico forse dovuto all'inserimento di una nuova fila di aperture senza balconi.
  • Il prospetto seguente, segnalato dal numero civico 171, ripropone la classica distribuzione simmetrica dilatata verso i bordi esterni della facciata. Al pianterreno, due archi sostenuti da una colonna centrale formano un tipico motivo medievale. Immediatamente al di sopra, come nella facciata precedente, un lungo poggiolo, racchiuso da ringhiera in ferro battuto, unisce i due assi verticali.
  • Termina il percorso l'edificio contrassegnato dal numero civico 173, che ripropone pressoché identica la partitura precedente: due file di finestre, su livelli leggermente differenti rispetto alle altre due case, vengono accoppiate dal solito balcone continuo.

Barbieri

Dell'Ottocento (prima metà) l'aspetto della casa al civ. n. 177: al centro del portico architravato, la colonna tuscanico dorica ha fusto probabilmente in parte di riporto. Un lungo ballatoio su consueti modiglioni ottocenteschi unisce le due finestre-porte del primo piano; uguali i ballatoi e i modiglioni delle finestre-porte al secondo e terzo piano; cornicione modanato.
Gotico il capitello, plausibile residuo della costruzione primitiva, nella colonna reggente i due archi del portico adiacente (civ. n. 179); il fusto, di materia e provenienza diverse, potrebbe risalire alla prima metà del sec. XIX, epoca del rifacimento della facciatina. A fascia liscia le cornici delle aperture; le due finestre-porte del primo piano sono collegate da ballatoio su modiglioni con rosette; identici modiglioni nei ballatoi singoli superiori; consueto cornicione modanato.

Piazza Giacomo Matteotti

Dopo breve tratto si apre l'ariosa piazza Giacomo Matteotti, tradizionalmente detta piazza dell'Isola o, semplicemente, l'Isola. La vasta spianata (circa 8500 mq.), dal perimetro a trapezio irregolare, era effettivamente in origine una piccola isola. La circondavano, a nord e a est, l'Astico, sostituito poi (sec. XI c.) dal Bacchiglione, a ovest, la fossa della roza de colle Barbieri 542

Prospetto sud modifica

Partendo da piazza Giacomo Matteotti e procedendo verso ovest:

Il fianco laterale del palazzo, prospiciente il corso, alle estremità evidenzia nei due piani i fornici archivoltati che si sviluppano su due piani, reali a sinistra e ciechi a destra, che incorniciano la parte centrale, lievemente arretrata, scandita da quattro assi di finestre, le centrali accoppiate.
Il fianco del palazzo è prolungato dal prospetto laterale del Museo Civico, che fu costruito nell'Ottocento dall'architetto Giovanni Miglioranza. La costruzione, segnalata dai numeri civici 210, 208 e 206, è stata oggetto, congiuntamente alla parte palladiana di palazzo Chiericati, di un recente sapiente restauro diretto dall'architetto Emilio Alberti che ha saputo riproporre una corretta cromia del prospetto ritmato da nove assi di aperture ed impreziosito da un finto bugnato e da riquadri in intonaco che nel fregio sottogronda sono di colore verde.

I Portici di Santa Corona modifica

Gli edifici che vanno da quello attiguo al Museo fino a stradella San Faustino sono caratterizzati da una fila interrotta di portici. Nonostante i rimaneggiamenti che si sono succeduti nel tempo, la successione e la struttura delle facciate ricordano ancora l'impianto medioevale delle prime costruzioni. Nel 1764 il porticato venne lastricato con pietre di Monselice e fino al 1885 ospitava, nel periodo dell'Epifania, i banchetti dela stria dove si vendevano giocattoli[37].

Il primo edificio sostenuto dal portico con l'asimmetria della facciata dimostra la sua origine gotico veneziana della seconda metà del XV secolo, confermata dai capitelli e dal toro nelle spalle del portone, così come come dalle due monofore trilobe impennacchiate del prospetto posteriore. Proprietà, a quell'epoca, di Girolamo Colzè, passò poi al ramo dei Trissino "Pennacchini" e fu abitazione del letterato Parmenione Trissino, amico di Carlo Goldoni.

Elegante è la trifora sulla sinistra che affaccia su un balcone lapideo sostenuto da quattro mensole e racchiuso da lineare ringhiera in ferro battuto.

Passando sotto alla prima arcata si entra in un vicolo che porta alla stradella dell'Isola, che aggira Palazzo Chiericati e sbuca in piazza Matteotti, di cui ricorda l'antica denominazione.

Radicalmente rinnovata negli ultimi decenni del Quattrocento la facciata è un esempio di architettura rinascimentale vicentina che, per lo stile sobrio e preciso, le felici proporzioni e l'eleganza di modanature ricorda le opere di Lorenzo da Bologna. Recentemente ne è stata proposta l'attribuzione a Lorenzo Grandi, che abitava poco lontano e frequentava la casa di Girolamo Colzè.
Nel portico, dal soffitto a crociere su capitelli pensili, sono pilastri decorati di patere entro gli specchi anteriori: insolitamente poligonale e più robusto il primo pilastro a destra, dovendo reggere un arco di maggior diametro e, insieme, l'arcone della casa contigua.

Una finestra-porta è al centro della trifora, dal ballatoio, con semplice ringhiera, su quattro modiglioni: questi presentano elaborate armature da cui escono due corde concluse da due teste di profilo (cfr. i modiglioni dei ballatoi di palazzo Alielosio Conti). Tutte le aperture del piano nobile, comprese le due monofore sulla destra, hanno la centina entro un riquadro, concluso da una cornice che, arretrando di poco, continua quale marcapiano. Parallela la cornice marcasoglia delle finestrelle rettangolari superiori; reggono lo sporto del tetto, assai accentuata, modiglioni lapidei inflessi, ripetuti nel prospetto sul retro, dove le finestre del secondo piano sono ottocentesche. Del tutto alterato da grandi vetrine l'atrio, oggi passaggio pedonale a stradella dell'Isola; ottocentesca la scala. [38].

Presenta in facciata una forometria atipica, composta da portefinestre strette e allungate, probabile frutto di un restauro del secolo XVI su preesistenze di edificio tardo-gotico. I balconi del piano secondo sono di gusto settecentesco, mentre quello continuo del primo piano è di gusto ottocentesco.

Alta e stretta, sull'arco a tutto sesto, la facciata della casa al n. 198. Le originarie finestre tardoquattrocentesche centinate, nel Cinquecento già trasformate in rettangolari con cimasa direttamente sull'architrave, paiono allungate (inizi sec. XIX) in finestre-porte: le due del primo piano, che conservano nelle spalle piccole patere, sono collegate da un ballatoio su modiglioni a doppio rotolo; analoghi i modiglioni dei balconi singoli soprastanti, dal mosso profilo.

Nel piccolo cortile, ove sfocia il lungo atrio (irregolare l'andamento del muro destro), è una porta con fregio e cimasa cinquecenteschi, evidentemente di riporto; al primo piano, grossi modiglioni (a rotolo unico e doppio: uno, a nord, gotico molto elaborato; altro, seicentesco, senza modanature) sostengono il ballatoio che collega il corpo di fabbrica verso strada con quello retrostante; nel lato sud, porta cinquecentesca; di fronte, alto foro centinato forse settecentesco.

Probabilmente un tempo intonacata la volta in laterizio, su capitelli pensili, del primo ambiente dello scantinato: il pavimento originale era forse più basso di circa 2 metri (cfr. ambiente simile in palazzo Gualdo Priorato).

Nel prospetto verso il giardino, sopraelevato di un piano, finestre centinate degli inizi del Cinquecento: le due al primo piano, allungate in finestre-porte, sono collegate da ballatoio su rozzi modiglioni; quelle del piano terreno hanno soglia sporgente su mensole e inferriate coeve. Neoclassica la porta mediana, probabilmente al posto di un caminetto del vano interno corrispondente.

In esso, esclusa la parete settentrionale, interessante fregio monocromo cinquecentesco a eleganti riquadri, con bucrani, festoni e mascheroni; tra le travi, pannelli monocromi con protomi leonine. Al primo piano, un pavimento in terrazzo reca la data 1820; frammento di affresco cinquecentesco nella parete sinistra della sala verso il Corso[39].

  • Casa ai nn. 194-96
Presenta un prospetto con due assi di aperture senza cornici, che si conformano in portefinestre, che affacciano su balconcini singoli di gusto settecentesco, al secondo piano, e continuo al primo piano. Elegante è la decorazione in ferro battuto che si sviluppa entro i ritti della ringhiera.
  • L'edificio al n. 192, scandito da due assi di aperture, è stato oggetto di successivi interventi che hanno modificato le quote dei solai interni, come si evince dai parapetti in ferro battuto delle finestre architravate e contornate da cornici lapidee modanate.
  • Casa ai numeri 188-90
Evidenzia un impianto rinascimentale riscontrabile nelle finestre ad arco a tutto sesto con cornici finemente lavorate ed ornate, nella ghiera, da antefisse. In un periodo successivo le aperture del secondo piano sono state inopinatamente trasformate in finestre architravate.
  • Il fronte prospettico ha uno scarto in altezza con casa Galvani Pagello, segnalata dai numeri civici dal 180 al 186.
La facciata, che presenta un impianto riconducibile all'architettura minore del Quattrocento in seguito visibilmente modificata, è scandita da cinque assi di aperture che nella parte sinistra sono accoppiate a formare bifore. Cornici lapidee contornano le portefinestre ad arco a tutto sesto, che affacciano sul balcone continuo del primo piano, le finestre, sempre ad arco a tutto sesto del secondo piano, e le finestrelle architravate del piano sottotetto, che sono legate fra loro da una fascia che marca l'affaccio. Al di sotto del portico, in una lunetta, è conservato un affresco del Campagnola, raffigurante la Natività, che di recente è stato restaurato.

La stretta facciata del civ. n. 186 (lapide a Enrico Schiavo, medaglia d'oro, t 1937), che insiste su un arco a sesto ribassato, presenta le aperture centinate (fine sec. XV), con ghiera a ovuli, immiserite da un architrave inserito tra i capitelli; tipici della seconda metà del Quattrocento i modiglioni intagliati del balcone nella finestra-porta del secondo piano; di forme proprie al sec. XVI i modiglioni della finestra-porta sottostante. Nelle finestrelle del sottotetto la soglia si adorna di singolare frangia di dentelli. Due archi a tutto sesto (seconda metà del Seicento?), su pilastri dagli inconsueti capitelli a dado, reggono l'alta facciata del civ. n. 187, probabilmente sistemata tra Settecento e Ottocento; seicenteschi i modiglioni del lungo ballatolo che lega le due finestre-porte del primo piano; cornicione a breve guscia.

Nel sottoportico della casa seguente (civ. nn. 182-184), ripresa moderna di evidenti quanto alterate preesistenze tardoquattrocentesche, affresco con l'Adorazione dei pastori (Domenico Campagnola?; caduta la parte inferiore sinistra).

Edificio seicentesco il cui grande portone introduce in un patio e quindi all'edificio interno, ora sede del cinema Odeon.

La facciata è scandita da quattro assi e di aperture, le centrali accostate, che al primo piano si configurano in alte portefinestre, con cornici modanate e fascia aggettante che funge da coronamento, affacciati su quattro balaustre con balaustri squadrati.

La rilevante asimmetria degli archi proverebbe l'antica origine romanica del palazzo (civ. n. 176), più volte rimaneggiato; un busto bronzeo e due lapidi, in facciata e sotto ìI portico, ricordano Valerio Belli, "principe degli incisori" in pietre dure e cristallo, qui morto nel 1546. Al primo piano sono finestre cinquecentesche con fregio baulato e cimasa, allungate nell'acerbo Seicento in finestre porte con balconi insistenti su robusti modiglioni inflessi e triglifati; hanno balaustri e pilastri angolari. Del tardo Quattrocento i modiglioni delle finestre-porte alle estremità del secondo piano; frutto di moderna sopraelevazione il terzo piano e il cornicione; gotici i capitelli e il toro dei pilastri dell'arco d'ingresso;

Di moderna, disinvolta imitazione cinquecentesca l'androne e i tre archi nonché le statue nella parete di fondo del cortile. In questo le bifore soprastanti l'androne al primo e al secondo piano paiono tardo quattrocentesche (Lorenzo di Giovanni Grandi?, domiciliato poco lontano); relativamente recenti le cimase delle finestre al primo piano nella parete sinistra; di fronte, lungo ballatoio su mensole seicentesche (rifatte le due estreme, quelle del ballatoio antistante e del terraz¬zino di raccordo)[40].
Nell'edificio segnalato dai numeri civici 172 e 170 è conservato, tra le vetrine sotto il portico, un curioso pilastro detto la colonna infame, recante la notizia che il preesistente palazzo era la casa di Galeazzo da Roma, il quale si rese responsabile nel 1548, assieme ad alcuni complici, dell'uccisione dell'intera famiglia Valmarana. In seguito al bando che sancì l'allontanamento dell'assassino da tutto il territorio veneto, la casa fu distrutta. L'attuale prospetto risulta un rimaneggiamento settecentesco scandito da quattro assi di aperture che, al primo e secondo piano, si configurano in portefinestre che affacciano su balconcini sinuosi.

Sul lato destro si sviluppa una mossa, pittoresca sequenza di edifici porticati. Ai civ. nn. 172-174 un pilastro, dal capitello rinascimentale, nel sottoportico è unico avanzo della casa di Galeazzo da Roina: diffusa iscrizione ne ricorda l'abbattimento, decretato dalla Serenissi¬ma dopo la messa al bando del da Roma, reo, con Iseppo Abnerico e altri complici, di «atro¬cissimi homicidi» (morirono tre fratelli Valmarana con due servitori e Giovambattista Monza). Del tutto anonimo l'attuale prospetto tardoottocentesco, su tre larghi, rozzi pilastri lapi¬dei, dai capitelli a fascia liscia e forse ancora seicenteschi. Le finestre-porte hanno balconcini inflessi retti da piccoli modiglioni triglifati; anomale le sproporzionate finestre del terzo piano; cornicione modanato[41].

  • Segue, al numero civico 168, un basso corpo di fabbrica che è scandito da un solo asse di aperture, che riprendono gli stilemi di quelle dell'edificio descritto precedentemente[42].

→ Vicolo e cortile interno Subito a destra, tra i civ. nn. 170-178, uno stretto vicolo conduce al cortile sul fianco settentrionale della sconsacrata chiesa di San Faustino: al termine, portone (civ. n. 166) dai pilastri bugnati settecenteschi, con piccole volute e grazioso sopralzo in ferro battuto; nel lato destro (civ. nn. 162-164), non insignificante architettura minore del sec. WIL Dei due portoncini gemini, con capitello centrale comune, ora solo il destro ha tre gradini d'accesso; interessanti, nei primi due piani, i lunghi ballatoi su dieci modiglioni lapidei inflessi; in pietra le cornici di finestre e finestre-porte e la soglia delle finestrelle del sottotetto. Modiglioni lignei sagomati sostengono il cornicione originale, di sensibile aggetto e con mattonelle in cotto.

Sotto il portico (civ. n. 174) Madonna con Bambino e alcuni giovani, modesto affresco (fine Settecento-inizi Ottocento) attribuito a Stefano Caldera.

  • I numeri civici che vanno dal 158 al 154 evidenziano un edificio del secolo XVII, probabile riordino di una preesistenza tardogotica, il cui maestoso portone d'ingresso originario è tuttora visibile nel sottoportico.

Eleganti le alte portefinestre del secondo piano che si dispongono in quattro assi e sono caratterizzate da parapetto balaustrato ritmato da doppi balaustri.

Inconfondibili, nel seguente palazzetto (civ. nn. 154-156), i caratteri cinquecenteschi scamozziani dei pilastri del portico e delle cornici delle finestre nei primi due piani, con fregio piatto e cimasa: inconsueti modiglioni, a triglifi smussati, seguono il mosso profilo dei balconcini, forse settecenteschi, delle due finestre-porte centrali. AI secondo piano, finestre-porte dalle balaustre rientrate con colonnine a doppio friso; finestrelle del sottotetto probabilmente dovute a sopraelevazione dell'Ottocento, quando venne compiuto il cornicione a fitte modanature. Plausibilmente a sesto acuto in origine l'arco sinistro, superiormente occluso, del portico dove sussistono, della precedente costruzione gotica, il bel portone dagli elaborati capitelli e le volte a crociera su capitelli pensili; in corrispondenza della terza volta, da destra, piccolo ammezzato del Settecento[43].

Fa angolo con contrà san Faustino un edificio tipico dell'architettura minore del tardo Cinquecento vicentino, già sede degli Asili di infanzia; in esso abitarono il bibliotecario Parmenione Trissino e il canonico Luigi Maria Fabris, fondatore di un istituto di correzione per minori[42].

La facciata è scandita da due assi di aperture disposte nell'estremità, in modo da lasciare una grande partitura centrale. Le portefinestre del primo piano affacciano su un balcone continuo in materiale lapideo, sostenuto da alte mensole, che aggetta anche su contrà san Faustino.

L'alto arco del voltatesta da cui iniziano i portici presenta una ghiera in cotto, probabile residuo di precedenti strutture romaniche. In facciata, seicentesca la colonna tuscanico-dorica dei due archi del portico, concluso da pilastri angolari di cui il sinistro fa parte anche dell'edificio adiacente. Coevi il ballatoio su lunghe mensole lapidee (singolare quella dello spigolo) e le cornici dei fori. In asse, piccole finestre rettangolari nel sottotetto; alle finestre-porte dei primi due piani, balconcini ottocenteschi come il cornicione a modanature plurime[44].

Contrà San Faustino. Prende il nome dall'antica cappella urbana (l'edificio, sconsacrato, ora accoglie il cinema Odeon)

Le ristrutturazioni del dopoguerra modifica

Da stradella San Faustino fino a contrà Manin il fronte sud è costituito da una cortina di edifici, priva di porticato, interrotta a metà da contrà Santa Barbara. In molti di questi edifici - che erano stati parzialmente distrutti dai bombardamenti del 14 maggio 1945 - sono evidenti le ristrutturazioni attuate nel secondo dopoguerra, anche se in alcune facciate sono stati recuperati elementi architettonici dei secoli precedenti.

  • L'edificio d'angolo, al n. 150, è composto da due assi di finestre che occupano quasi l'intera grandezza della facciata che si eleva su quattro piani fuori terra e piano sottotetto. Il primo e secondo piano presentano portefinestre che affacciano su balconcini sinuosi racchiusi da lineare ringhiera in ferro battuto.
  • Addossata è la casa torre, al n. 148, che termina con una maestosa altana ed è scandita da due assi di aperture. Il secondo e terzo piano presentano portefinestre che affacciano su balconcini singoli poco aggettanti, mentre più aggettante è il balcone del primo piano, comprendente anche il corpo di fabbrica successivo segnalato dal numero civico 146, che propone due assi di aperture architravate.
  • I numeri civici 144 e 142 individuano una piccola costruzione degli anni Sessanta del Novecento che presenta il fronte giocato chiaroscuralmente dall'inserimento di nicchie architravate che affacciano su balconi in conglomerato cementizio.
  • Segue, segnalato dai numeri civici 140 e 138/b un edificio, oggetto di un recente riordino di facciata, che presenta uno spartito ritmato da quattro assi di aperture, le centrali accostate a formare bifore. Le modanature delle cornici lapidee rimandano ad un impianto cinquecentesco che è stato falsato da interventi successivi che hanno previsto l'inserimento del balcone continuo del secondo piano e dei balconcini singoli del primo e quarto asse al primo e al terzo piano.
  • Termina l'isolato l'edifico d'angolo con contrà santa Barbara, contraddistinto dal numero civico 138/a, il cui prospetto, che rivela l'intervento di gusto razionalista, è ritmato da quattro assi di aperture. Al primo piano, porte finestre ad arco a tutto sesto, contornate da cornici lisce lapidee, affacciano su un lungo balcone in conglomerato cementizio che si estende per tutta la larghezza della facciata. Decisamente fuori scala i due piani attici che concludono l'edificio.

Contrà Santa Barbara, taglia diagonalmente il corso e porta in piazza Biade. Prende il nome dall'antica cappella urbana che fu demolita in seguito ai decreti napoleonici.

  • Proseguendo il fronte di corso Palladio s'incontra l'edificio d'angolo, contraddistinto dal numero civico 136, frutto di una ricostruzione postbellica, in seguito alla distruzione causata dai bombardamenti del 14 maggio 1945, che male si integra per forma e materiali al contesto materico-cromatico della strada.
  • Lo stesso concetto espresso vale per l'edificio seguente contraddistinto dal numero civico 134, anche se sono presenti alcuni tentativi formali di riallacciarsi alla tradizione del luogo, riscontrabili nelle tre arcate del piano terra e nei balconcini singoli degli assi estremi del secondo e terzo piano.
  • Meno appariscente per la volumetria più contenuta è l'edificio segnalato dai numeri 132 e 130, che propone l'impiego di ringhiere in ferro battuto che occludono i balconi e i parapetti delle aperture disposte, nei tre piani superiori, in tre assi. Incongruo appare il rivestimento lapideo che, di fatto, suddivide In due orizzontamenti il prospetto.
  • Con l'edificio segnalato dai numeri 128 e 126, il fronte prospettico riprende ad essere caratterizzato da una costruzione storica. Il prospetto, che si eleva su cinque cinque piani fuori terra e piano sottotetto è scandito da due assi di finestre, che hanno il loro centro di interesse nelle portefinestre del terzo piano, ornate da cornici lapidee con orecchioni che affacciano su balconi poco aggettanti racchiusi da balausta lapidea.
  • Segue l'edificio contrassegnato dai numeri civici 124 e 122, scandito da due assi di aperture impreziosite di eleganti ringhiere in ferro battuto con motivi decorativi curvilinei.
  • Lineari sono invece le ringhiere dell'edificio al numero civico 120, scandito da due assi di aperture, disposte alle estremità in modo di definire un'ampia partitura al centro della facciata.
  • Edificio d'angolo con contrà Manin, segnalato dal numero civico 118, presenta un interessante intervento commerciale dei primi del Novecento che impreziosisce le vetrine del piano terra.

Contrà Manin, in epoca medievale e moderna denominata contrà delle Vetture

Il Corso dei grandi palazzi modifica

  • Il palazzo d'angolo, contraddistinto dai numeri che vanno dal 116 al 110 conosciuto come palazzo Lonigo-Curti, fu costruito nel primo Seicento. Fu rimaneggiato dall'architetto Dal Conte che nel dopoguerra tentò di riportarlo all'antico splendore dopo i pesanti danni subiti dai bombardamenti aerei del 14 maggio 1944. Con sapiente abilità, egli conservò gli aspetti fondamentali della preesistente costruzione, adattandoli e rivisitandoli in chiave attuale. Rimangono leggibili il portale d'ingresso e la soprastante trifora, mentre risulta un po' eccessiva l'altezza del portico, costruito per consentire l'allargamento del punto più stretto del Corso, e le balaustre in pietra che si collegano con l'adiacente casa Curti, in cui, sempre a seguito della distruzione dei bombardamenti, furono reimpiegate le modanature cinquecentesche delle finestre, distribuite però secondo un diverso ordine.

contrà delle Morette

  • Oltre al volto, che conduce a contrà delle Morette, si ergono due corpi di fabbrica, segnalati dal numero civico 108, frutto di stilemi propri dell'architettura celebrativi. del primo dopoguerra, che tentano eli richiamare forme e materiali della tradizione architettonica vicentina.

Contrà del Monte, che si ritiene essere l'antico cardo maximus dell'epoca romana, così denominata perché, quando sbocca in piazza dei Signori, sul suo lato sinistro si trova il palazzo del Monte di Pietà

  • Attraversata la strada si incontra un palazzotto di proprietà comunale, che inizia il nuovo isolato ed è segnalato dal numero civico 106. Possente è il piano terra in bugnato rustico su cui si apre, al centro, un portale ad arco a tutto sesto contornato da due alte vetrine archivoltate. Il primo piano è caratterizzato da una portafinestra ad arco a tutto sesto e da due finestre a timpano triangolare. Singolare è la finestra centrale del secondo piano con stipiti segmentati.
  • Segue la stretta facciata di casa Peretti, eretta tra la fine del sec. XV e l'inizio del sec. XVI, che al piano terra presenta un'elegante bifora sostenuta al centro da una colonna lapidea. Evidente la sopraelevazione dell'ultimo piano con balconi racchiusi da ringhiere bombate di gusto settecentesco.
  • Palazzo Alidosio Conti, ai nn. 102-104, con il quale ricomincia il fronte prospettico porticato. L'edificio è cinquecentesco, come si desume in facciata dall'ordinato ritmo delle aperture archivoltate che sono ornate da ghiere con scanalature ed antefisse disposte secondo cinque assi di aperture. Nell'asse centrale si evidenziano bifore che affacciano su balconi racchiusi da lineari ringhiere in ferro battuto. Il recente restauro ha reso visibile l'apparato affrescato a motivi geometrici, soprattutto evidente nel prospetto laterale del portico.
Addossato a casa Alidosio, al numero civico 98, sorge maestoso il palazzo Trissino Baston Da Porto, attualmente sede del comune di Vicenza, progettato da Vincenzo Scamozzi nel 1592 per il conte Galeazzo Trissino. Nel 1662 l'edificio fu completato nel prospetto e nel cortile interno dal Pizzocaro. La fabbrica sorge su un lotto irregolare e grande è stata la maestria, che lo Scamozzi dimostrò nell'esecuzione di quello che risulta essere uno tra i migliori risultati della sua maturità artistica. : : Per ovviare alla difficile lettura della facciata, data la ristrettezza del corso, Scamozzi ha curato in modo particolare le membrature del prospetto, in modo da evitare un'eccessiva sporgenza. Inoltre, il portico e contraddistinto da esili colonne binate, che ai lati fungono da voltatesta, con l'impiego di semicolonne ioniche, anziché le previste colonne del progetto originale. La facciata prospiciente il corso risulta essere prezioso elemento di corollario alla fabbrica, secondo la concezione tipica della cultura veneziana, mentre la facciata laterale si innesta senza particolari attenzioni.
I piani superiori sono scanditi da lesene giganti, poste in proiezione delle colonne del piano inferiore, e, al centro, delimitano un'imponente serliana. Per accentuare l'effetto chiaroscurale, le partiture fra lesene ed aperture architravate, con coronamento a timpano triangolare, sono trattate con rivestimento a bugnato. Il Pizzocaro non ha costruito il previsto timpano triangolare al centro della facciata, lasciando come unico coronamento una semplice trabeazione lapidea ornata con dentelli. In periodo neoclassico, il Calderari ampliò il palazzo nella parte interna e intervenne nelle decorazioni. L'edificio, che divenne di proprietà comunale nel 1901, fu sede, durante la prima guerra mondiale, del Comando della I Armata.

Contrà Cavour, in precedenza contrà dei Giudei

  • Casa Binda, ai nn. 96-98 che risulta un rimaneggiamento di un preesistente edificio tardo quattrocentesco, ancora evidente nelle cornici archivoltate del primo e secondo piano con ghiere ornate da antefisse. Il piano terra, fruito come negozio, presenta un'elegante incorniciatura lapidea dei primi del Novecento.
Attribuito ad Andrea Palladio - come testimonia un disegno palladiane conservato al RIBA di Londra - che lo avrebbe progettato nel 1540 circa; è inserito nell'elenco dei 23 monumenti palladiani della città che fa parte dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
La facciata è composta da un alto basamento in bugnato, su cui si aprono le vetrine del piano terra e le finestrelle quadrangolari del piano ammezzato. I piani superiori sono scanditi da lesene ad ordine gigante che appoggiano sul bugnato e, tramite un capitello composito, sostengono una trabeazione. Nelle partiture ritmate dalle lesene si aprono grandi finestre architravate, con coronamento a timpano alternativamente circolare tanto che funge da coronamento, rimandano ai modi del Cinquecento vicentino. Interventi successivi sono i balconi racchiusi da lineari ringhiere in ferro battuto e recente è l'intervento che ha sventrato il piano terra per l'apertura di spazi commerciali.

→ Sotto l'arco del palazzo inizia contrà Do Rode. Al centro della facciata si apre un arco che fu innalzato per permettere l'agevole transito a diligenze e carrozze dirette ai numerosi stalli che sorgevano nella contrada.

  • Ancora più sventrato risulta il piano terra dell'edificio a lato dai numeri civici 84, 82 e 80

che, al di là dell'evidente stato di degrado, fa intuire un'architettura dignitosa, con uno spartito di facciata cadenzato da cinque assi di aperture le quali al primo, secondo e terzo piano si conformano in portefinestre che affacciano su balconcini singoli. Curioso è l'effetto dell'arco dell'antico portale cancellato dallo sventramento prima descritto, che si apre fra le lingue in intonaco.

  • Segue, ai numeri civici 78, 76 e 74, un imponente edificio di gusto seicentesco, che fu la casa natale dello scrittore Guido Piovene, che presenta la facciata divisa in due orizzontamenti. Il primo piano ed il piano ammezzato si aprono su un bugnato rustico, mentre i due piani superiori sono cadenzati da sette assi di aperture che, al primo piano, si configurano in portefinestre, le quali, ad eccezione della centrale archivoltata con testa di Mercurio in chiave d'arco, presentano cornici modanate con fascia aggettante che funge da coronamento. i parapetti dei balconi, poco sporgenti, si conformano in balaustre lapidee. Quadrangolari sono le finestre del piano sottotetto che è concluso da una gronda sorretta da mensole parallelepipede a ricordare i mutuli del tempio greco.
  • Segue, d'angolo con contrà Cesare Battisti, l'edificio segnalato dal numero civico 72, che risulta frutto della ricostruzione postbellica, che ospita attualmente gli uffici della Banca Commerciale. La facciata propone al piano terra sei fornici ad arco a tutto sesto, di cui i primi cinque presentano finestre racchiuse da inferriate nel tamponamento, mentre l'ultimo a destra, funge da patio di ingresso alla Banca. i piani superiori sono scanditi da tre semicolonne a da quattro lesene che sorreggono l'alta trabeazione ornata da dentelli.

Contrà Cesare Battisti

  • Attraversata contrà Cesare Battisti si incontra l'edificio d'angolo, contraddistinto dal numero civico 70, al primo e secondo piano, che è scandito da tre assi di aperture che si configurano in portefinestre che affacciano su balconcini poco sporgenti, occlusi da eleganti inferriate in ferro battuto a motivi circolari.
  • Il numero civico 68 segnala lo stretto edificio che è scandito da due assi di aperture che invadono quasi completamente la facciata. Nessuna traccia dell'originario piano terra, che è stato stravolto dall'inserimento di grandi vetrine che hanno invaso anche l'edificio precedentemente descritto.
  • Segue la costruzione evidenziata dai numeri civici 66, 64, 62, 60 e 58, che è ritmata da sette assi di aperture che, al secondo e terzo piano, sono prive di cornici. Prive di cornici sono pure le portefinestre del primo piano che affacciano su sinuosi balconcini di gusto settecentesco occlusi da elegantissima ringhiera in ferro battuto.
I numeri civici 56 e 54/a segnalano l'ultimo progetto dell'architetto Ottone Calderari, che morì nell'ottobre del 1803. Sul bugnato gentile, quasi graffito, del piano terra si impostano lesene di ordine composito che sorreggono un'alta trabeazione e continuano, in proiezione, a ritmare il piano attico a ricordo dei modi dello Scamozzi. Il corpo più basso a destra è un'aggiunta posteriore, datata 1865, commissionata dall'aliora proprietario Alessandro Roi, all'architetto Antonio Caregaro Negrin, con il proposito di riprendere le forme del Calderari e di creare così una nuora unità prospettica. Dopo la seconda guerra mondiale in questo corpo di fabbrica, recentemente restaurato, si sono aperte le vetrine archivoltate del piano terra.
Opera dell'architetto G. Fontana, appartenente alla cerchia del Calderari, che si dedica dal 1804 al 1848 alla costruzione dell'edificio. La facciata è scandita, in orizzontale, da un alto bugnato che comprende il piano terra ed il piano ammezzato; nei piani superiori la scansione ò data da quattro lesene di ordine composito che sorreggono la trabeazione. Le portefinestre del piano nobile, che affacciano su balconi balaustrati, sono coronate da timpano alternativamente circolare e triangolare. In questo palazzo visse e morì il noto statista vicentino Fedele Lampertico, come indica la lapide posta in facciata.
  • I civici 52 e 50, un piccolo edificio del Seicento che, nello spartito di facciata cadenzato da cinque assi di aperture non omogenee Ira loro, denuncia l'impegno di un progettista locale.
  • Termina questo isolato 1'edificio d'angolo con stradella Loschi, che è evidenziato dai al numeri civici 48 e 46. La facciata, stravolta dall'inserimento di una vetrina che occupa tutto il piano terra, eè scandita da quattro assi di aperture, le centrali accostate, che si conformano in portefinestre con cornici modanate le quali, al primo piano, presentano un coronamento costituito da una fascia aggettante.

Stradella Loschi, che prende il nome da Alfonso Loschi, proprietario di un palazzo di dimensioni più ridotte rispetto all'attuale

Possente edificio, con il corpo centrale avanzato rispetto ai simmetrici corpi laterali. La famiglia Loschi, in seguito ad acquisizioni successive dei terreni adiacenti al primitivo edificio, affidò all'architetto vicentino Ottone Calderari, nel 1872, l'incarico di edificare un imponente palazzo in grado di segnalare la potenza della famiglia. La fabbrica presenta un prospetto ritmato dall'alternanza di semicolonne con capitelli in stile corinzio e finestre rigorosamente incorniciate, con coronamenti a timpano, alternativamente triangolari e circolari. L'edificio è oggi il risultato parziale del progetto dell'architetto del quale, si riconosce, nel cortile interno raggiungibile attraverso l'atrio a quatto colonne, una loggia successivamente chiusa. Notevoli sono le decorazioni a festoni e i mascheroni che ornano le chiavi d'arco di tutte le aperture del piano terra.
  • Contiguo all'edificio segnato dai nn. 48 e 38
Progettato nel 1780 da Ottavio Bertotti Scamozzi su commissione di Alessio Giambattista Braghetta. Lo Scamozzi si esprime con raffinata e sobria eleganza, che ricorda l'architettura di Piermarini nel palazzo Belgioioso, e nel contesto di corso Palladio un edificioche si presenta privo di risonanti giochi chiaroscurali. Al primo piano sei lesene di ordine ionico segnano il corpo centrale della facciata leggermente in aggetto rispetto alle parti laterali.

Le estremità dell'edificio sono contraddistinte dagli archi bugnati di ingresso al piano terra, dalle finestre con timpano del primo piano e dai fori rettangolari del piano ammezzato coronato dal cornicione aggettante.

L'edificio costruito nel 1696 su una preesistenza quattrocentesca, denota una facciata caratterizzata dall'ordine gigante, che inquadra l'ampio poggiolo nel quale sono riconoscibili i modiglioni tipici dell'architetto vicentino Giuseppe Marchi, probabile autore anche delle balaustre delle alte portefinestre.
Conclude il fronte dell'isolato il prospetto laterale di palazzo Piovini Beltrame, che fu edificato nel 1658 dall'architetto Antonio Pizzocaro inglobando il piccolo palazzo Capra, attribuito al Palladio. Imponente è la parte centrale caratterizzata dall'alto portale ad arco a tutto sesto del Palladio, incorniciato da due lesene scanalate che reggono il balcone balaustrate su cui si affaccia la trifora del primo piano. Trifora ritmata da lesene scanalate che sorreggono la trabeazione, su cui si imposta il timpano triangolare e su cui è visibile l'iscrizione che data la costruzione al 1567.

Piazza Castello Attraversata piazza Castello s'incontra l'edificio d'angolo che presenta il primo orizzontamento in bugnato gentile che occupa il piano terra ed il piano ammezzato. I due piani superiori sono ritmati da tre assi di aperture architravate.

  • Conclude corso Palladio il fronte arretrato dell'edificio segnalato dai numeri civici 12, 10 e 8, che s'innesta ad angolo retto nelle costruzioni ove un tempo sorgeva il castello scaligero ricordato dal Torrione e dalla porta castello.

Note modifica

  1. ^ Statuti di Vicenza del 1264, Giarolli, 1955, p. 379
  2. ^ Un tempo detto nella sua parte iniziate "contrà del Pozzo Rosso" per la presenza fino al 1708 di un pozzo con una vena di marmo rosso
  3. ^ Un tempo denominata contrà dei Giudei
  4. ^ Un tempo contrà delle Vetture, della rimessa delle carrozze
  5. ^ Forti, 2010, p. 13
  6. ^ Forti, 2010, p. 37
  7. ^ Giarolli, 1955,  pp. 319, 375, 600-03
  8. ^ Seppure percorsa ancora dai taxi, da automobili autorizzate, da furgoni di servizio e da biciclette
  9. ^ Barbieri, 2011, p. 74
  10. ^ Forti, 2010, p. 38
  11. ^ Forti, 2010, p. 39
  12. ^ Dal 1934 al 1945 fu intitolata al caduto fascista Giovanni Berta, ma nell'uso comune veniva chiamata sempre dei Filippini, Giarolli, 1955, p. 165
  13. ^ a b Barbieri, 2004, pp. 265-66
  14. ^ Barbieri, 2004, p. 269
  15. ^ Forti, 2010, p. 39
  16. ^ Forti, 2010, p. 40
  17. ^ Barbieri, 2004, pp. 270-71
  18. ^ Forti, 2010, p. 40
  19. ^ Forti, 2010, p. 40
  20. ^ Giarolli, 1955, p. 379
  21. ^ Barbieri, 2004, pp.316-17
  22. ^ Forti, 2010, p. 41
  23. ^ Forti, 2010, pp. 41-42
  24. ^ Della stessa epoca, o comunque in stile tardogotico, in Corso, sono palazzo Thiene e la Ca' d'Oro
  25. ^ Forti, 2010, p. 42
  26. ^ Forti, 2010, p. 42
  27. ^ Forti, 2010, p. 43
  28. ^ Forti, 2010, p. 43
  29. ^ Forti, 2010, p. 45
  30. ^ Forti, 2010, p. 45
  31. ^ Forti, 2010, p. 46
  32. ^ Forti, 2010, p. 46
  33. ^ Forti, 2010, p. 46
  34. ^ Forti, 2010, p. 46
  35. ^ Forti, 2010, p. 47
  36. ^ Si può osservare in una veduta di Marco Moro
  37. ^ Forti, La scena urbana, op. cit., p. 14
  38. ^ Barbieri, 2004, p. 540
  39. ^ Barbieri, 2004, pp. 539-40
  40. ^ Barbieri, 2004, p. 538
  41. ^ Barbieri, 2004, p. 538
  42. ^ a b Forti, 2010, p. 16
  43. ^ Barbieri, 2004, p. 538
  44. ^ Barbieri, 2004, p. 538

Bibliografia modifica

  • Franco Barbieri e Renato Cevese, Vicenza, ritratto di una città, Vicenza, Angelo Colla editore, 2004, ISBN 88-900990-7-0.
  • Giorgio Forti, La scena urbana, Verona, Athesis, 2010.
  • Giambattista Giarolli, Vicenza nella sua toponomastica stradale, Vicenza, Scuola Tip. San Gaetano, 1955.
  • Ugo Soragni, Architettura e città dall'Ottocento al nuovo secolo: palladianisti e ingegneri (1848-1915), in Storia di Vicenza, Vol. IV/2, L'Età contemporanea, Vicenza, Neri Pozza editore, 1988

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